Hai un problema tecnico di produzione nel settore dell'arte bianca (pane, pizza, grandi lievitati, prodotti da forno in generale)? Il tuo prodotto ha un difetto? Hai bisogno di consigli? Esponi il tuo problema e Simona Lauri ti risponderà nel più breve tempo possibile.
Olio EVO
Salve dottoressa Lauri vorrei capire una volta per tutte se l'olio EVO nell'impasto pizza sia utile o no. Io aggiungo 20 gr ogni chilo di farina, ma se non lo metto l'impasto sembra lo stesso. Preferisco fare un impasto pizza con un prodotto finito croccante sia per la pizza classica che per quella in pala alla romana. Mi consiglia di omettere l'olio?
Buongiorno a lei. Aggiungere olio EVO ad un impasto da un valore aggiunto nutrizionale molto elevato ed impareggiabile per cui personalemnte le consiglio, se ha piacere, di aggiungerlo fino al limite massimo di 30 g/Kg di farina. Se invece ha la necessità di ottenere un prodotto croccante e friabile purtroppo non è la tipologia di sostanza grassa che le consiglierei proprio per la sua particolare formulazione chimica che ha la tendenza a dare pesantezza ed effetto shortening se va oltre il 4 - 5% sulla farina aggiunta. Spero di aver risposto esaurienetemente al suo quesito. Un saluto cordiale e grazie
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Impasto Ventilato
Dottoressa buongiorno,con alcuni amici pizzaioli si parlava di una metodologia di lavorazione diretta lunga che si chiama "impasto ventilato". Non so di cosa si tratta.
mi potrebbe dare un'aiuto. nell'attesa di una Sua risposta,porgo cordiali saluti.
Buongiorno a lei. Mi scusi, ma non sarà una vera e propria metodica di lavorazione (autolisi, diretto corto, diretto lungo, indiretto con madre, indiretto con poolish, indiretto con biga, semidiretto, queste sono le metodiche di lavoro), ma solamente alcune pratiche che si possono o meno adottare in fase di lavorazione per aumentare l'aerazione della massa, da qualcuno definita "ventilazione". Le tecniche manuali possono essere differenti e dalla sua email non riesco a comprendere a quale pratica si riferisca in particolare. In linea di massima, lo scopo di aerare l'impasto è quello di: stimolare l'attività respiratoria del S. cerevisiae in modo tale che in presenza di ossigeno produca massa cellulare, acqua e anidride carbonica, abbassare la temperatura, ecc. Tutti gli impasti in fase di impastamento inglobano aria e la quantità dipende dalla tipologia di impastatrice utilizzata: quella che "ossigena" maggiormente la massa è l'impastatrice a bracci tuffanti. Grazie e buona giornata.
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Farina tipo "soffiata"
Buon giorno Dottoressa Lauri, volevo sapere che differenze ci sono tra una farina soffiata e una qualsiasi altra farina di media forza. Quali sono le particolarità reologiche che la rendono quasi indispensabile per ottenere le rosette soffiate. La ringrazio e le auguro una buona giornata.
Buongiorno a lei. Per realizzare il pane soffiato, conosciuto in Italia con questo nome generico oppure con le denominazioni tipiche regionali o addirittura locali come Michetta o Rosetta, occorre procedere con una lavorazione indiretta con tutta biga o al più un diretto lungo con circa 0.8% di lievito fresco sulla farina. In ogni caso che lei opti per una lavorazione piuttosto che un'altra, la farina di grano tenero di partenza deve avere caratteristiche reologiche adeguate per esempio 320 - 330W 0.40<P/L<0.60 e falling number indicativamente di 240 sec. A questo punto qualsiasi farina di grano tenero con tali caratteristiche può andare bene. Grazie e buona giornata.
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Proteine della farina
Buongiorno, ho un dubbio che mi assilla: se la percentuale delle proteine nella farina non sono un valore assoluto perchè non è specificato il tipo di proteina , la stessa cosa vale per il "W" ? Una farina con 300W può avere una maglia glutinica differente da un altra con lo stesso indice di "W" ? Spero di esser stato chiaro. Grazie mille!
Buongiorno a lei. Mi scusi non riesco a comprendere pienamente il suo quesito. Le tipologie di proteine incluse nel frumento si conoscono molte bene a tal punto da identificare con certezza che, della totalità delle proteine, il 15% circa sono solubili (albumine, globuline, minima parte di peptidi, enzimi della farina ecc.) e il restante 85% sono insolubili. Queste percentuali sono variabili e identificative del cereale di partenza (frumento, segale ecc.) In questa ultima categoria (proteine insolubili responsabili della struttura viscoelastica chiamata "glutine"), si includono le LMW (gliadine) e le HMW (glutenine). A sua volta le LMW si dividono in frazioni proteiche o subunità identificative di ciascuna specie botanica e/o varietale tali da affermare per esempio che le gamma gliadine non sono presenti nel frumento duro, mentre le alfa e beta presentano una struttura primaria molto molto simile da identificarle come alfa - gliadine ecc. cosi come le glutenine si dividono in differenti sottounità con struttura primaria particolare. In funzione quindi della struttura primaria, sequenza amminoacidica, del tipo di concimazione, natura dei legami, pH, PI, ecc. sia le LMW sia le HMW, in acqua e mediante agitazione meccanica, mutano il loro stato nativo e interagiscono tra di loro con legami intra e inter catena tali da definire il comportamento reologico quindi il W, P/L e R/E di una struttura. Il W, a sua voltà, è identificativo sia della quantità sia della qualità delle strutture native presenti. Le strutture proteiche naturali che identificano la W e quindi la maglia, sono le stesse (ripeto a meno di differenze minime sulle subunità all'interno delle varietà nella stesse specie botanica); quello che può causare, a parità di W, un differente comportamento reologico in termini di P/L, può forse dipendere dal fatto che il valore in questione sia un valore naturale (strutture proteiche presenti naturalmente nello sfarinato in questione) oppure raggiunto con aggiunta volontaria di glutine secco. Nella speranza di aver compreso pienamente il suo quesito, la ringrazio per essersi rivolto al nostro servizio e la saluto cordialmente.
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Fitati e farine integrali
Buongiorno, proprio ieri ho "scoperto" che nelle farine meno raffinate sono presenti i fitati che non permetto l'assimilazione delle sostanze nutritive presenti nella parte più esterna del chicco di grano. Facendo una ricerca veloce ho letto anche che l'azione dei fitati viene annullata da una lievitazione lenta con pasta madre. Potrebbe cortesemente chiarirmi questo aspetto? Grazie mille e buona giornata!
Buongiorno a lei e grazie per il suo sempre attuale quesito. Mi scusi ma per rispondere esaurientemente al suo quesito le riporto un link di un mio articolo scritto circa un anno fa proprio su questa testata http://www.quotidiemagazine.it/archivio/2015/numero-i/acido-fitico-riserva-antinutriente-ed-antitumorale-simona-lauri-ota-milano dove potrà leggere l'azione dei fitati. Lo trova comunque in ARGOMENTI - TECNOLOGIA. Resto comunque sempre a sua completa disposizione per ogni chiarimento, info o quesito a tal proposito. Un saluto cordiale e a presto
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tabelle di conversione lieviti
Buongiorno, vorrei chiederle se esistono dei parametri che permettano di calcolare con una certa facilità il rapporto di conversione tra le varie tipologie di lieviti utilizzati; posta una ricetta che preveda, per esempio, l'uso del lievito di birra secco, come posso calcolare la dose equivalente di lievito di birra fresco, poolish, biga o lievito madre da utilizzare? e sopratutto quali accorgimenti (riduzioni, aumenti, integrazioni degli altri ingredienti) devo tenere in considerazione nell'effettuare le sostituzioni?
Buongiorno a lei. Non esiste un rapporto di conversione che permetta di passare da una biga al lb, dal poolish alla madre ecc. L'unica cosa di certa, considerata da professionisti, è il rapporto di conversione in massa tra il lievito di birra fresco e quello secco. In linea di massima si considera 3:1 cioè per passare dal quantitivo in massa di lievito di birra fresco a quello secco basta dividere il valore per tre o moltiplicare se passa dal secco al fresco. Per tutto il resto, ripeto non ci sono fattori di conversione a livello professionale che permettano di passare da una lavorazione al'altra, ma tutto dipende dalla tipologia di prodotto ecc. Non ha senso, tecnicamente parlando, poter paragonare la lavorazione con biga rispetto alla madre e poolish. Sarebbe molto più corretto dire che non tutte le lavorazione possono esssere usate indistintamente per tutti i prodotti, perchè hanno vantaggi e svantaggi e tutto dipende dal prodotto stesso. Grazie a lei.
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Differenze nelle paste madri liquide o solide
Egregia Dottoressa,
si dice sempre che ogni pasta madre è differente in base alla zona di "residenza". Ogni giorno, noi amatoriali osserviamo foto di paste madri liquide o solide, ognuna delle quali si presenta visivamente in modo diverso. Mi spiego meglio.
Alcune presentano alveoli molto pronunciati, alcune alveoli molto minuti.
La prima domanda è: è possibile che la differenza in alveoli si riversi anche nel prodotto finito? La seconda domanda è, può essere possibile che questa notevole differenza sia coincidente con una prevalenza di alcune specie di microrganismi rispetto ad altri e rispetto alle zone di residenza?
Ringraziandola per la sua cordiale disponibilità, le auguro buona giornata.
Buongiorno a lei. Si, le forme microbiche che si sviluppano all'interno di una madre sono autoctone e uniche e risentono della contaminazione delle materie prime utilizzate, del locale di produzione, delle attrezzature, ecc. Ognuno ha la sua madre all'interno della quale si svilupperà una microflora differente autoctona, ma tendenzialemnte costituita da batteri lattici (caratteristica microbica della MADRE) con altre forme microbiche tra le quali, il più comune lievito è il genere Saccharomyces specie cerevisiae. La struttura degli alveoli è data dalla tipologia di metabolismi che dominano all'intero. Mi spiego meglio, se predominerà una fermentazione alcoolica tipica dei lieviti ci saranno alveoli molto sviluppati ed evidenti sia in numero sia in dimensioni. In caso contrario, con metabolismi tipici dei lattici, la struttura sarà più chiusa presentandosi con tanti, ma piccoli alveoli. Quindi la valutazione visiva degli alveoli interni della struttura di una madre può dare una indicazione visiva di quale probabile coltura domini all'interno; alveoli tanti e grossi indicano tendenzialmente una fermentazione alcoolica tipica da contaminazione di lieviti S. cerevisiae o specie similari, alveoli tanti ma piccoli ed omogenei è una fermentazione che porta uno sviluppo di anidride carbonica non "spinta" dovuta alla coltura dominante dei lattici. E' chiaro che da sola non è sufficiente tant'è vero che, a livello artigianale, si abbina una valutazione sensoriale olfattiva e gustativa oltre alla valutazione cromatica. Nella speranza di aver risposto esaurientemente al suo quesito le auguro una buona giornata.
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Grani Italiani
Buonasera Dott. Lauri e tanti complimenti per la sua professionalità e chiarezza.
Le scrivo perché da circa due anni mi sono avvicinato all'arte bianca. Nella produzione casalinga prediligo l'utilizzo di grandi italiani, sia con PMS che con Licoli, come la Solina, Verna, Saragolla ed ultimamente Autonomia B (sempre in purezza). Devo però purtroppo constatare che i risultati in termini di espansione, alveolatura e leggerezza lasciano un po' a desiderare. Inoltre la qualità dell'impasto lascia molto a desiderare e quasi sempre devo farlo a mano per evitare che lo stesso si stracci. Ho provato con diversi sistemi, diretto, indiretto, con poolish ma senza apprezzabili risultati se non con il prefermento al 30%. Desidererei chiederle se può suggerirmi un procedimento da prediligere con questi grani notoriamente deboli. La ringrazio anticipatamente per la sua risposta.
Buongiorno a lei. Lavorare con frumenti definiti "antichi" o meglio ancora "storici" non è facilissimo proprio perchè mediamente, tali frumenti, hanno indicativamente quasi tutti un valore di W inferiore a 100. Si possono lavorare, ma non è consigliata la metodica con PM perchè tali strutture non possono sopportare la degradazione proteasica dei lattici. Le consiglio pertanto una lavorazione indiretta con biga. In ogni caso la struttura dei prodotti finiti in termini di alveolatura della mollica, volume ecc. è differente: mollica con texture più chiusa e volume inferiore proprio perchè presentano proprietà reologiche differenti. Un saluto cordiale e a disposizione
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Farina di orzo e farina maltata di orzo.
Buongiorno Dottoressa! Volevo chiederle alcune delucidazioni in merito ai miglioranti da usare eventualmente negli impasti. In particolar modo vorrei capire che differenza c'è tra Farina d'orzo e farina di orzo maltata (ammesso che ci sia). Ed ancora un altro quesito relativo agli zuccheri (Saccarosio, maltosio, fruttosio) Come cambia il mio impasto relativamente alle diverse tipologie di zuccheri? Grazie in anticipo per la vostra disponibilità e cordialità!
Buongiorno a lei. Parto dal primo quesito quello relativo alla farina di orzo ed eventuale farina di orzo maltata. Per ottenere la farina di orzo si parte dal cereale orzo gen. Hordeum e si sottopone a macinazione. Non è un cereale adatto all'alimentazione per persone che presentano patologie relative alle gliadine (ricordo che si parla di glutine solo dopo l'impastamento e non prima perchè è una struttura viscoelastica che si forma dopo!); ha diverse proprietà tra le quali rinfrescanti, decongestionanti, ricca di beta glucani, facilmente digeribile ecc. Per quanto riguarda invece la farina di orzo maltata non è la farina di orzo tal quale e non deve essere confusa con essa. La farina maltata contiene invece malto proveniente dalla germinazione di cereali come appunto i più comuni: orzo, frumento ecc. messi a macerare e germinare. Successivamente la piantina viene separata e la cariosside macinata. Questa operazione di germinazione della cariosside permette di ottenere un prodotto ricco di enzimi (amilasi in particolare) e di maltosio che naturalmente si attivano. L'utilizzo di farine maltate risulta utile nel caso di farine con scarsa o bassa attività amilasica o per lavorazioni indirette lunghe. Non devono essere usate tal quali, ma la loro dose di impiego (percentuale sulla farina) dipende dalle Unità Pollack. In linea di massima sulla confezione è consigliata la percentuale di utilizzo. Per quanto riguarda invece il suo secondo quesito, il discorso è molto complesso. Il saccarosio è il comune zucchero da cucina. L'utilizzo di zuccheri semplici nell'impasto prevede l'impiego di mono e di saccaridi che differiscono per alcune proprietà. Chimicamente il saccarosio è un disaccaride cioè formato da glucosio + fruttosio fonde indicativamente a 180 - 185°C. e il suo potere edulcorante per convenzione viene paragonato a 1.Il Fruttosio è invece contento nella frutta, nel miele, e in alcuni vegetale (cipolla e carota). Il suo potere edulcorante è superiore a quello del saccarosio (1,5) per cui la sua dose di impiego è inferiore a quella del saccarosio. Il Galattosio non si trova quasi mai allo stato libero, ma combinato al glucosio a costituire il lattosio, lo zucchero del latte,e nella composizione di glucidi più complessi come i galattooligosaccaridi. Ha un basso potere edulcorante (0,60). Il Maltosiosi forma in uno degli stadi dell’idrolisi dell’amido catalizzata da un enzima,diastasi, sviluppato durante la germinazione del cereale Ha un potere edulcorante di 0.33 sempre rispettoa la saccarosio. Il Lattosio è un disaccaride (glucosio + galattosio) presente esclusivamente nel latte e presenta un potere edulcorante pari a 0.33. Il Glucosio è invece noto anche come destrosio ed è lo zucchero più diffuso in natura. Ha un potere edulcorante di 0.76 (di poco inferiore al saccarosio). A livello di struttura di impasto, se la percentuale di zuccheri non è eccessiva (dipende dal prodotto), questa non cambia in maniera significativa; quello che invece può essere determinante è il potere edulcorante per cui, in base ai saccaridi utilizzati si deve ridurre o aumentare le dosi rispetto al saccarosio. Grazie
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Indice di Hagberg o Falling Number
Gentilissima Dottoressa,
spesso, leggendo le schede tecniche di uno sfarinato, viene indicato un valore, espresso in secondi, relativo all'indice di caduta o Hagberg.
Dalle varie letture evinco che si riferisce ad un parametro importante che ci indica l'attività amilasica svolta dallo sfarinato a contatto con l'acqua e che il numero/parametro, indica l’attività enzimatica espressa in secondi relativa a quanto tempo intercorre prima che alfa amilasi arrivi a degradare i granuli di amido. Ho compreso che il test incide notevolmente e in modo indiretto sul grado di maturazione del frumento e anche sul suo stato di conservazione. Quello che non mi è molto chiaro è: esiste un legame tra il FN e le proteine (solitamente espresse in percentuale sua sulle etichette, sia sulle schede tecniche) della farina? Come ci si deve comportare se i valori di FN non sono compresi nel range classico 270/330? Perché se il FN è basso, con un più elevato numero di proteine si può pensare di panificare nonostante il parametro non sia compreso nel range accettabile? Infine, esiste un nesso tra il fermo macchina e la ripresa della lavorazione durante tutta la fase di impastamento?
La ringrazio infinitamente, per la sua cortese risposta sperando di far chiarezza poiché spesso leggiamo tanto, capiamo probabilmente poco e capita che qualcuno ci sconvolge anche quel poco che crediamo di aver capito.
Buona giornata.
Buongiorno a lei e grazie per il quesito molto interessante. Il Falling number o Indice di caduta Hagberg misura la viscosità di una sospensione di sfarinato in acqua rendendo evidente la degradazione enzimatica da parte delle amilasi sulla salda d’amido. La salda d’amido è quella struttura che si forma quando i granuli di amido assorbono acqua. Alla temperatura di lavorazione e di fermentazione (28 – 30°C) solo i granuli di amido rotti durante la macinazione sono attaccabili dalle amilasi, mentre la restante parte di granuli interi forma la salda d’amido solo nel momento della cottura cioè quando la temperatura raggiunge valori prossimi ai 55 – 60°C ossia raggiunge valori definiti di "transizione vetrosa". Il risultato di detta analisi è espresso in secondi ed è inversamente proporzionale al contenuto di α amilasi. Tale indice permette di evidenziare particolari situazioni della cariosside di frumento (elevata attività amilasica: pre -germinazione, stoccaggio del grano e della farina a temperature e U.R elevate, ritardo nella mietitura, rottura eccessiva dei granuli di amido durante la macinazione ecc.) e quindi di elevata o scarsa presenza di amilasi che favorirebbero la formazione di prodotti finali con difetti di mollica, volume e colorazione della crosta. Non c’è assolutamente una correlazione diretta tra l’attività amilasica e la forza della farina (W non contenuto totale delle proteine) anche se qualche volta è stato notato che le farine di forza presentano un’attività amilasica inferiore a quelle definite “deboli”, ma questo può dipendere da diversi fattori. In ogni caso, si può cercare di correggere lo sfarinato quando i valori risultano esterni al range ottimale di 200 - 240 sec. Se è superiore al limite massimo, si procede aggiungendo malto, mentre nel caso opposto si può cercare di procedere con una metodica di lavoro molto particolare che non consiste assolutamente nè nell'allungare i riposi in massa, nè tanto meno operare il fermo macchina ecc. Il valore del FN non dipende e non è in correlazione (diretta o inversa) con la percentuale di proteine presente nello sfarinato, ma rappresenta unicamente una valutazione dell'attività enzimatica delle amilasi. Spero di essere stata esaustiva e chiara. Un saluto cordiale
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Biga o maturazione in frigo?
Buongiorno Simona volevo chiederle che differenza c'è tra fare il pane con una biga di 48 ore o fare l'impasto diretto completo compreso di sale e farlo maturare per 48 ore in frigo? Inoltre volevo chiederle che cosa ne pensa di questa ossessione per ottenere i buconi nella mollica del pane che si vede su internet? Ho visto molti pani sovralievitati e ciabatte con tre buconi e la crosta intorno; forse sta' passando un messaggio sbagliato che il pane fatto bene ha i buconi? E' passato un bel po' di tempo ma a me è stato insegnato il contrario cioè che il pane con i buconi è stato formato male. Lei che ne pensa? Grazie.
Buongiorno a lei. Grazie per essersi rivolto/a al nostro servizio di assistenza online. Rispondo prima di tutto al suo primo quesito quello inerente la biga. Fare un pane con una biga di 24 - 36 - 48 ore (poco importa purchè sia stata stoccata in condizioni opportune!) vuol dire apportare una cultura di S. cerevisiae, dare forza e struttura alla massa, lavorare con percentuali di lievito aggiunto al rinfresco molto basse, standardizzare la produzione, garantire una miglior conservazione e sensazioni organolettiche e un volume e sviluppo maggiore. Far maturare un impasto diretto per 48 ore vuol dire garantire digeribilità, ma nello stesso tempo impartire molta debolezza alla struttura glutinica facendo trasudare acqua. Non sempre le proprietà reologiche degli sfarinati in questione possono sopportare la lavorazione con il freddo. Ci sono delle tipolgie di pane per le quali non può utilizzare la tecnica del freddo proprio perchè viene a mancare lo sviluppo successivo in fermentazione per estrema debolezza. In termini di digeribilità ne possiamo parlare, perchè tutto dipende da quanta, e se aggiunge, farina nel rinfresco. Per quanto riguarda invece la presenza di grossi alveoli nella mollica questo dipende soprattutto dall' attività del S. cerevisiae (produzione maggiore di CO2 rispetto a molte specie di LAB). Le dimensioni e il numero degli alveoli dipendono da differenti fattori quali: tempi di riposo in massa, tempo della prima puntata, idratazione, temperatura della massa, proprietà reologiche della farina soprattutto estensibilità, temperature di fermentazione, percentuale di biga usata, temperatura dell'acqua utilizzata, ecc. Ha ragione comunque, sembra che sia diventata, anche questa una "moda" o meglio una gara assurda senza senso. Per ottenere certe strutture, non basta l'abilità personale, ma occorre partire da sfarinati con prestazioni "eccezionali". Una cosa è certa non c'è una relazione diretta tra buchi/qualità o per lo meno non è sempre vero che il pane fatto bene deve avere gli alveoli grossi. Tutto dipende unicamente dalla tipologia di prodotto che si desidera ottenere; una eccessiva alveolatura, in alcuni casi, può essere anche indice di errori durante la formatura, lavorazione, scelta errata di infornamento, di temperature eccessive, ecc.. Grazie e buona giornata
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Fermentazione spontanea: rischi e benefici
Salve dott. Lauri vorrei la sua opinione sulla nuova tendenza di creare fermentazioni spontanee senza l'utilizzo di lievito. Mi sembra un business per chi la vende e un rischio per chi mangia i prodotti derivati. Distinti saluti.
Buongiorno a lei. Mi trova pienamente d'accordo non solo, ma il rischio microbiologico è molto molto elevato. Mi spiego meglio: se è una fermentazione spontanea, le partenze per ottenere le fermentazioni sono molto variabili e non è detto che quando si vede gas questo sia prodotto sempre e solo unicamente dal S. cerevisiae e/o dai lattici delle specie trovate per esempio nella madre. Anche il C. botulinum produce bombaggi (aria) e quindi? Anche molti batteri aerobi patogeni, causa di gravi tossinfezioni, infezioni, intossicazioni alimentari, producono gas quindi? Le fermentazioni spontanee sarebbero fantastiche e ideali se ci fosse una identificazione microbiologica (screening microbiologico specifico) di partenza ben chiara, se non ci fossero contaminazioni incrociate, se le condizioni fossero microbiologicamente rigorose (fattori di crescita, sviluppo ecc.) e costantemente monitorate ecc., in caso contrario, sono molto pericolose soprattutto perchè l'acqua con le sostanze disciolte (zucchero, ecc.) in essa, può essere un ottimo terreno colturare per far proliferare qualsiasi e dico qualsiasi microrganismo e quindi risultare molto rischioso da un punto di vista microbiologico. Non si scherza con i microrganismi! Ribadisco quindi che le fermentazioni spontanee sono estremamente pericolose soprattutto se condotte da persone che non hanno alcuna base di microbiologia e avvengono in condizioni non controllate. Non segua questa ultima "moda" e non si fidi mai di questi maestri GURU improvvisati.Grazie a lei. Un saluto cordiale e sempre a disposizione
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chiarimento su "Confusione tra prefermento e rinfresco"
Salve,ho letto la sua risposta sulla precedente domanda “Confusione tra prefermento e rinfresco ” e mi scusi, ma non c’ho capito molto. Provo a riformulare ,precisando che si parla sempre di pasta madre liquida idratata al 100%; Se prendo 50 gr di pml e aggiungo 150 di acqua e 150 di farina che userò per panificare poco prima del suo collasso ,ho fatto 350 gr di poolish o ho solo rinfrescato 1 a 3 ?In altre parole c’è differenze tra panificare usando la procedura appena descritta o prendere direttamente 350 gr dalla mia scorta di pml e impastare? La ringrazio per la gentilezza e per il servizio che offre.
Buongiorno a lei. Se si riferisce alla domanda già pubblicata in precedenza su questa rubrica, con il termine "prefermento" ci si riferisce alla cultura iniziale, indipendentemente dalla modalità di conservazione (solida, liquida, in acqua o libera). Se a questa cultura (prefermento) iniziale aggiunge acqua, farina, indipendentemente dal rapporto di allungo 1:1, 1:2, 1:3 ecc., sta operando un "rinfresco". Di questo rinfresco può decidere cosa farne in base alle sue esigenze: può "usarlo" per realizzare i prodotti oppure "mandenerlo" fino al/i giorno/i seguenti. In ogni caso quando aggiunge acqua e farina opererà sempre un "rinfresco" o "rigenero della cultura" o "rigenero" o "rinfresco del prefermento iniziale". MI scuso se non sono stata chiara in precedenza. Un saluto cordiale
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Alte idratazioni.
Buonasera, vorrei qualche delucidazioni sulla metodica di lavoro utilizzando impasti ad elevata idratazione in particolare desidererei conoscere la temperatura dell'acqua da usare ed eventualmente le pieghe per il rinforzo. Grazie
Buongiorno a lei. La prima difficoltà che incontra nell'affrontare impasti con elevata idratazione (idratazione maggiore dell'80%) è la modalità di introduzione dell'acqua nella massa delle polveri che, a sua volta, è influenzata dalla temperatura della stessa acqua. In linea di massima, nel settore della panificazione e quindi mi riferisco unicamente al pane e non alla pizza, la temperatura della massa a fine impastamento deve essere compresa tra i 27 - 29°C in base alla stagione. Da questo parametro, si parte per calcolare la temperatura dell'acqua da utilizzare che tiene conto, non solo della temperatura ambiente, della farina utilizzata, della metodica di lavoro, ma dei gradi di riscaldamento meccanico in base alla differente tipologia di impastatrice utilizzata (spirale, tuffante, forcella, planetaria, ecc.) La formula da utilizzare è la seguente: temperatura impasto finale X3 da cui sottrarre la temperatura della farina, dell'ambiente e i gradi dovuti al riscaldamento meccanico. In linea di massima, la temperatura dell'acqua non è quasi mai inferiore ai 22 - 23°C e pertanto, se l'impasto raggiunge a fine impastamento la temperatura soprariportata, non ha, in linea di massima, quasi mai bisogno delle pieghe di rinforzo, dopo l'impastamento, nella fase della lavorazione successiva. Per quanto riguarda la modalità di introduzione di un quantitativo cosi elevato di acqua rispetto alla farina, deve procedere aggiungendo all'inizio, all'avvio della macchina, circa la metà del liquido e successivamente, dopo qualche minuto, il restante quantitativo fino a completare con l'aggiunta a "filo" dell'ultima parte. Se optasse invece per un impastamento manuale di piccole quantità, solo in questo caso, parta ad impastare dall'acqua. Prenda un contenitore, aggiunga tutta l'acqua a circa 25 - 28°C, sciolga il lievito e aggiunga la farina poco alla volta, il sale e ancora la restante farina. Non è facile avviare impasti ad elevate idratazioni in quanto l'assorbimento dell'acqua è funzione di tantissime variabili: tipologia di impastamento (manuale, meccanico) parametri reologici della farina, tipologia di impastatrice utilizzata (con piantone centrale, concavità della vasca, disegno tecnico della spirale, ecc.) velocità di impastamento, temperatura dell'acqua, assorbimento da parte della farina ecc. Mi scusi, ma è veramente difficoltoso spiegare attraverso una semplice email la modalità di lavorazione da adottare quando si è in presenza di impasti definiti "molli" soprattutto perchè cambia la manualità intesa come avvolgimento e manipolazione della massa. Spero comunque di esserle stata di aiuto. Un saluto cordiale e a disposizione.
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Rinnovo lievito madre
Buongiorno Dottoressa, nel ringraziarla per la sua disponibilità volevo chiederle se nel rinfresco giornaliero del lievito madre utilizzato per produrre pane tipo casareccio è preferibile utilizzare una farina con almeno 300W o va bene anche una farina da 190w. Tenga presente che dopo il rinnovo viene lasciata a temperatura ambiente per circa 5 ore e poi viene riposta in frigo a 6 gradi fino ad un paio d'ore prima dell'utilizzo. Mi conferma inoltre qual'è il giusto grado di acidità della pasta madre per ottenere un prodotto più profumato., avrei intenzione di acquistare un phmetro. Grazie per i suoi preziosi consigli
Buongiorno a lei. Puo utilizzare una farina 280<W<330, mentre se è un semplicissimo rinfresco di mantenimento della cultura che prevede l'utilizzo della stessa dopo 4 - 5 ore anche 180 - 200W. Per quanto riguarda il valore del pH è, in linea di massima, 4.2 - 4.3, ma è un valore molto molto indicativo perchè non è indice assolutamente delle buona riuscita/stato della madre. Da un punto di vista chimico il valore del pH si ricava dalla formula pH = - log(H+) cioè è calcolato sulla concentrazione totale degli idrogenioni in soluzione. Se una soluzione contiene contemporaneamente più acidi, la concentrazioni idrogenionica totale sarà data dai singoli contributi delle rispettive dissociazioni di acidi e sarà calcolata totalizzando i contributi di tutte le sostanze presenti indipendentemente dal tipo di acido. Nel caso di una madre gli acidi possono essere molteplici e differenti in quanto provengono dai metabolismi in atto i quali, a loro volta, dipendono dal tipo di microflora che si è sviluppata. Ricavata la concentrazione totale di tutti gli idrogenioni, in base al grado di dissociazione degli stessi acidi (svolgendo anche equazioni di quarto grado) in soluzione, è molto intuibile il calcolo del pH dalla formula che le ho riportato. Questo per dire che il solamente valore del pH non esprime assolutamente una valutazione corretta dello stato della madre, ma soprattutto non esprime da quale dissociazione di acidi esso deriva (acido acetico, lattico, butirrico, propionico ecc.). Posso quindi avere due madri con lo stesso valore di pH ed essere completamente differenti e tali ,magari, da non poterle usare entrambi. Non acquisti quindi una strumentazione cosi sofisticata e costosa, ma una semplice cartina tornasole (indicatore) che vira il colore in base al range di pH. Valuti sempre da un punto di vista sensoriale lo stato della sua madre, regoli la temperatura di conservazione e controlli quella a cuore. In caso di percezione acetica molto marcata proceda con bagno o lavaggio con acqua al massimo 20°C. Un saluto cordiale
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Lecitina di Soia - Quali Vantaggi?
Buongiorno Dott.ssa Lauri, seguendo blog esteri di Pizza & Pane, spesso leggo dell'utilizzo di Lecitina di Soia, di norma tra l'1% ed il 2% su Farina. Ci sono vantaggi nell'utilizzo della Lecitina nella produzione di Pane o Pizza (Napoletana e/o Teglia)? Grazie per la Sua grande disponibilità.
Buongiorno a lei. Personalmente userei una quantità di lecitina di soia tra 0.5 - 1.0% sulla farina max 1.5%. I vantaggi del suo utilizzo risiedono unicamente nel fatto che tali molecole (correttamente si identificano come lecitine e non lecitina) sono degli emulsionanti naturali e pertanto svolgono un miglioramento reologico in impasti, incrementato in quelli che contengono anche una sostanza grassa. I vantaggi nella tecnologia di panificazione (pane, pizza ecc.) consistono nell'interagire con l'amido in fase di retrogradazione migliorando la shelf life, incrementano la ritenzione di gas all'interno della massa per azione sulla struttura glutinica quindi portano a un miglior sviluppo del prodotto in fase di fermentazione e cottura. Riduzione del fenomeno dell'essicamento o perdita di acqua in fase di trasudamento e raffermimento. Riduzione dei tempi di impastamento, miglior alveolatura e texture della mollica riducendone il senso di secchezza. Nella pizza napoletana STG non sono ammesse da disciplinare, mentre per le altre tipologie a sua discrezione. Grazie a lei
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Maturazioni infinite
Salve dottoressa Lauri vorrei una sua opinione sul fenomeno degli impasti pizza a maturazione infinita. Sempre più pizzaioli utilizzano tecniche di impasto con puntate di 20-30 ore a temperature ambiente rigeneri e altra roba con panetti senza forma con idratazioni fuori dai canoni della pizza classica. A cosa si va incontro optando per queste lavorazioni?
Buongiorno a lei, mi scusi se le rispondo con una frase che non è molto scientifica ma rende molto molto bene l'idea. Le farine, se sono tali e sono senza additivi volontari, hanno un limite di struttura reologica dovuto alla naturale forza e all'azione enzimatica che si innesca a determinati valori di temperatura, acidità ecc.che si raggiunge con il passare del tempo. PIù le farine hanno valori di W elevati (max 350 - 380) più sono in grado di sopportare tempi lunghi sia di maturazione/fermentazione sia sforzi meccanici. Le farine che non sono propriamente "tali", ma sono decisamente additivate con additivi volontari questo limite non ce l'hanno, non solo ma presentano un assorbimento molto elevato di acqua. Le faccio un esempio: una idratazione al 100% permette di ottenere un impasto molto molle ma molto incordato; se ciò non accade e l'impasto resta "solo" morbido .... Si può anche rischiare, nel tempo, uno sviluppo non desiderato da un punto di vista microbiologico, piuttosto che un collasso della struttura. Se fossimo nel campo dell'edilizia, tali sfarinati potrebbero essere paragonati al "cemento armato". Dal mio punto di vista non è un vanto, come professionisti, fare tali affermazioni e soprattutto perseverare con tali tecniche di lavoro. Un saluto e sempre a disposizione
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Confusione tra prefermento e rinfresco
Gentilissima Dottoressa, sono a scriverle di nuovo per un chiarimento poiché tra quello che leggo in giro e quello che invece ho intuito leggendo le sue rubriche mi si è creata un pochino di confusione.
In merito alla pasta madre acida, prefermento e rinfresco sono o non sono la stessa cosa? Mi spiego meglio...Se prelevo 50 g della mia pasta madre acida idratata al 100% e aggiungo 150 g di acqua e 150 g di farina, ho fatto un rigenero o un prefermento? Io sono convinta di aver rinfrescato in proporzione 1:3 ma potrei aver confuso i processi di fermentazione. Un prefermento alla fine cos'é realmente? E' veramente diverso da un rigenero? La ringrazio infinitamente per il chiarimento che vorrà darmi.
Buongiorno a lei. Nel linguaggio comune, il termine "madre", soprattutto se inteso nella forma liquida, è indicato anche come "prefermento". In linea di massima e in parole semplici il "prefermento" è la cultura iniziale. Se lei preleva una porzione di madre o pasta acida naturale o prefermento e aggiunge ad essa acqua, farina, in qualsiasi proporzione, in quel caso sta operando un "rinfresco" o "rigenero" della sua cultura cioè sta apportando acqua e sostanze nutritive che a loro volta rigenereranno/rinfrescheranno la cultura microbica, qualsiasi essa sia. Il termine "rinfresco" poi non deve, a sua volta, essere confuso con il vocabolo "lavaggio" o "bagno". In quest'ultimo caso, l' operazione è condotta seguendo queste fasi: pelare la madre, tagliare a fette, posizionare le fette in un bagno di acqua a 20°C per circa 10 - 15 minuti. Dopo questa operazione farà quindi seguito il "rinfresco" cioè l'aggiunta di acqua, farina ecc. Un saluto cordiale
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Olio EVO nell'impasto per "Verace pizza napoletana"
Buongiorno Dott. Lauri. Conoscendo tutti i vantaggi che una sostanza grassa (olio EVO in particolare) apporta sull'impasto per pizza, volevo chiederle se secondo Lei c'è un motivo particolare per cui nel disciplinare della "Verace pizza napoletana" non è consentito l'aggiunta di esso. Ci sono degli svantaggi particolari? La ringrazio anticipatamente per la Sua risposta.
Buongiorno a lei. No nessun svantaggio particolare... assolutamente! Viene aggiunto dopo sull'impasto e non è, come ha detto lei, consentito nell'impasto. Con tutto il rispetto, ma questo quesito lo dovrebbe porre direttamente al Presidente dei Pizzaiuoli Napoletani Verace pizza napoletana Sign. Sergio Miccu. Grazie a lei per la stima. Un saluto cordiale e sempre a disposizione
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Differenze tra grano tenero e grano duro.
Buongiorno dott.ssa, volevo chiederle se potrebbe specificare le differenze sostanziali che hanno il grano duro e quello tenero e le diverse classificazioni del grano duro e possibilmente ai tempi max di lievitazione rispetto al grano tenero. Come sempre la ringrazio in anticipo.
Buongiorno a lei. Le differenze sostanziali tra le varietà di frumento tenero e duro sono tendenzialmente genetiche e di specie. Non è assolutamente facile rispondere per post, ma sarà sicuramente pubblicato un approfondimento sui prossimi numeri della testata o nella rubrica Scienza e Scuola di Arte Bianca. Scusandomi per l'impossibilità momentanea di rispondere, le invio i miei più cordiali saluti.
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Differenze tra impasto autolitico ad 1 ora 3, 6 o 24
Salve dottoressa. sono un suo fan che ha gia`fatto domande in precedenza a e che segue il magazine spesso. La mia domanda è sulle differenza di autolisi da tipo due ore a 24 ore. Che risultati riscontrero`con un riposo prolungato? per una classica di un idro 60 me la consiglierebbe? Vedo collegi lavorare per impasti ad alte idratazioni con tale metodo e ho notato grandi risultati. Sui vari testi non trovo scritto le differenze esatte. Potrebbe dirmi,ovviamente quando ha tempo, che differenza c'è, in quali casi usare molte ore di auotolisi? io lo vorrei provare x una classica idro 60 ed una teglia idro 75 lavorando con farine medio forti . Grazie come sempre.
Buona giornata a lei. Il metodo dell'autolisi a freddo si adotta in particolari condizioni e non sempre come abitudine routinaria. In linea di massima si consiglia questa metodica di lavoro quando le farine sono squilibrate e presentano un P/L maggiore di 1.5 oppure quando si è in presenza di farine di tipo integrale o macinati interi nelle quali c'è la necessità di far assorbire, alle parti cruscali, un elevato quantitivo di acqua. IL tempo di riposo è molto variabile e appunto dipende principalmente dalle caratteristiche reologiche della farina; più ha valori elevati di W e di P/L più si può prolungare il tempo di riposo dell'impasto autolitico. In ogni caso, la metodica è basata sulla "lisi" che subisce la maglia glutinica. Questo metodo viene adottato per aumentare la morbidezza dell'impasto, il volume e velocizzare il processo dell'impastamento successivo, in conseguenza proprio della lisi o rottura enzimatica che subisce la maglia glutinica durante il riposo. A questo generalmente fa seguito una migliore lavorabilità, un aumento di volume e nel prodotto finito una migliore alveolatura della mollica. Prevede tre fasi di lavoro di cui la fase intermedia del riposo è di lunghezza variabile.La prima fase consiste nella miscelazione di farina e circa il 53 – 55% di acqua ed impastata per circa 6 – 8 minuti in prima velocità utilizzando una impastatrice a spirale, 9 – 10 minuti con una impastatrice a bracci tuffanti e circa 12 – 15 minuti con una impastatrice a forcella. Lo scopo di questa fase è quello di idratare tutti i componenti della farina in particolare i complessi proteici responsabili della struttura glutinica. La seconda fase è di estrema importanza per il complesso delle modificazioni chimico – fisiche che avvengono. E’ proprio in questa fase che avviene la cosiddetta “lisi” proteica ad opera delle endopeptidasi endogene. E’ chiaro che più è lungo il tempo di riposo maggiore sarà la lisi proteica; a ciò si aggiunga il fatto che prendono avvio altre catalisi enzimatiche ad opera di amilasi ecc. agevolando le fasi successive della lavorazione (impastamento finale, fermentazione, cottura ecc.). La durata del riposo può variare da un minimo di 15 minuti ad un massimo di 24 ore e la sua variabilità è dovuta proprio alle caratteritiche reologiche. Se il riposo si protrae per oltre le 6 ore occorre aggiungere anche la quantità di sale prevista dalla ricetta e operare uno stoccaggio a circa 18°C. Questa miscela autolitica sarà ripresa tutta o solo in parte ed impastata nuovamente con il resto degli ingredienti mancanti. Nel caso di un breve riposo di 10 - 20 minuti al massimo a temperatura di circa 18 – 20°C (condizione ideale e da preferire) la miscela "autolitica" lasciata riposare direttamente nella vasca dell'impastatrice, è ripresa tutta ed impastata nuovamente con l'aggiunta degli ingredienti mancanti cioè sale, lievito ecc., mentre se si protraggono i tempi, occorre ridurre il quantitativo di impasto autolitico da utilizzare fino al caso di un utilizzo di solo 15 - 20% sulla farina del rinfresco. Trascorsa la fase di riposo si può procedere con la terza ed ultima fase, ossia con l’utilizzo di questa massa autolitica nell’impasto finale e con la miscelazione dell’intera massa o di una parte di essa con i restanti ingredienti previsti. Un saluto cordiale
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Olio e malto
Salve dottoressa Lauri avrei due domande veloci da porle. L'olio di oliva inserito nell'impasto pizza rende più morbido l'impasto o più croccante? Gli altri oli impartiscono caratteristiche diverse all'impasto rispetto a quello di oliva? La farina di malto presente in molti migliorati oltre a colorare più facilmente la pizza dona croccantezza o e una leggenda? Grazie mille per la disponibilià e professionalità distinti saluti.
Buongiorno a lei. No l'olio EVO non dona croccantezza all'impasto (tipica dello strutto, sugna ecc.) ma esattamente il contrario a tal punto che la sua dose di utilizzo non dovrebbe superare il 2.5 - 3.0%.sulla farina Tra gli innumerevoli benefici nutrizionali importanti dell'Olio EVO, nella tecnologia di panificazione o più correttamente nel mondo dell'Arte Bianca in generale, ci sono delle piccole difficoltà tecniche non ultimo il fatto che è la causa principale dell'effetto shortening cioè della perdita dell'estensibilità della massa per la sua particolare composizione di acidi grassi insaturi. Altri olii (mais, girasole, arachidi), seppur di qualità nutrizionale notevolmente inferiore, posso essere usati anche in percentuali (sempre sulla farina) leggermente superiori. No non è una leggenda ma, in quel caso, l'effetto può anche non essere dovuto direttamente al malto presente nella farina quanto ad altri additivi volontari della formulazione specifica.
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Biga o rinfresco con madre
Buongiorno Dottoressa mi scusi se approfitto ancora una volta della sua esperienza ma vorrei un suo parere sull'utilizzo del lievito madre in coltura liquida. Attualmente per la pizza classica utilizzo una biga nella misura del 30% sul peso della farina di rinfresco, ma vorrei provare a sostituirla con un preimpasto di sola madre,secondo lei che dosi, idratazioni e temperature dovrei utilizzare per avere un buon risultato premetto che il lievito ha una buona forza normalmente lo conservo in frigo e dopo il rinfresco è pronto in circa 4 ore grazie anticipatamente e saluti.
Buongiorno a lei. Personalmente proverei con circa il 30% di LM liquido sulla farina sempre se non aggiunge Lb nella massa. Per quanto riguarda le idratazioni può realizzare benissimo sia una classica sia una pala senza problemi assicurandosi però di ottenere a fine impastamento un impasto con 1°C / 2°C di temperatura in più rispetto alle normali condizioni di lavoro con la biga. La lavorazione successiva in termini di tempistica resta inviariata. Nella speranza di esserle stata di aiuto, le auguro una buona giornata.
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Gestione pasta madre
Buongiorno Simona,
mi hanno regalato della pasta madre solida che, a dire il vero, ho accettato con poco entusiasmo visto che son spesso via e ho poco tempo da dedicarle, ho ancora tanto da imparare per un corretto uso del ldb e non ho mai trovato grandi differenze tra pani prodotti con pm o biga.
Ammetto però che quello della pm è un mondo affascinante e quindi provo a “coltivarla” per un po’ prima di tirare le somme, anche perché da buon valtellinese vorrei più avanti arrivare ad averne una per panificare con la segale (le chiederò sicuramente dei consigli!) e saraceno.
Tengo la pm in barattolo ermetico di vetro in frigorifero a +8 gradi (zona frutta e verdura) e la rinfresco circa ogni 3 gg con il 110% di farina 0 w350 sul peso del lievito (utilizzo solo il cuore, eliminando le parti più esterne) ed il 45% di acqua sulla farina aggiunta. Dopo circa 3/4 ore, quando triplica di volume, sgaso, riavvogo a palla e rimetto in frigo. Le chiedo cortesemente:
- Se volessi tenerla a temperatura ambiente (circa 20°-23°) con quale frequenza dovrei rinfrescarla (basta una volta al giorno?) e con quali proporzioni lievito-farina-.acqua?
- Tolta dal frigo e quando il cuore torna a 20° è corretto il rinfresco nelle proporzioni che ho descritto o sarebbe meglio con meno farina per far riprendere con più facilità il lievito un po’ tramortito dalla permanenza al freddo per giorni?
- Dal frigo quanti rinfreschi dovrei fare e con quali proporzioni prima di poter utilizzare la pm per panificare?
Grazie infinite per la consueta disponibilità.
Buongiorno a lei. Può mantenere la sua pm a temperatura di circa 20 - 22°C purchè la rinfreschi ogni giorno. Può mantenere i rapporti di rinfresco che già utilizza. Sicuramente noterà una minor acidità pungente da acido acetico proprio perchè cambiano le condizioni di stoccaggio. Sarà tendenzialmente più "dolce" da acido lattico. Personalmente il frigorifero lo uso solamente nei periodi estivi in quanto per abitudine rinfresco la pm o tutti i giorni o a giorni alterni Rapporto doppio madre/farina) Le consiglio di operare 2/3 rinfreschi settimanali in frigorifero. Quando decide di utilizzare la madre operi il rinfresco con la modalità e le proporzioni madre/farina/acqua consuete e da lei descritte, solo che quella parte che decide di utilizzare la conservi avvolta a palla con un taglio a croce e coperta con un cellophane a temperatura ambiente. Dopo 4 ore circa operi un altro rinfresco con le stesse modalità. Dopo 4 ore la può usare nella percentuale consueta. Spero di esserLe stata di aiuto in caso contrario non esiti a contattarmi nuovamente. Buona giornata
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Farine per pizza
Buonasera dottoressa. Vorrei proporre pizze con farine diverse da 00. Le farine di grani antichi possono essere usate per la pizza? Utilizzo impasto diretto.Per ora uso farina 00 o farina con cereali e semi. Grazie
Buongiorno a lei. Certamente, le farine di cereali definiti "antichi", contrariamente a quello che si pensi, possono essere usate in lavorazioni dirette medie anche per la pizza. Volendo vedere, se opportunamente lavorate, sopportano anche le bighe e una maturazione di 12 - 18 ora a +4°C oltre la normale fermentazione. Un saluto cordiale e grazie.
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re ricetta alle olive verdi
la biga è il doppio della farina di rinfresco, la farina della biga è diversa da quella dell'impasto in quanto per la biga utilizzo una farina più forte "W 300".
La domanda è che differenza passa tra " con le olive verdi, e alle olive verdi.
E' una differenza formale oppure ai fini dell'etichettatura sarebbe un reato alimentare?. Ringraziandola anticipatamente per la risposta.
Porgo Cordiali saluti
Buongiorno a lei. Al fine dell'etichettatura non importa se la farina è W 300 o altro (non è una indicazione da riportare obbligatoriamente). Ho bisogno di sapere il tipo di farina (dal punto di vista dell'abburattamento) e il cereale utilizzato, tutti gli ingredienti ecc. Devo capire quale sfarinato è l'ingrediente caratterizzante e poi stabilire la corretta indicazione in etichetta. In etichetta non interessa quale metodo di lavoro ha odottato ma solo gli ingredienti. Grazie a lei e buona giornata
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Pasta madre viva o pasta madre morta? Dilemma o ...
Quando sento parlare di pasta madre viva mi viene da pensare allora quella in polvere che troviamo in commercio cosa sarebbe morta ?Quale sarebbe la reale differenza fra le due io mi sono dato una risposta ,ma ho ancora dei dubbi. La mia risposta e' questa: dato che si rinfresca ciclicamente la pasta madre viva acquisisce sempre nuova linfa batterica ma anche selvaggia e' incontrollabile,mentre quella definita morta in realta si attiva con acqua come il lievito di birra secco ,ma in piu' contiene batteri lattici e acetici standard.Ringrazio per la risposta .
Buongiorno a lei. E' la stessa obiezione che faccio a tutti quelli che mi parlano di pasta madre viva. Quasi sempre pongo questa domanda: "Scusa, generalmente lavori anche con quella morta?". E' chiaro che per svolgere un'attività metabolica, qualunque essa sia, il/ i microrganismo/i deve/evono essere vivi perchè una cella morta non ha alcuna "vita":.. è morta! Il problema, secondo me, è sempre quello: si "inventano" i termini e quindi si creano situazioni e terminologie che da un punto di vista microbiologico, tecnico, scientifico, linguistico NON hanno alcun senso. I falsi miti nascono proprio su queste cavolate ripetute a tutti fino a quando la gente ci crede veramente. La differenza tra una madre attiva oppure lievito di birra fresco e quello in "polvere"/secco/liofilizzato ecc., è la differenza tra lo stato vitale delle cellule, non tra morte e vive, ma tra "attive" e "disidratate". Le cellule "disidratate" sono in uno stato definito di "quiescenza cellulare" in quanto il processo legato alla disidratazione ha eliminato parte dell'acqua presente all'interno portando la composizione cellulare media non al 70 - 75% di acqua, ma circa 8%. In questo stato la cellula è viva, ma ha un metabolismo rallentato e quindi una shelf - life, a temperatura ambiente, molto lunga rispetto ad una cellula nello stato vitale /fresco conservata a +4°C proprio perchè "attiva e vitale" metabolicamente e scientificamente parlando. Nel momento in cui si aggiunge acqua/latte ecc. la cellula riprende il suo stato e poco per volta riprende il metabolismo. La pasta madre rinfrescata ogni giorno, è costituita da cellule con metabolismo e ciclo vitale molto attivo e complesso, per cui ha una azione istantanea impartendo immediata forza e struttura all'impasto. Può capitare invece che, nella forma liofilizzata/secca/disidratata, parte di queste cellule effettivamente muoiano proprio perchè il processo tecnologico è abbastanza drastico e causa un danneggiamento della membrana cellulare quindi la morte della cellula stessa. Il processo di "rivitalizzazione" della cultura, interessa solamente le cellule rimaste vive e nello stato disidratato (ripeto quelle morte sono morte e non posso rivitalizzarsi!). L'utilizzo di cellule in tale stato (disidratato/secco/liofilizzato ecc.) implica quindi tempi di produzione più lunghi proprio perchè la cellula deve uscire dalla stato di stress, adattarsi alla nuova situazione, avviare il ciclo vitale e metabolico, duplicarsi, creare la cultura dominante, ecc. Spero di esserle stata di aiuto, in caso contrario non esiti a contattarmi nuovamente. Grazie e un saluto cordiale.
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olio in cottura o no e perche?
Salve Dottoressa Lauri da sempre la seguo (professionalmente parlando..eheheh) e continuerò a farlo visto che la considero una (se non l'unica) esperta nel settore. L'olio d'oliva sulla pizza meglio in cottura o dopo ? Perchè?
P.s. interessante l'articolo sulle giurie sarebbe interessante partecipare al corso di formazione ma credo che le distanze non lo permettano ( magari potrei seguirlo in streming?). Amaramente constato la veridicità delle sue affermazioni. Saluti cordiali.
Buongiorno a lei. Grazie per la stima e la fiducia che ripone in me e nei collaboratori della testata. Contrariamente a quello che tutti scrivono sul web, facendo puro e semplice terrorismo alimentare non tanto sul discorso relativo all'alterazione che possono subire gli acidi grassi durante la cottura in particolare: idrolisi, termossidazione e polimerizzazione, ma sulla assoluta pericolosità (tali da vietarle in assoluto!) di alcune tecniche di cottura. A proposito sia di acrilammide sia di acroleina (punto di fumo), mi sento di fare delle considerazione scientifiche che smontano la disinformazione pura. Scrissi diversi articoli su questo argomento, ma è più facile fare disinformazione - terrorismo che informazione reale e scientifica. A parte questo mio personale punto di vista, rispondo che ben venga l'utilizzo di olio EVO nell'impasto, mentre in superficie, se utilizzato tal quale e non in salamonia, sulla pizza, focaccia decisamente solo dopo lo sfornamento. Giusto per fare alcune semplicissime considerazioni su ciò che ha scatenato il boom mediatico di disinformazione, è bene dire che pochi sanno che l'ACRILAMMIDE è stata ritrovata, in quantità più o meno variabile in base alla tipologia di cottura (frittura, tostatura, brace, piastra, forno microonde o convenzionale, immersione in acqua bollente ecc.) in tutti i cibi cotti, non solamente in quelli sottoposti a cottura diretta su fiamma. Si parla di una quantità minima, trascurabile e inferiore ai 50 microgrammi/kg nel caso del riso bollito, circa 89 – 130 microgrammi/Kg nel caso del risotto fino ad arrivare 2000 – 10000 microgrammi/Kg sulla crosta nera della patata cotta, passando attraverso un quantitativo inferiore a 200 microgrammi/Kg nella crosta nera del pane. Benché si conosca da molto tempo la sua tossicità e cancerogenicità, non si può dire lo stesso a proposito dei dettagli della modalità e/o complessi meccanismi che portano alla sua formulazione. A grandi linee, l’acrilammide si forma da una reazione tra un particolare aminoacido, nonché ammide dell’acido aspartico, l’asparagina, e gli zuccheri riducenti naturalmente presenti nei cereali sia sotto forma di amido sia come disaccaridi o monosaccaridi che da esso derivano sia aggiunti come ingredienti in particolari ricettazioni dolci o salate dei prodotti dell’arte bianca. In particolari condizioni produttive di un alimento, tale aminoacido può reagire con altre molecole in particolare proprio con monosaccaridi e avviare il complesso di reazioni che portano allo sviluppo dell’acrilammide cancerogena. Tale sequenza di reazioni è innescata proprio dalla presenza di particolari proteine, la cui composizione aminoacidica comprenda l’asparagina. Il fenomeno è notevolmente amplificato se intervengono in sinergia altri parametri tra cui: temperatura di cottura tra i 120 e 170°C, tempi lunghi di cottura, contenuto di acqua, pH basico (circa 8 ud pH), conservazione in atmosfera modificata per 10 – 15 gg a +4°C di alimenti precotti, presenza di acidi grassi insaturi che sembra (ma è ancora tutto da dimostrare!?!) aumentino la probabilità d’innesto delle reazioni, ma soprattutto da ingredienti che, per loro naturale composizione aminoacidica, presentino elevati quantitativi di asparagina. Tra questi: patate (quantitativo 100 volte maggiore rispetto la farina di frumento tenero), caffè, orzo, farina di segale, farina integrale, etc. L’ingrediente olio extravergine d’oliva, nella formulazione dell’impasto della pizza, pane, prodotti da forno, ecc., non ha mai creato e mai creerà problemi né di punto di fumo (acroleina) né di acrilammide perché “protetto” dalla struttura glutinica (temperatura a cuore del prodotto circa 90 – 100°C) salvo che si decida di carbonizzare appositamente la crosta sia friggendo sia cuocendo nel forno. Per quanto riguarda invece l'ACROLEINA è un' aldeide volatile, epato-tossica ed irritante per l'organismo che deriva dal catabolismo del glicerolo (glicerina) liberato in seguito a idrolisi dai mono, di, trigliceridi ed è prodotta in maniera significativa durante: il raggiungimento del punto di fumo dei grassi animali o vegetali durante la cottura, combustione della sigaretta (anche in quelle elettroniche), fermentazione errata del mosto in viticoltura ecc. Ancora una volta ritorniamo al sano e mai abbastanza lodato buon senso e alla consapevolezza e conoscenza scientifica dei processi tecnologici che portano tutti i professionisti e non alla consapevolezza di non passare sulla superfcie di un impasto crudo dell'olio e immediatamente introdurlo a 350°C e di non mangiare appositamente la parte carbonizzata di nessun prodotto alimentare (carne cotta alla brace compresa!). Buon pizza, pane, dolci ecc. con olio EVO a tutti.
PS Mi dispiace, ma purtroppo non è possibile seguire il corso in streming. Grazie a lei e alla prossima
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Sostanze antinutrizionali e tecnica dell'autolisi.
Salve Dott.ssa Lauri, approfittando della sua disponibilità e delle sue conoscenze,
avrei una domanda un pò particolare da porle. Partendo dal fatto che negli strati esterni dei cereali si trovano le sostanze antinutrizionali (fitati e tannini) e che per distruggere tali sostanze ed aumentare il valore biologico dell'alimento sarebbe necessario adottare metodi indiretti che
aiutano a creare una buona acidità nell'impasto. Mi chiedevo: cosa accade in un'impasto fatto con la tecnica dell'idrolisi degli amidi (o pre gelatinizzazione degli amidi) usando grano spezzato che essendo molto grezzo penso sia pieno di sostanze antinutrizionali? Si ottiene un prodotto scarso a livello nutrizionale? Quali accorgimenti dovrebbero utilizzarsi magari per aumentare l'acidità fermorestando tale metodologia, grazie. Cordiali saluti
Buongiorno a lei. Prima di tutto la tecnica dell'autolisi a caldo è fatta con lo scopo di rendere disponibile e facilmente attaccabile dalle amilasi (sempre se non si va oltre la temperatura di disattivazione delle stesse!) l'amido intero, raggiungendo la temperatura di transizione vetrosa. Nella fattispecie i granuli di amido interi, a questa temperatura si gonfiano, perdono la loro struttura ordinata, cambiano lo stato fisico e possono subire l'attacco delle amilasi. In caso contrario, alla temperatura del processo tecnologico, non avrebbero importanza/implicazione se non durante la cottura. Questa tecnica di lavoro è adottata con lo scopo di fornire zuccheri fermentescibili e non all'impasto, ma non con la finalità di disattivare gli antinutrienti in quando non ci sono le condizioni chimiche per la disattivazione. Anzi, alla temperatura di transizione vetrosa, tipica di ogni cereale ed obbiettivo della metodica con autolisi a caldo, è stato riscontrato una disattivazione del 70 - 80% dell'attività enzimatica delle fitasi. E' l'attivazione di questo enzima che permette la disattivazione dell'acido fitico e ciò avviene a temperatura comprese tra i 30 e i 50 gradi Celsius e non oltre come da tale tecnica. Approfondendo il discorso, da un punto di vista biochimico – nutrizionale, occorre sottolineare che l’acido fitico, (mio inositolo esafosfato) è il maggior componente degli alimenti di origine vegetale e rappresenta la principale fonte di fosforo in molti semi di piante, tuberi e radici. La struttura molecolare dell’acido fitico è quindi composta da uno zucchero il mio-inositolo al quale sono legati covalentemente sei gruppi fosfati. Circa il 75% del fosforo totale nei cereali e legumi è presente sotto forma di fitato, sale dell’acido fitico, non prontamente disponibile da parte dell’uomo; il restante 25% del fosforo è rappresentato dai fosfati inorganici solubili e dal fosforo presente all’interno delle cellule (DNA, RNA, proteine fosforilate, complessi zuccherini ecc.). Con il termine “fitina” invece s’indicano i suoi sali di calcio e magnesio. E’ presente come sale di cationi mono e bivalenti come potassio, calcio, magnesio, ecc., si accumula rapidamente nello strato aleuronico dei semi durante il periodo di maturazione ed è generalmente considerato la fonte primaria di riserva di zucchero (inositolo), fosforo, energia, regolatore del fosfato inorganico, minerali come calcio, ferro, magnesio, potassio, zinco dei semi, tuberi, radici ecc. Per diventare però disponibile per le piante, il fosforo organico, complessato nella molecola, deve essere defosforilato. Il legame nei fitati è cosi forte che per essere scisso ha bisogno di un enzima, la fitasi, una fosfatasi acida che si trova anch’essa nei semi e si attiva con i processi di germinazione (presenza di acqua e ambiente acido) liberando i legami e degradando l’acido fitico (defosforilazione).In un’ottica nutrizionale umana l’azione delle fitasi è fondamentale perché, se da una parte il loro ruolo enzimatico è quello di fornire fosforo alla giovane plantula in germinazione, dall’altro riduce drasticamente l’azione antinutriente dell’acido fitico. Da un punto di vista prettamente biochimico, l’acido fitico ha un effetto anti nutrizionale dovuto alla sua struttura molecolare in cui, in completa dissociazione, i sei gruppi fosfato portano a un totale di dodici cariche negative in grado di legare vari cationi mono, di e trivalenti formando complessi insolubili contenenti soprattutto: potassio, magnesio, calcio, zinco, ferro o rame. Oltre a complessarsi con minerali e proteine l’acido fitico interagisce con enzimi come la tripsina, pepsina, alfa - amilasi e galattosidasi, determinando una diminuzione della loro attività digestiva. Tornando quindi al suo quesito iniziale, le rispondo che per attivare le fitasi endogene, presenti nei semi, occorre che si verifichino condizioni di temperatura tra i 30 e i 50°C massimo e pH circa 5.Tali condizioni di pH e di temperatura (30°C optimum di temperatura di fermentazione) si verificano con una lavorazione indiretta molto lunga con biga, poolish, pasta di riporto o madre; ancora meglio se, a tali metodiche, si abbina una maturazione di 24 – 48 – 62 ore. Le fitasi si attivano anche a pH 6 e sono contenute anche nei blastomiceti, l’importante è operare sempre una metodica indiretta molto lunga e una lunga maturazione. Grazie a lei
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Grani italiani e grani esteri
Buon giorno Direttore, ho appena sentito una intervista ad un grosso imprenditore italiano, che sostiene che il grano duro italiano è qualitativamente più scarso rispetto ai grani americani o canadesi, perché questi ultimi arrivano ad avere il 15% di proteine, cosa che fa intendere che il grano italiano non abbia qualità panificabili importanti.Sbaglio o per il grano duro Senatore Cappelli un 15% di proteine è la normalità? Non sarebbe una cosa giusta incentivare la produzione di grani locali, anziché denigrare pubblicamente la nostra tradizione?
Buongiorno a lei. Il discorso è molto vasto e più essere visto da differenti punti di vista. Una cosa è certa... concordo pienamente con lei sul fatto che non apprezziamo per nulla i nostri prodotti. Genericamente parlando, abbiamo la tendenza a non dare nessun risalto alle nostre produzioni e a decantare solo quelle degli altri. Purtroppo dobbiamo rivedere questo nostro modo di fare marketing ed imparare dai nostri vicini perchè veniamo battutti dai nostri concorrenti sulla promozione e marketing di prodotti che onestamente non hanno nulla da invidiare ai nostri, anzi esattamente il contrario. Per quanto riguarda invece il discorso degli import/export di frumento come Italia siamo mediamente al 20° posto al mondo come produzione di grano tenero e al 2° posto come prodozuzione di grano duro (Rapporto FAO) per cui questo dato la dice lunga sulla nostra autosufficienza di materia prima. In parole più semplici siamo costretti ad importare sia il tenero sia il duro perchè nonostante la nostra produzione, relativa al grano duro sia elevata, non è comunque mai stata sufficiente per la nostra richiesta interna. Non parliamo poi del grano tenero! Diciamo che mediamente siamo costretti e lo saremo per gli anni futuri, ad importare più del 60% - 70% di quello che ci serve ed è un'utopia grande pensare di essere autosufficienti sul frumento tenero e duro che sia. Un altro discorso è quello relativo alla "qualità panificatoria" del frumento importato. Come giustamente ha fatto notare lei, il valore della proteine totali non è sempre un indice da tener presente per valutare la qualità panificatoria di un frumento, in quanto può avere 15% di proteine totali, ma avere una bassa percentuale di proteine insolubili (gliadine e glutenine) che esprimono la qualità (paramentro molto relativo e funzione del tipo di utilizzo!) panificatoria. Il grano duro Senatore Capelli ha un valore medio di 13 - 15% medio di proteine totali, ma non ha elevate prestazioni perchè è un frumento relativamente debole in termini di proprietà reologiche (W circa 95), rispetto magari ad una varietà importata con lo stesso valore proteico totale, ma prestazioni reologiche superiori . Con questo sono la prima a sostenere, difendere e tutelare le nostre nicchie e ad incentivare la produzione delle varietà autoctone: dal Senatore Capelli al Solina, dal Tumina al Maiorca, dal Gentil Rosso al Verna ecc. Un saluto cordiale e grazie
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Biga quando inserirla
Salve dottoressa. La biga per un impasto per pizza quando bisogna aggiungerla? Si parte base farina o base acqua? Grazie anticipatamente!
Buongiorno a lei. Questo è l'eterno dilemma che affligge i pizzaioli: ad impastare ...si parte dall'acqua o dalla farina? In più interventi ho avvalorato scientificamenmte la mia tesi di partire dalla farina, ma non ho avuto lo stesso riscontro scientifico tecnico da parte dei sostenitori della partenza dall'acqua. A parte le polemiche e i dilemmi Shakespeariani, personalmente parto dalla farina per cui, in ordine aggiungo: farina, biga, lievito, malto e parte dell'acqua. Ad impastatrice avviata immediatamente olio (se richiesto dalla ricetta!) e successivamente a massa quasi formata, sale e l'acqua restante. Spero di aver risposto esaurientemente al suo quesito, in caso contrario non esiti a contattarmi. Grazie a lei
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Calcolare l'impasto in modo preciso per evitare sprechi di pasta lavorata.
Gentilissima Dott.ssa mi ritrova qui di nuovo su un altro quesito che ritengo sia di interesse generale per coloro che svolgono la nostra attività di arte bianca. Tale quesito riguarda la quantità di farina-acqua da lavorare in modo preciso per evitare sprechi di pasta impastata. Poniamo il caso che mi occorrono delle pesate precise per formare delle rosette 15 pesate da 3.800kg - il totale di impasto sono circa 57 kg di pasta lavorata per evitare di fare errori per quanto riguarda eventuali eccessi come faccio a sviluppare il calcolo preciso kg/impasto/acqua/ingredienti vari. Grazie per il suo gentile contributo.
Buongiorno a lei. Per ottenere circa 57,00 Kg di impasto a fine impastamento ed ipotizzando la classica delle ricette del pane soffiato (biga, farina aggiunta 10% sulla farina di biga, acqua 60% in totale sul totale della farina, sale 2% sul totale della farina e malto 1% sul totale sempre della farina) per ottenere i chili esatti di farina deve risolvere un'equazione di primo grado in cui i chili di farina rappresentano la sua incognita. Il risultato le permette di avere con estrema precisione (due, tre, quattro cifre dopo la virgola) il valore esatto dei chili di farina da utilizzare. Ipotizzando, una ricettazione come quella riportata, i chili sono 34,756 g. A questo punto, approssimando per eccesso alla seconda cifra decimale, la quantità di farina sarà 34,760 Kg che dovrà essere cosi suddivisa: 31,600 Kg nella biga e circa 3,160 Kg nel rinfresco. In ogni caso ci sarà sempre un piccolo avanzo di pasta imputabile a diversi motivi: impossibile avere la precisione nella pesata con la strumentazione di un panificio, l'assorbimento di acqua delle farine non è sempre costante per cui può accadere che sulla stessa ricetta con la stessa quantità iniziale di farina ci sia una differenza di peso dell'impasto finale dato da un maggior assorbimento di acqua, ecc. Spero di aver risposto esaurientemente al suo quesito. Un saluto cordiale e grazie a lei.
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Delucidazione su "lavorazioni lente"
Salve,potrebbe esplicitare questa sua affermazione tratta da un precedente post ? : " Il fatto che il prodotto realizzato con 100% grano duro Senatore Capelli risulti pesante è dovuto principalmente a un W molto basso e pertanto richiede lavorazioni specifiche molto lente." Io ho sempre associato un W basso a tempi di lievitazione e maturazione più brevi ,con questa frase mi spiazza un po’,cosa intende esattamente per "lavorazioni lente" ?
Grazie
Buongiorno a lei. In effetti la maggior parte, maestri compresi, pensa che frumenti con le caratteristiche del Senatore Capelli non siano panificabili assolutamente proprio per la caratteristiche reologiche al limite della valutazione strumentale. In realtà molti di questi frumenti sono panificabili benissimo purchè lavorati molto lentamentamente e con ridotta percentuale di lievito di birra. Un saluto e a disposizione.
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Tang Zhong
Salve dottoressa avrei una curiosità sul metodo water roux,ho letto varie cose sul web ma vorrei affidarmi ad una professionista di cui mi fido ciecamente ,quale è l'impiego più appropriato di questo metodo e quali dosi di utilizzo, lei lo consiglierebbe?
Buongiorno a lei. Ho già risposto qualche tempo fa a una domanda simile a questa le riporto il testo " Non è la scoperta del secolo anzi lo faceva già mio nonno solo che lui non aveva Facebbok e non ha mai pubblicato testi! Il metodo è basato solo sul concetto della gelatinizzazione dell'amido ossia al raggiungimento della temperatura di transizione vetrosa (variabile in base ai cereali) anche i granuli di amido interi assorbono acqua. Cosi facendo, sono facilmente attaccabili dalle amilasi liberando zuccheri fermentescibili e non. Operando in questo modo si aumenta la concentrazione zuccherina e di conseguenza l'azione metabolica dei microrganismi . Il tipo di fermentazione è comunque biologica perchè sono i microrganismi che producono anidride carbonica. I vantaggi sono: diminuizione dei tempi di impastamento, miglior fermentazione, sofficità e volume." Tornando al suo quesito iniziale direi che è da consigliare con sfarinati particolari come la farina di segale, il cui impiego ha lo scopo di ridurre l'attività amilasica e di incrementare la panificabilità di un sfarinato che per sua natura non è eccellente. In altri casi, la sua azione è funzione della temperatura dell'acqua utilizzata e si valuta all'occorrenza, ma comunque non è una lavorazione sempre necessaria nè una tecnica routinaria. Si odotta nel caso in cui ci sia un problema legato ad una elevata attività amilasica (acqua oltre i 70°C) oppure se si desidera un incremento dall'attività fermentativa nei prodotti successivi. Indicativamente non si va oltre il 20% sulla farina utilizzata. Un saluto cordiale e grazie. A disposizione
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Farine vecchie e gessate
Buongiorno Dottoressa,mi risulta che le farine "vecchie" o mal conservate tendano a far diminuire il valore di Falling Number (FN) aumentando quindi l'attività amilasica. Sempre secondo mie conoscenze questo comporterebbe un impasto mal gestibile, per giunta appiccicoso e molle non idoneo alla produzione di pane.
Anche acquistando farine buone dai principali produttori il problema a livello casalingo è quasi inevitabile.
Come possiamo ovviare a ciò? E' possibile "migliorare" in qualche modo farine vecchie divenute ormai poco panificabili?
Buongiorno a lei. Il fenomeno della maturazione è basilare in una farina. Con il passare del tempo uno sfarinato diventa sempre più forte e chiaro fino alla sua condizione massima, variabile da sfarinato a sfarinato, in funzione delle condizioni di stoccaggio (temperatura, U.R., ecc.). Dopo tale periodo, le caratteristiche chimico - fisiche cominciano a peggiorare e come si dice in gergo, la farina "gessa"; acquista quindi una colorazione estremamente chiara (ossidazione dei pigmenti naturali), si abbassano i valori del pH (optimum tra 5.8 - 6.2), aumenta l'acidità, si genera una elevata attività enzimatica (amilasica, proteasica, lipasica ecc.) e la struttura glutinica diventa estremamente debole tendendo a non assorbire molta acqua. Impastare farine in questo stato, vuol dire notare uno scarsissimo assorbimento di acqua e una notevole appiccicosità. Il fenomeno della "gessatura", cosi come il "rinforzo" delle proprietà reologiche di una farina in fase di maturazione, è naturale in uno sfarinato che non contenga assolutamente nessun additivo volontario. La legge permette di non far avvenire la maturazione naturale, cosi come di prolungare la shelf - life, utilizzando additivi volontari. Naturalmente è possibile rallentare (non bloccare!) il fenomeno conservando le farine a basse temperature, anche in cella refrigerata, nei periodi estivi. Non è più possibile però correggere farine ormai "gessate". Spero di esserle stata di aiuto. Un saluto cordiale
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Utilizzo della biga e lievito di birra
Gentile Dr.ssa mi rivolgo a lei per fugarmi dei dubbi in merito all'utilizzo del metodo con biga. Lavorando con una biga a 12 ore lasciata maturare a temperatura ambiente per mancanza di una fermolievita, è possibile aggiungere ulteriore lievito di birra nell'impasto finale per ridurre un pò i tempi di produzione? Se fosse possibile, in che percentuale? Grazie per la sua disponibilità e per la sua estrema competenza.
Buongiorno a lei. Mi scusi, ma mi mancano alcuni paramentri importanti per la maturazione della biga. Qual'è la temperatura ambiente? Quale prodotto deve fare, pane o pizza? In entrambi i casi comunque, la risposta non può che essere affermativa, anzi l'aggiunta di lb nel impasto finale (rinfresco) serve a migliorare lo sviluppo, l'alveolatura ecc. La percentuale di lb aggiunto è però in funzione della quantità di biga utilizzata, dei tempi di produzione, della tipologia di prodotto (pane soffiato solo biga senza lievito aggiunto, ecc.) Spero di esserle stata di aiuto. Un saluto cordiale e a disposizione.
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re :etichetta pane alle olive.
Buongiorno, in merito alla sua domanda riguardo la lista degli ingredienti in ordine decrescente dell'impasto. Ingredienti impasto: biga, farina di grano tenero tipo "o", acqua, sale, lievito fresco, olio extravergine di oliva, farina di cereali maltati. A questi ingredienti ci aggiungo il 30% di olive verdi denocciolate sull'impasto. Cordiali saluti
Buongiorno. La denominazione corretta di vendità è Pane con olive verdi. Se mi riporta le dosi esatte di farina, acqua, sale, lievito fresco, olio Evo, farina di cereali maltati ecc.,le formulo l'ordine corretto decrescente degli ingredienti. Per fare questo avrei però due quesiti: 1. la farina utilizzata per la biga e la stessa del rinfresco? 2. il quale percentuale è utilizzata la biga? Grazie a lei per essersi rivolto al nostro servizio di assistenza online.
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Farine di legumi
Salve, mi chiedevo se una piccola percentuale di farina di legumi (lenticchia o lupino) potesse in qualche modo rinforzare un impasto fatto con farine deboli e con poco glutine. Grazie per l'aiuto.
Buongiorno a lei. L’implicazione della farina di legumi, soprattutto fave, in panificazione deve essere vista, non come uno sfarinato che contiene gliadine/glutenine quindi in grado di generare il glutine e quindi migliorare rinforzare per apportare strutture proteiche simili al frumento, ma solo e unicamente come miglioratore enzimatico di alcuni parametri reologici (eccessiva debolezza ed estensibilità) di farine estremamente deboli. L’azione di “miglioramento” delle proprietà reologiche si deve unicamente alla presenza di un complesso enzimatico, la lipossigenasi, in grado di agire sui lipidi catalizzando l’ossidazione degli acidi grassi polinsaturi liberi, in presenza di ossigeno, liberando idroperossidi a elevata azione sbiancante. Sono inoltre i maggiori responsabili dell’ossidazione dei gruppi solfidrilici (- SH) in ponti di solfuro (- S – S) aumentando i legami e rafforzando la maglia glutinica del cereale presente nella formulazione della ricetta e che, naturalmente, possiede le strutture proteiche atte alla formulazione di tale maglia. L’implicazione della farina di fave in panificazione deve essere vista, appunto, non come uno sfarinato che contiene gliadine/glutenine, ma solamente come miglioratore enzimatico. Un saluto cordiale
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Ossigenazione
Buongiorno. Per pizza a piatto napoletana a circa 60-65% di idratazione e farina di media forza, con un impastatrice a spirale solitamente dopo 8-10 minuti l'impasto è chiuso. Si ottengono risultati migliori se da quel momento procedo ad altri 12-15 minuti di impastamento a bassa velocità solo ed esclusivamente per ossigenare maggiormente l'impasto? O ad impasto chiuso conviene stoppare subito la macchina? (ovviamente sempre stando attenti a non rovinare il tutto). Grazie
Buongiorno a lei. Se ritiene che dopo 8 - 10 minuti l'impasto sia completato liscio ed omogeneo in superficie, non andrei oltre con la tempistica di impastamento. Prolungando di altri 12 - 15 minuti (sono più del tempo richiesto per impastare!) la tempistica di impastamento, utilizzando una farina di media forza, pensando di ossigenare la massa con una impastatrice a spirale, rischia solo che l'impasto si scaldi eccessivamente e si sfibri arrivando al collasso. Non è una impastatrice che per sua caratteristica tecnica permetta una grande ossigenazione. In ogni caso, non è al livello di una "braccia tuffante" per la modalità in cui viene "sollevato" l'impasto e non compresso (nel caso della spirale!) contro il piantone centrale e sul fondo della vasca. Un saluto cordiale e sempre a disposizione
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Aromi o spezie negli impasti.
Gentilissima Dott.ssa,
Le scrivo per delucidarmi definitivamente di un dubbio che mi assale da un po' di tempo. La mia questione si dirama sia dal punto di vista legale che dal punto di vista salutistico. Vorrei sapere se l'utilizzo di spezie negli impasti quali, curcuma, zafferano, canapa, ecc...sono consentiti dal punto di vista legale e se salutisticamente parlando, apportano nonostante le cotture ad alte temperature, come quella della pizza, tutti i benefici che avrebbero se assunti previa cottura, al naturale. Per quanto mi riguada l'aspetto benefico lascerebbe a desiderare, in quanto a quelle temperature ne vengono meno tutti i principi. Dal punto di vista legale non saprei se sono classificati come coloranti o no. Sarebbe così gentile da fornirmi una sua considerazione ed un riferimento legislativo in merito? Se poi siamo sempre alle solite del carbone vegetale e company ho già tutto chiaro, è solo marketing è basta! Grazie.
Buongiorno a lei. I coloranti naturali, le spezie ecc., in riferimento all'art. 3 comma 2 punto a e ii del Reg. CE 1333/2008 non sono intesi come "additivi" nella fattispecie "additivi coloranti" e pertanto si possono usare purchè opportunamente dichiarati in etichetta nell'elenco degli ingredienti (Reg. CE 1169/2011). Per esempio la barbabietola o il pomodoro per dare il rosso, gli spinaci frullati per il verde, lo zafferano per il giallo e cosi via. Questi alimenti sono usati come ingredienti di base ammessi e non sono considerati "additivi", in quanto rientrano nell'art. 3 comma 2 punto ii Reg. CE 1333/2008. In ogni caso la normativa di riferimento degli additivi, in particolare i coloranti, e dei prodotti alimenti che non possono/possono contenerli è: Reg. CE 1333/2008, Reg. UE 1129/2011, Reg. UE 1169/2011 oltre alle nostre leggi nazionali, in vigore da anni sul territorio italiano ancor prima delle leggi comunitarie, e precisamente DM 209/96, Legge 283/62 oltre a Legge 580/67, DPR 283/93, DPR 502/98 e Decreto 22 luglio 2005 ecc. L'aggiunta volontaria dell'additivo colorante E153 nel pane, prodotti da forno ecc. ha violato tutte queste leggi! Per quanto riguarda le proprietà salutistiche, quasi tutti i benefici sono praticamente nulli in quanto le molecole in questione sono termolabili e quindi sono disattivate in cottura (oltre i 230°C per il pane e i 350°C per la pizza!) soprattuttto gli antociani e le vitamine. Solo i prodotti consumati crudi, tal quali, senza manipolazioni di sorta, possono garantire i benefici nutrizionali e salutistici delle sostanze in essi contenuti soprattutto in riferimento alle molecole da lei descritte. Spero di esserle stata di aiuto. Un saluto cordiale e sempre a disposizione.
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Farine diverse ma stessa forza
Buonasera Dottoressa,
Farine diverse ad esempio "00" e "00 Manitoba" con stessa forza che differenze possono comportare sul risultato finale del prodotto (ad es.pane e pizza)?
Saluti
Buongiorno a lei. Scritto così e a prima lettura potrei risponderle NESSUNA, ma non sarei obbiettiva e corretta per diversi motivi. Come mi ha scritto già si capisce che la 00 e la 00 Manitoba sono uguali solo per i grado di abburattamento e non per la varietà. Manitoba è una varietà di frumento e non rappresenta, in assoluto, una farina di forza. Ci sono farine ottenute dalla varietà Manitoba anche molto molto deboli. Un ulteriore differenza consiste nel fatto che, già sulla stessa analisi strumentale reologica, il valore W dei due sfarinati è solo sulla carta "uguale", ma in realtà il metodo di analisi porta un errore strumentale molto elevato e i valori non possono essere confrontabili, non solo per l'errore strumentale in sè, ma per i limiti dell'analisi, variabilità del W in funzione del tempo e periodo in cui viene eseguita la valutazione reologica rispetto a quando lei utilizza lo sfarinato in questione. Tutte le analisi reologiche devono essere fatte sul lotto che le viene consegnato e non eseguite mesi prima su lotti differenti e pubblicate sui siti che non vengono mai aggiornati. Un ulteriore valutazione va fatta sulla base del "come" quel valore è stato ottenuto. Mi spiego meglio: il W rappresenta il valore naturale della varietà di frumento o è un W ottenuto con l'aggiunta di glutine secco ad un frumento che naturalmente ha un W molto basso? La lavorabilità di una farina non è valutata solo sul valore del W, ma P/L, R/E, Falling number, ecc. per cui, le chiedo scusa ma non posso esprimere un giudizio in proposito. Le differenze di comportamento degli sfarinati in questione possono essere macroscopiche. Grazie per essersi rivolto al nostro servizio. Un saluto cordiale e sempre a disposizione.
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Assorbimento e temperatura
Buongiorno dottoressa, un mio collega in pizzeria mi dice che facendo l'impasto a temperatura ambiente più alta, questo assorbe meno acqua. Io sono abituato a lavorare a temperature costanti e quindi non mi si è mai presentata questa situazione, posso chiederle se è davvero così e, se sì, da cosa dipende il diverso assorbimento?
Buongiorno a lei. Dal mio punto di vista c'è un piccolo fraintendimento. L'azione primaria sul differente assorbimento di acqua (quantità maggiore o minore) è dovuto soprattutto alla temperatura dell'acqua utilizzata e al modo in cui è incorporata nell'impasto, alla temperatuira della farina, ecc. e solo indirettamente alla temperatura ambiente. La temperatura ambiente è un paramentro fisico considerato unicamente nel momento in cui deve calcolare la temperatura dell'acqua da utilizzare, partendo dal valore della temperatura della massa che desidera raggiungere a fine impastamento. Mi spiego meglio se desidera ottenere una massa a 23°C dovra per forza di cose operare questo calcolo: 23 X3 = 69 e poi sottrarre tutti i valori che conosce tra i quali la temperatura ambiente, temperatura della farina (mediamente 1 o 2 gradi in meno rispetto all'ambiente) e i gradi di riscaldamento dovuti all'azione meccanica dell'impastatrice utilizzata. Ora, ipotizzando di fare due prove ed introdurre la stessa quantità di acqua sia nella prima sia nella seconda, ma con valori di temperatura nettamente differenti (non hanno importanza i gradi esatti), tali da definire la prima "acqua fredda" e la seconda "acqua calda", per realizzare un impasto con idratazione maggiore del 60%, noterà un assorbimento minore nel primo caso rispetto al secondo in quanto sia le struttura proteiche sia i granuli di amido cambiano la loro conformazione spaziale e quindi il loro assorbimento di acqua, in funzione della temperatura. Per quanto riguarda poi le farine queste hanno assorbimenti differenti dovute sia alla naturale composizione sia alla differente temperatura ambiente in cui sono conservate. L'azione della temperatura ambiente sull'assorbimento differente della farina è solo quindi un'azione indiretta; una farina conservata in un ambiente refrigerato e impastata con acqua fredda avrà un assorbiemtno minore della stessa farina conservata in panificio a 25°C e impastata nello stesso momento, con acqua a temperatura opportuna. Spero di esserle stata di aiuto. Un saluto cordiale
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Lievito madre e aggiunta di lievito di birra
Da poco tempo sto utilizzando il lievito madre con risultati accettabili ma non soddisfacenti. Ho provato, quindi, ad aggiungere un quantitativo maggiore di lievito di birra (3% sulla pianificazione di caldo e 1% di quella di freddo) per avere un maggiore sviluppo (e, di conseguenza, un pane più soffice). Di contro, però, ho l'impressione di snaturare quello che è il pane con il lievito madre.Vorrei sapere una sua opinione in merito.
Buongiorno a lei, mi scusi ma non riesco a ben conprendere cosa intende con "pianificazione a caldo e a freddo" . Cortesemente può essere un pochino più preciso in modo che possa aiutarla meglio? Per quanto riguarda invece il suo quesito ritengo che possa, a suo piacere, procedere indistintamente con una lievitazione mista (madre + lievito fresco S. cerevisiae) senza problemi. Nel settore della panificazione ci sono pani che non può fare con la sola madre e pani che riescono ottimamente (con tutte le limitazioni che tale tecnica comporta) utilizzando il lievito di pasta acida o madre. Personalmente ritengo che tutte le tecniche siano ottime e che possano benissimo essere utilizzate indifferentemente; tutto dipende dal prodotto che desidera ottenere. Un saluto cordiale e sempre a disposizione
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ancora sulla cottura del pane toscano (2)
Buongiorno, la ringrazio per la consueta cortesia. Le chiedo un ulteriore chiarimento perché non ho capito se la fessura la si deve aprire da quando abbasso la temperatura a 200° sino al termine della cottura, oppure a 200° per far uscire il vapore e riaprirla per qualche minuto a fine cottura. Le farine appena acquistate credo siano tanto profumate quanto deboli, sia la tipo 2, che utilizzo per la biga, quanto la 0…la moglie del mugnaio mi dice siano ottime per le crostate e i tortelli! Grazie ancora e buona giornata
Buongiorno a lei. Mi scusi mi sono spiegata male io nella precedente email. Da quando abbassa a 200°C fino al termine della cottura. Se le sembra che il pane si asciughi troppo, apra la fessura solo gli ultimi 10 minuti. Perfetto per le farine. Buona giornata a lei e a disposizione
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Cottura casalinga filoni pane toscano (1)
Buongiorno gentile Simona,
le chiedo cortesemente come gestire correttamente la cottura dei filoni di pane toscano in un forno casalingo. In particolare la temperatura di infornamento, eventuali variazioni di temperatura a scendere o a salire e quando aprire lo sportello in fessura. Mi interessa davvero molto sapere se va inserito vapore all’inizio, perché su questo punto trovo pareri molto discordanti.
Solitamente inforno su pietra refrattaria scaldata a 250/300°C due filoni da +/-800 gr l’uno con idratazione 55-60%, preparati con circa 600 gr biga e 600 farina (tipo 2 per la biga e 0 per l’impasto finale presi da un molino artigianale in toscana e fatte con grani locali, di cui ignoro però i valori), a 250° vaporizzando con ghiaccio su teglia di ghisa per i primi 15 minuti (poi metto in fessura per 5 min). Dopo infornato abbasso la temperatura a 230° per 10 minuti, poi 200° per altri 10, quindi a 180° per 50 min e termino la cottura a 160° in fessura per 10 min. lascio raffreddare in verticale col forno aperto. Il pane forma però eccessiva crosta e tende a restare un po’ umido all’interno. Ho provato a ridurre i tempi e ad alzare le temperature, ma non ottengo comunque una cottura ottimale. La ringrazio per la sua preziosa disponibilità.
Buongiorno a lei. Premetto che è abbastanza difficile valutare la cottura per email perchè le temperature sono sempre troppo indicative e variano notevolmente da forno a forno. A ciò aggiunga il fatto che variano purtroppo anche le modalità di cottura da forno a forno. In ogni caso, per rispondere al suo quesito e nelle speranza di non prendere i classici "abbagli" tipici di queste situazioni, ridurrei la temperatura della pietra refrattaria a 200 - 230°C e modificherei la modalità di cottura procedendo con un infornamento iniziale a 250°C senza vapore. Dopo 10 minuti abbasserei a 230°C e dopo 10 mimuti ancora a 200°C con fessura e terminerei la cottura con forno in discesa a 180°C e fessura sempre aperta. In linea di massima, in un forno professionale, una pezzatura di circa 500 g cuoce in 30 minuti con forno in discesa a 180°C. A mio parere, nel suo caso era troppo alta la temperatura iniziale e troppo lunga la cottura a 160°C (temperatura troppo bassa che porta ad un eccessivo essiccamento e spessore della crosta). Si ricordi però che il pane toscano è realizzato con una farina debole nel rinfresco e con lavorazione indiretta lunga. Spero di esserle stata di aiuto e cortesemente mi tenga informata. Un saluto cordiale e grazie per essersi rivolto al nostro servizio di assistenza online.
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Maturazione impasto con madre ad alte temperature
Gentilissima Dott.ssa Simona Lauri, il tema è attuale penso per molti professionisti del settore come lei, le alte temperature nei nostri laboratori ci portano a limitare o meglio ridurre la quantità di lievito negli impasti, pertanto il mio argomento è il seguente: Un impasto di pane con pasta madre al 30% e con un idratazione al 58-60% con una temperatura di laboratorio 35° ed usando la cella fermalievitazione a modalità conservazione prima di essere immesso in cella quante ore deve fermentare/maturare/lievitare l'impasto a t.a e sopratutto bisogna modificare la percentuale di idratazione. Grazie.
Buongiorno a lei Un impasto con la madre ha bisogno comunque di: temperatura di fermentazione leggermente superiori e tempistiche maggiori rispetto a un impasto con il lievito di birra fresco. Personalmente opererei nel seguente modo senza modificare nulla dal punto di vista dell'idratazione: temperatura a fine impastamento della massa circa 25 - 26°C, 1 ora di riposo in massa, anche se le temperature sono alte, pezzatura, formatura e introduzione in cella fermalievitazione in modalità conservazione a +1°/+2°C, prefermentazione a +18°C e fermentazione finale a 20 - 22°C. Trascorse le ore in cella, circa 10 - 15 minuti a temperatura ambiente scoperto e infornamento come di consueto con riduzione della temperatura di cottura di circa 10°C e di qualche secondo di vapore, rispetto alla stessa lavorazione senza utilizzo della cella fermalievitazione. Purtroppo i tempi di gestione all'interno della cella sono troppo legati alla sua produzione personale come logistica interna, tipologia di cella, ma soprattutto come pezzatura del prodotto. Spero di esserle stata di aiuto. Un saluto cordiale e a disposizione.
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Marchio commerciale Kamut
Buongiorno,cortesemente le chiedo un consiglio per quanto riguarda l' uso del kamut. E' arrivato a costi proibitivi per cui le chiedo come lo posso sostituire e soprattutto spiegare al cliente il cambio di farina in etichetta? Produco dei grissini con quella farina ma a 400 euro a qle ho deciso di fermare la produzione.La ringrazio e cordialmente la saluto
Buongiorno a lei. Prima di tutto ribadisco e sottolineo che il Kamut non è una farina nè tanto meno un cereale. E' solamente un marchio commerciale della Kamut International americana. Il cereale di riferimento è il grano duro T. turgidum turannicum o noto più commercialmente con il suo nome non botanico, grano Khorasan (omonima regione di origine dell'Anatolia - Turchia!) per cui deve insistere su questo. Per anni lo hanno fatto passare, per una questione di capillare, molto proficuo e mirato business aziendale con la complicità dei professionisti medici, mass media, ecc. per cereale, ma assolutamente NON lo è! Chiunque commercializzi sia pane sia prodotti sia farina con quel marchio commerciale brevettato deve avere l'autorizzazione dell'azienda detentrice del brevetto. E' rigorosamente un grano di importazione (ecco il prezzo elevatissimo!) perchè in Italia, su ammissione della stessa azienda, non ci sono coltivazioni di quel cereale per cui ,tutte le volte che si vede, sente o acquista il marchio Kamut è obbligatoriamente un cereale/farina di importazione americana. Chiarito, questo punto, ritorniamo al suo quesito iniziale. Le stesse identiche caratteristiche nutrizionali del T. turgidum turannicum marchio Kamut, le hanno sia il grano duro Senatore Capelli sia il grano var. Saragolla, Solina, Graziella Ra italianissimi coltivati da anni sul territorio nazionale, ma non abbastanza potenti a livello di marketing (dollari) aziendale da assillare, accecare e deviare la mente dei consumatori, medici compresi. Le varietà che le ho citato sono coltivate nelle classiche zone italiane tipiche da grano duro cioè tutte le regioni centrali, meridionali ed insulari anche se, le ultime variazioni climatiche, hanno fatto in modo da permettere la coltivazione di grano duro anche in alcune regioni settentrionali. Spetta, soprattutto a voi professionisti del settore, fare marketing ed esaltare le nostre produzioni italiane. All'interno di questo sito a questo link http://www.quotidiemagazine.it/archivio/2016/numero-5-maggio-2016/allocchi-o-faine-simona-lauri-ota-milano troverà un articolo di sicuro interesse per i consumatori, pubblicato sulla nostra testata a maggio. Oppure in ARCHIVIO 2016 numero di maggio. Spero di esserle stata di aiuto. Un saluto cordiale e a disposizione
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Differenza in etichetta
Buongiorno cortesemente vorrei sapere quale dicitura o denominazione di vendita è corretta tra" pane con le olive verdi" e "pane alle olive verdi". Grazie per la risposta.
Buongiorno a lei. Cortesemente potrebbe riportarmi l'elenco degli ingredienti utilizzati in ordine decrescente nella formulazione della ricetta? Mi scusi ma la sua email contiene troppo poche informazioni. Grazie a lei. Un saluto cordiale
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Impasto farina di farro
Buongiorno vorrei un consiglio. Di solito faccio il pane con l' impasto della pizza ed ottengo un ottimo prodotto. Vorrei provare a fare dei filoncini di pane con la farina di farro. Il procedimento é sempre lo stesso? Devo aggiungere un po di farina tipo 0 per dagli la forza? Faccio anche impasto integrale con e senza lievito e per quel tipo ci aggiungo la 0,altrimenti non riesco ad stendere le pizze. Grazie
Buongiorno a lei. La farina di farro la può usare in purezza senza alcun problema e il procedimento è lo stesso. Chiaramente dipende dal tipo di lavorazione poichè, non è molto indicata per bighe lunghe di 24 ore e più. La forza della farina non è rappresentata dalla classificazione merceologica per tanto, non è detto assolutamente che una Tipo OO sia più forte di una Tipo O. La forza (W) è un paramentro reologico che tiene conto della qualità e quantità di proteine presenti, mentre la classificazione Tipo OO. Tipo O, Tipo 1, Tipo 2 ecc. unicamente del grado di abburattamento. Una Tipo 1 può essere più forte di una Tipo O; non c'è assolutamente correlazione diretta. Il fatto comunque che lei non riesca a stendere le pizze può non dipendere unicamente dalla forza, ma da altri parametri reologici e tecnico - produttivi. In ogni caso la farina Tipo Integrale ha un comportamento reologico molto differente, assorbe molta pià acqua e necessita di lavorazioni molto particolari. In ogni caso è corretto tagliarla con della farina di frumento (soprattutto per gli impasti delle pizze) con differente abburattamento in percentuali molto variabili in base alla ricetta personale. Un saluto cordiale
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Metabolismi differenti
Buongiorno Dottoressa, sapendo che il lievito di birra S. cerevisiae ha metabolismi diversi in presenza o in assenza di ossigeno, mi chiedevo se fosse possibile conoscere la durata della prima fase cioè quella aerobica nella quale la cellula si riproduce. Il tutto per poter stabilire meglio la fase di puntata in massa. Grazie.
Buongiorno a lei. Questa è una domanda molto interessante e "microbiologica" alla quale non posso sulla carta dare una risposta certa. Lo sviluppo del metabolismo respiratorio o fermentativo da parte del S. cerevisiae dipende da tantissimi fattorri tra i quali: i ceppi di inoculo, UFC/g iniziali (concentrazione iniziale di inoculo), la quantità di aria inglobata nell'impasto e quindi la velocità dell'impastamento e il tipo di impastatrice, la temperatura, le iterazioni microbiche, lo stato iniziale delle cellule nella fase di inoculo (fresco, secco, disidratato) i ceppi iniziali utilizzati (non il genere, nè la specie), l'attività metabolica ecc. Purtroppo a livello artigianale/casalingo non è possibile controllare tutti questi parametri microbiologici/tecnologici. Questo è argomento di studio/controllo routinario quotidiano in un laboratorio molto attrezzato di microbiologia e impiantistica industriale. Le chiedo scusa, ma purtroppo non sono in grado di risponderle. Un saluto e grazie a lei per aver posto il quesito.
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