BREVI CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA PREPARAZIONE DELLA BIGA O IN GERGO ..."LIEVITO".

E’ di pratica quotidiana ricorrere alla preparazione ed all’utilizzo della “Biga” o “lievito” come viene chiamata comunemente ed in gergo, nel momento in cui si decide di adottare come tecnica di lavorazione il metodo indiretto.

I motivi che spingono ad optare per la scelta di una tale metodica di lavoro rispetto alla classica lavorazione diretta sono molteplici e vanno principalmente ricercati:

  • nella tipologia di pane che si vuole produrre in cui l’ottimizzazione del risultato è data solo ed esclusivamente dall’utilizzo di una tale tipologia di tecnica lavorativa (ciabatta Italia piuttosto che soffiato ecc.)
  • nelle migliori caratteristiche reologiche dell’impasto stesso.
  • in una miglior conservazione del prodotto finale.
  • nelle migliori caratteristiche sensoriali ed organolettiche del prodotto finito. (profumo, sapore, aroma, croccantezza ecc.)
  • nell’utilizzo nell’impasto successivo o “rinfresco” di una minore percentuale di lievito compresso rispetto alla lavorazione diretta.
  • nella miglior digeribilità del prodotto finale.
  • nella facilità di standardizzare sia quantitativamente sia qualitativamente la produzione delle bighe mediante l’utilizzo di celle fermabiga.
  • nella facilità di gestione dei tempi limitati di preparazione legati al solo impastamento e stoccaggio nelle celle.
  • nella gestione della “semplice” preparazione giornaliera mirata alla solo scelta degli ingredienti ed a pochi minuti di impastamento.

In linea di massima prima di procede con la realizzazione pratica della biga si consiglia di operare alcune importantissime valutazioni sulla scelta della farina da utilizzare; scelta che deve interessare non tanto le caratteristiche merceologiche quanto le caratteristiche reologiche in particolar modo i valori relativi al W ed al rapporto tra la tenacità (P) e l’estensibilità (L). Generalmente vengono utilizzate farine equilibrate per quanto riguarda il P/L cioè con valori compresi tra 0.40 e 0.60 e con valori di W di circa 320. L’utilizzo di una farina con valori di W intorno a 220 – 250 o anche minori non è propriamente indicato in quanto la biga, proprio per l’utilizzo di questa tipologia di farine, non sarebbe in grado di sopportare anche il minimo delle ore di fermentazione necessarie per ottenere un buon standard qualitativo sia della biga stessa sia dell’impasto successivo portando a ripercussioni anche sul prodotto finale.

Dopo aver operato una attenta valutazione della scelta della farina si può procedere con la miscelazione degli ingredienti in queste percentuali, sempre calcolate sulla farina utilizzata: farina, acqua 45%, lievito compresso 1% e procedere così con la fase di impastamento. In linea di massima, sempre se il dimensionamento della vasca dell’impastatrice non è eccessivo rispetto alla dose di farina utilizzata, si consiglia di adottare i seguenti tempi:

  • impastatrice a spirale: 1 minuto in retromarcia e 2/3 minuti in prima velocità
  • impastatrice a bracci tuffanti: 5/6 minuti in prima velocità
  • impastatrice a forcella 7/8 minuti

Di norma, come si è potuto notare, vengono utilizzate impastatrici o molto lente (impastatrice a forcella) o solamente in prima velocità o in retromarcia proprio per non lavorare eccessivamente l’impasto e di conseguenza per ridurre “quasi” ad un fattore trascurabile, anche se non è mai realmente trascurabile, il riscaldamento dovuto all’azione meccanica dell’impastatrice.

I minuti del timer dell’impastatrice dipendono non solo dal tipo di impastatrice ma dalle ore di riposo della biga stessa; più è lungo il riposo cioè la maturazione della biga minore sarà il tempo e viceversa: 1 minuto in retromarcia e 2/3 minuti in prima velocità (impastatrice a spirale) per 18 – 20 ore di fermentazione a 18°C. Le foto biga 1 e biga 1a

 

 mostrano l’aspetto di una biga realizzata con 10 Kg di farina 4.5 l di acqua e 100 g di lievito dopo 20 ore di fermentazione a 18°C mentre le foto biga 2 e biga 2a

 

Image Image

 

biga 2 biga 2a

mettono in evidenza l’aspetto della stessa biga 20 ore prima cioè a fine impastamento; si evidenzia il caratteristico aspetto a grumi tipico di un impasto poco impastato ma nel quale, in ogni caso, è stata incorporata tutta la farina. La temperatura rilevata a “cuore” della biga a questo punto della lavorazione mostra in linea di massima valori compresi tra 20.9°C e 21.5°C con un valore medio di 21.4°C ; dopo 20 ore di fermentazione a 18°C sempre a “cuore” ha evidenziato un valor medio di temperatura di 20.7°C. I casi estremi di un impasto per biga troppo poco oppure eccessivamente impastato, sempre per il tempo e per la temperatura di riferimento, (18 – 20 ore a 18°C) necessitano di alcune brevissime considerazioni; nel primo caso, quello riferito ad un impasto troppo poco impastato e mostrato appunto nella foto biga 3,

biga 3

prima di tutto occorre notare l’aspetto ancora eccessivamente “farinoso” e con farina ancora da incorporare nell’impasto. Questo può accadere o per ridotti tempi di impastamento o per un dimensionamento eccessivo della vasca rispetto alla quantità di farina utilizzata e quindi al ridotto quantitativo di biga prodotta. Tempi di impastamento così ridotti portano ad avere, dopo 18 – 20 ore a 18°C, una biga con un eccesso di incrostazioni, “non matura” anzi prossima al marciume per il mancato sviluppo, moltiplicazione e crescita del Saccharomyces cerevisiae oltre alla mancanza della fermentazione alcoolica, creando di conseguenza i presupposti per la sola crescita, moltiplicazione e sviluppo di microrganismi indesiderati che avrebbero il sopravvento sulla coltura dei lieviti.

Aumentando invece i tempi di impastamento si sarebbe ottenuta una biga decisamente più impastata (foto biga 4) ma di più rapida maturazione in quanto il riscaldamento meccanico avrebbe innalzato la temperatura dell’impasto e velocizzato l’azione del Saccharomyces cerevisiae.

biga 4

 

Si ricorda inoltre che il metabolismo fermentativo porta ad un naturale “autoriscaldamento” dell’impasto, in considerazione del fatto che tutte le reazioni che avvengo in conseguenza dell’attività fermentativa del Saccharomyces cerevisiae sono esotermiche cioè liberano calore! Questa biga avrebbe dato sicuramente degli ottimi risultati molto prima delle 18 – 20 ore anzi, per quel periodo, avrebbe mostrato le classiche caratteristiche di un impasto, come si dice in gergo ormai “passato”: eccesso di acidità evidenziata sia all’olfatto sia con pHmetro, distacco eccessivo dalle pareti del mastello, presenza di umidità eccessiva, appiccicosità, debolezza ecc.

 

Un parametro fisico che fino a questo punto del discorso è apparso subito di estrema importanza è stato proprio quello della temperatura inteso sia come riscaldamento meccanico, sia come valore dell’impasto a fine impastamento sia e soprattutto come valore fondamentale per l’acqua che deve essere utilizzata. Anche in questo caso, come per tutti gli impasti diretti e/o indiretti, si fa riferimento all’applicazione di una semplice formula empirica ma molto pratica: ( il segno – rappresenta il segno “meno” della sottrazione!)

 

55 - temperatura dell’ambiente dove viene messa a maturare la biga (per esempio cella fermabiga) - temperatura della farina utilizzata = temperatura dell’acqua da utilizzare

 

Dalla formula soprariportata si evince che il calcolo si presenta come facile sottrazione tra un numero fisso e due valori di temperatura misurabili con un semplicissimo termometro; il risultato così ottenuto, se da un punto di vista matematico rappresenta soltanto un semplice e banale numero non si può dire lo stesso (è sempre un numero ma non più tanto semplice e banale!) se considerato appunto come il valore di temperatura che deve avere l’acqua da utilizzare nella preparazione dell’impasto per la biga, proprio per l’estrema importanza che riveste nella tecnologia.

 

Il discorso relativo alle bighe non inizia e non si esaurisce in questo articolo anzi è molto ampio, complesso ed abbastanza difficoltoso. Questo è stato solo un esempio ed un piccolissimo contributo per cercare di chiarire soltanto alcuni concetti fondamentali, sui quali però si compiono la maggior parte degli errori di lavorazione.

 

Dott.ssa Simona Lauri