ALIMENTARE NUOVE IMPRESE
Seminario
A cura di: Soc Umanitaria - Milano, Parco Tecnologico Padano, Consolato Generale del Perù a Milano
Tema: sostenibilità e nuove imprese; nuove colture sostenibili
1. Lei è stata la prima in assoluto in Italia nel 2009 a pensare di divulgare e lavorare la quinoa nel settore artigianale dell'arte bianca, trovando grandissimi ostacoli e molte incomprensioni da parte dei panificatori artigiani. Pensa che, a distanza di circa cinque anni, l'approccio dei panificatori nei confronti della quinoa sia cambiato?
E’ vero quando la lavorai la prima volta, fu una sorpresa anche per me, non solo per le difficoltà tecniche presentate, ma per il suo aroma dolciastro molto intenso di pisello, spinaci lessati e barbabietola che poco aveva a che vedere con il profilo sensoriale del pane comune. Seppur il prodotto abbia incontrato l’immediata apprezzabilità da parte del consumatore, perché rientrava nella linea innovativa dei prodotti salutistici, nutrizionali e nel progetto del sale “mezzo sale” con il Ministero della Salute, non fu cosi per gli operatori che non capirono e non credettero assolutamente in questo pseudocereale. Il mondo dell’arte bianca artigianale non era assolutamente recettivo e pronto a comprendere questo pseudocereale. La limitata reperibilità, la scarsa lavorabilità e limitata conoscenza scientifica della Quinoa da parte della maggior parte dei panificatori artigiani, il prezzo, il fatto che allergie/intolleranze erano ancora delle problematiche abbastanza limitate, la poca attenzione al concetto di “benessere psicofisico” inteso come cura e attenzione del cibo, creò moltissima diffidenza. Il prodotto QUITE esulava del concetto comune di pane bello, voluminoso, bianco, leggero e friabile per cui i panificatori artigiani furono i primi a non accettarlo. A distanza di quattro/cinque anni la mentalità degli operatori è molto cambiata per una serie di motivi che hanno portato gli stessi artigiani a rivalutare il concetto di “pane” tenendo conto proprio dei cambiamenti dell’alimentazione, variazione dei gusti, tendenze, usi e abitudini.
2. Il concetto di pane si sta evolvendo, pensa quindi che in quest’ambito ci sia sempre più spazio per la quinoa e i cereali antichi autoctoni?
In effetti, proprio recentemente si sta assistendo a un nuovo concetto di pane che si affianca a quello della tutela delle tipicizzazioni locali che tutto il mondo ci invidia. La tradizione italiana affianca l’innovazione in un settore molto recettivo e pronto al cambiamento. Sicuramente in quest’ottica la quinoa e i cereali antichi autoctoni italiani saranno valorizzati sempre di più. Frodi e sofisticazioni delle materie prime, additivazione volontaria delle farine con glutine secco, L cisteina, E300, silicati e biossido di silicio, enzimi (transglutamminasi, xilanasi, ecc.) acido fosforico, ecc., mancanza di tracciabilità dei grani, importazione massima delle materie prime dai Paesi dell’Est, concorrenza dei prodotti precotti e surgelati importati sempre dall’Est Europa, insorgenza di un sempre maggiore numero di persone con patologie importanti legate all’assunzione di pane, pasta, pizza, ha spinto gli operatori a rivalutare il concetto di “Pane” e ad utilizzare sempre di più cereali e pseudocereali alternativi per combattere con professionalità e competenza queste problematiche. Attualmente il consumatore, per piacere o per esigenza, si prepara da solo il pane, la pizza, studia e s’informa, ricerca le materie prime migliori da un punto di vista salutistico – nutrizionale, frequenta corsi amatoriali e considera gli alimenti non più solo come cibo per saziare, ma come benessere del corpo e della mente. Tutte le sopraccitate questioni, hanno spinto molti operatori a rivalutare le tecniche di lavoro per adattarle all’utilizzo proprio di cereali antichi e autoctoni o pseudocereali coltivati in Italia, possibilmente a Km0, a preferire farine meno raffinate, realizzare prodotti con un ridotto utilizzo di cloruro di sodio e a offrire “benessere” in un pezzo di pane. E’ fondamentale rivalutare colture autoctone antiche tipiche di ogni Regione. Per esempio, in Toscana – Marche – Umbria varietà come Gentil Rosso, Gentil Bianco, Solina, Verna, per quanto riguarda il frumento tenero, Senatore Capelli, Saragolla per il grano duro, oppure in Sicilia – Veneto varietà come Tuminia o ancora in Sicilia Maiorca per il tenero e Bidi per il duro oppure T. monococcum ssp monococcum oppure dicoccum sia per quanto riguarda un discorso di tracciabilità sia di sicurezza di filiera (fitofarmaci, concimi chimici nel terreno, trattamenti chimici sulle cariossidi in stoccaggio ecc.) ma soprattutto per un discorso ambientale, nutrizionale e salutistico (farine non additivate, percentuale ridotta di glutine, minor presenza di sequenza aminoacidica “tossica” per i celiaci, basso IG, elevata digeribilità, maggior presenza di antiossidanti, sali minerali, nessuna pressione selettiva, miscuglio di diversi genotipi ecc.) Per esempio, abbiamo dell’ottimo grano Khorasan biologico in Italia, ma nessuno lo acquista semplicemente perché non c’è il marchio Kamut americano e il consumatore confonde il nome del semplice marchio commerciale brevettato per una varietà di cereale! Come semplice opinione personale direi…difendiamo le nostre colture, utilizziamo (dove è possibile) la ridotta produzione dei nostri frumenti, tuteliamo le nostre aziende della filiera del comparto dell’arte bianca, pulite, serie e oneste ... solo cosi potremmo far ripartire l’economia locale italiana. In quest’ottica di tradizioni locali si deve però affiancare l’innovazione, intesa come riscoperta o scoperta per certe popolazioni, di cereali come il Teff o pseudocereali come la Quinoa coltivati in Italia, perché l’apporto nutrizionale e salutistico è elevatissimo e l’impiego vede sbocchi sia nell’innovazione sia nel gluten free, sia in abbinamento con lo stesso frumento per migliorare ulteriormente l’apporto nutrizionale del prodotto finale.
3. Recentemente una trasmissione televisiva ha evidenziato le differenze nutrizionali tra i tipi di farina e la differente quantità di glutine. Ritiene sia corretto?
Da un punto di vista botanico nutrizionale, l’informazione è stata corretta soprattutto quando ha fatto vedere la differenza nutrizionale tra una Tipo OO e una Tipo 1 – 2 . La Tipo OO è la più scarsa da questo punto di vista, perché è quella con il grado di abburattamento più basso e che è estratta solamente dalla mandorla farinosa interna dell’endosperma amilifero, mentre man mano che s’innalza il grado di abburattamento, s’includono lo strato aleuronico e le parti più esterne (dalla mandorla farinosa verso l’esterno) della cariosside ricchi di principi nutritivi come Sali minerali, fibre e vitamine. A mio parere c’è stata invece una non corretta informazione quando si è messo in relazione la quantità di glutine con i TIPI in particolare con la Tipo OO. E’ vero che molte patologie, tra le quali proprio la celiachia, intesa come enteropatia immunomediata dall’ingestione di prodotti contenenti glutine, in soggetti geneticamente predisposti, sono scatenate da una particolare sequenza, aminoacidica nelle proteine strutturanti il glutine, ma è anche vero che la struttura glutinica è formata da un complesso sistema di proteine insolubili monomeriche e polimeriche, che non dipende dal grado di abburattamento (Tipo OO, O, 1, 2 integrale), bensì delle cultivar di frumento, condizioni climatiche, concimazione del terreno, fitofarmaci, genoma varietale ecc. Non è quindi corretto, a mio parere, dire in assoluto che una Tipo OO ha più glutine di una Tipo O. Se ce l’ha, è perché lo hanno aggiunto volontariamente! Il problema è quindi un altro: nessuno ha considerato il fatto che le farine possono contenere glutine non naturale. La legge consente l’additivazione volontaria di glutine secco (DM 351/94) da parte dei mugnai, la cui quantità, sommandosi a quella naturale, può sicuramente contribuire a tutte le malattie menzionate, celiachia compresa. E’ vero, non ci sono studi che attestano la correlazione diretta tra l’additivazione volontaria di glutine secco nelle farine e l’insorgenza di patologie, ma sinceramente il sospetto viene, soprattutto perché le leggi sono 1994 - 2001 e guarda caso proprio in quest’ultimo decennio sono aumentati esponenzialmente i casi di allergie, intolleranze ecc. A questa si aggiungano appunto Reg. UE 1129/2001, Reg. UE 1332/2008, Reg. UE 1333/2008, Reg. UE 1829/2003, Reg. UE 1169/2011 che completano il quadro di tutti ciò che è consentito aggiungere come additivi volontari nelle farine, farli passarli per coadiuvanti tecnologici e quindi non dichiararli in etichetta.