Hai un problema tecnico di produzione nel settore dell'arte bianca (pane, pizza, grandi lievitati, prodotti da forno in generale)? Il tuo prodotto ha un difetto? Hai bisogno di consigli? Esponi il tuo problema e Simona Lauri ti risponderà nel più breve tempo possibile.
Quantità massima lievito di birra
Salve e come sempre complimeti per il servizio che offre. Avrei una domanda breve, tralasciando la qualità degli impasti e dei relativi prodotti che si otterrebbero, esiste una quantità massima di lievito di birra utilizzabile per chilo di farina oltre la quale si potrebbero avere problemi per la salute del consumatore? se si quali sostanze (direttamente introdotte o metabolizzare dal lievito) risulterebbero tossiche? grazie dell'attenzione.
Buongiorno a lei, ipotizzando di escludere la metodica indiretta e considerando unicamente una metodica diretta non si deve superare per il pane il 4,0% di ldb (percentuale calcolata sulla farina), il 5,0% per impasti dolci con zucchero, uova e burro. Non considero l'impasto per la pizza, perché in linea di massima (data la lavorazione lunga) non si deve superare lo 0,2% sempre calcolato sulla farina. In un grammo di lievito di cultura pura al 95% di S. cerevisiae ci sono mediamente 10 miliardi di cellule che nelle condizioni di lavorazione, cioè fino a quando c'è ossigeno nella massa e la concentrazione zuccherina resta minore di 9g/l, producono biomassa oltre alla produzione di CO2 e H2O. Questo implica che la cellula dopo una lag phase iniziale più o meno lunga (mediamente 1 ora) entra nella fase esponenziale di crescita e le UFC/g iniziali (già di diversi miliardi) aumentano esponenzialmente fino alla fase stazionaria. Una concentrazione così massiva di UFC/g di lievito rende il prodotto - pane - un alimento estremamente ricco di purine e proteine. Il metabolismo della purine, proteine, acidi nucleici da parte dell'organismo umano porta ad un accumulo di acido urico nel sangue che se, non opportunamente metabolizzato, porta a iperuricemia e gotta. Questa è comunque la patologia che potrebbe insorgere nel caso di un eccessivo consumo di un qualsiasi altro alimento ricco di proteine. Per sua natura l'apporto nutrizionale del pane non è proteico ma a favore dei carboidrati. Spero di essere riuscita a rispondere esaurientemente al suo quesito e nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
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Precisazioni sul quesito "Mode e social".
Dottoressa la ringrazio e mi scuso per il mio quesito mancante di necessarie informazioni, ma che lei ha tuttavia letto correttamente. Come da lei intuito, mi riferivo a lievito compresso fino all'ultima frase, quella che comincia con la parola "infine", la sola in cui intendevo fare riferimento alla pasta madre. In quanto a metodica, mi riferivo proprio a un diretto lungo. Se ho ben compreso la sua risposta, è quindi possibile procedere con un diretto lungo anche col 2% di lievito, in un ambiente fresco, intorno ai 15-16 gradi, senza rischi? Mi preoccupava proprio il rischio microbiologico, cui lei ha fatto riferimento. Ancora grazie per la sua preziosa risposta.
Buongiorno a lei, per un diretto lungo personalmente userei non il 2% ma 1% di lievito di birra fresco, anche 0.8% se stoccato a 16 - 18°C per 12 - 18 ore. La realizzazione del soffiato secondo il diretto lungo prevede proprio l'utilizzo dell' 0,8% di lievito fresco nello condizioni operative appena descritte. Sinceramente non so a quali rischi microbiologici si riferisca ma con un inoculo volontario di S.cerevisiae fresco con queste percentuali non ci sono rischi. Grazie a lei per essersi rivolta/o al nostro servizio. Un saluto cordiale
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A proposito di mode e social
Buongiorno dottoressa, ho sempre letto ricette di paste lievitate dolci in cui sono indicate percentuali di lievito dal 2% al 4%, in base al loro contenuto di zuccheri e grassi. Da casalinga a quelle mi attengo, sia per lievitazioni a 28 gradi, che a temperature più basse, facendo ad esempio la puntata a 4-6 gradi in frigo. Invece su un gruppo di cucina regionale, in questi giorni di Carnevale moltissime persone presentano ricette di ciambelle fritte "a lunga lievitazione" con percentuali di lievito pari allo 0,5%, o addirittura 0,2%, e puntata notturna a ta, presumo quindi a 18-20 gradi. Nonostante alcuni risultati sembrino buoni, il mio dubbio è se questa "moda" possa avere conseguenze dannose, non solo sul prodotto, ma anche per la salute. E infine, ci sono rischi, e se si di che tipo, anche nel ridurre le percentuali di lievito madre, ad esempio al 5%, con lievitazione a ta? (anche questo visto di recente su un gruppo). Sperando in una sua risposta, la ringrazio le auguro buon lavoro.
Buongiorno a lei, mi scusi ma non riesco a capire la prima parte della sua email. Le percentuali che lei riporta si riferiscono al lievito fresco compresso conosciuto come lievito di birra o S. cerevisiae o alla pasta acida naturale o madre? Se si riferisce al lievito fresco di birra sono comunque corrette per un impasto dolce realizzato con metodica diretta corta o diretta media con gestione in frigorifero. Lo stesso per le percentuali di 0.2 - 0.5% di lievito di birra fresco se riferite a metodiche dirette lunghe con gestione della temperatura. Se invece le percentuali si riferisco alla pasta acida naturale o madre beh... sono un pochino inconsistenti se riferite soprattutto all'impiego di una madre solida. La percentuale del 5% potrebbe essere accettabile se la metodica è indiretta lunga con madre liquida ma le altre percentuali (0.2 e 0.5%), personalmente, mi sembrano insufficienti. Per carità ogni testa un piccolo mondo ma come professionista abituata a lavorare in sicurezza microbiologica con grandi quantità sia di impasto sia di madre (solida, liquida, in acqua) non lavoro certo con quelle dosi soprattutto se la madre è liquida e rinfrescata magari una sola volta alla settimana o raramente. Nella speranza di aver risposto esaurientemente al suo quesito e ringraziandola per averlo inviato, le invio i miei più cordiali saluti.
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Verifica (Per curiosità!)
Salve dottoressa, le rinnovo la mia stima ed ammirazione per la passione e la pazienza che impiega nel suo lavoro. In un mondo reale e virtuale, pieno zeppo di: maestri della panificazione, maestri della pasticceria, docenti di vario genere, formatori, dimostratori, insomma tutti super esperti e tutti che lasciano intendere che possono sicuramente insegnarti qualcosa.
Come se di colpo il tuo saper fare degli ultimi 5 decenni non contasse più nulla.
Quindi ora se non la disturbo , vorrei porre alla sua attenzione questo piccolo testo che ho trovato in rete. Così, per curiosità. Mi sembra scritto bene, comprensibile (anche se ne ho trovati altri illeggibili).
"Uno dei vantaggi che offre il Lievito Madre per la salute è l'alta digeribilità, assieme al Maestro xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx andiamo ad analizzare questo aspetto benefico.
«La lievitazione spontanea è una lievitazione molto lenta per consentire alla popolazione microbica di raggiungere un grado di maturazione cioè un numero sufficiente di lieviti e batteri per sviluppare l’impasto. Questi tempi lunghi consentono agli enzimi presenti di digerire, cioè rendere più semplici e disponibili, i nutrienti a partire dalle proteine, alle macromolecole lipidiche e amidi. Una bella fortuna per noi."
Chi accredita queste persone? Come si fa a diventare Docente della panificazione, per esempio? Come fanno a chiedere fior di quattrini per insegnare l'ABC di questi bellissimi mestieri? Un corso pagato migliaia di euro sembra più valido di un'assunzione da apprendista dove si lavora, si impara e si viene anche pagati. Cordialmente, saluto.
Buongiorno a lei, grazie per questa email che focalizza ancora una volta l'attenzione sulle reali problematiche del settore. Chi mi conosce sa che sono diretta e non utilizzo mezze parole; il settore della panificazione ha scuole riconosciute dal Ministero della Pubblica Istruzione e la preparazione professionale raggiunta è erogata come formazione continua (più di 800 ore/anno) triennale o quadriennale (se non ricordo male!) delle Agenzie Formative, Centri di formazione professionale, Istituti Professionali ecc., dopo la "famosa" terza media. Non entro nella valutazione di POF. Alla fine di questo percorso scolastico professionalizzante è rilasciato un diploma di qualifica professionale riconosciuto dal Ministero e con l'integrazione di un ulteriore anno l'alunno può accedere all'Università. In questi anni di studio a scuola è inserito anche il periodo di STAGE presso le aziende, chiamato anche Alternanza scuola lavoro, in cui il ragazzo/a, al posto di andare a scuola, si reca a lavorare presso le Aziende accreditate con la scuola stessa. Alla fine del percorso scolastico tri/quadriennale, come le dicevo, viene rilasciato un diploma di frequenza che NON è assolutamente un titolo accademico, cioè non permette di utilizzare il titolo di "Maestro", ma consente o di entrare nel mondo lavorativo con un titolo riconosciuto oppure di continuare gli studi. In Italia non c'è nessuna scuola accreditata con il Ministero che rilasci questo titolo se non, forse, qualche programma formativo organizzato da qualche Camera di Commercio per professionisti con diversi anni di esperienza nel settore e comunque dopo aver frequentato un corso teorico e pratico. L'accreditamento del "titolo" è dato unicamente dal percorso scolastico effettuato, a sua volta accreditato da un Ente Pubblico oppure da anni di esperienza nel settore in cui il titolo sia riportato in un DL. Non parliamo poi del titolo di "Dottore" che SOLO ed UNICAMENTE un percorso universitario post diploma quinquennale rilascia. Ancora peggio il titolo di TECNOLOGO ALIMENTARE, tanto illegalmente abusato nel settore dell'arte bianca da persone che magari non hanno neanche frequentato l'Università, riservato UNICAMENTE ai Dottori con laurea quinquennale che hanno superato l'Esame di Stato ed hanno l'iscrizione all'ordine professionale dei Tecnologi Alimentari. Le scuole professionali, che erogano la formazione continua, utilizzano come docenti della parte pratica panificatori in attività o in pensione che hanno fatto domanda oppure ex loro studenti che hanno avuto esperienza professionale di anni. Nel settore specifico della pizza NON c'è nessuna "scuola" riconosciuta dal Ministero che eroghi una formazione continua pluriennale (hanno magari le certificazioni per la formazione erogata ma la formazione non è riconosciuta dalla Ministero della Pubblica Istruzione Italiano come formazione continua professionale), pertanto il certificato che rilasciano NON ha alcun valore spendibile sia nel pubblico sia nel privato (a livello di qualifica professionale!) in Italia e/o estero oltre il fatto magari di essere corsi brevi 2/3 giorni e non annuali. E' solo un attestato per aver frequentato quel corso privato di quella specifica azienda. (alcuni sono anche riconosciuti come formazione ma sono solo corsi monotematici di 2/3 giorni non di più e soprattutto NON hanno nulla a che vedere con la formazione continua pluriennale) Il problema è proprio quello ... fino a quando ci sono persone disposte a pagare migliaia di euro per un certificato senza alcun valore e/o qualifica! Nella speranza di esserle stata di aiuto, le invio i miei più cordiali saluti.
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tempi di maturazione madre
Salve Dottoressa, avrei un consiglio da chiederle. al momento produco pane toscano con una madre solida che veniva rinfrescata alle 11 per entrare in produzione alle 23. Nel far fronte ai maggiori costi inevitabili dovuti alla situazione attuale, abbiamo deciso di terminare il turno alle 8 trovandoci cosi a rinfrescare l'ultima volta alle 8. cosi facendo rinfreschiamo il lievito 1 a 2 42%idro e la teniamo a 18 gradi, ma al momento si sono allungati molto i tempi di lievitazione finale e con una spinta sempre debole, anche se nel complesso la madre non è cambiata. Come possiamo trovarci il lievito pronto dopo e in spinta dopo 15 ore dall'ultimo rinfresco? meglio cambiare metodo di impasto? e se si in che modo? o devo cambiare la gestione della madre?
grazie del consiglio.
Buongiorno a lei, da quello che posso comprendere, senza vedere la madre e solo dalla sua email, il rapporto 1:2 a mio modesto parere non è corretto. Farei un semplicissimo 1:1 e poi a 18°C. Se è possibile, magari lo lascerei l'ultima ora a 30°C. Spero di essere riuscita a risolvere il suo problema. Cortesemente mi faccia sapere. Nel ringraziarla per la preferenza al nostro servizio, le auguro una piacevole giornata.
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Laminazione lievito madre
Buongiorno Dottoressa Lauri, vorrei chiederle una cosa, credo semplice, forse stupida. Gestisco il lievito naturale, laminandolo dopo averlo rinfrescato. Lo faccio d'abitudine con una tirasfoglia da banco dedicata, pur avendo una sfogliatrice a tappeti. Ora però avrei bisogno di riorganizzare gli spazi, ed eliminerei la tirasfoglia. La domanda è: che tipo di accortezze di pulizia si devono adottare per passare il lievito nella sfogliatrice, ed evitare ogni genere di contaminazione?
Buongiorno a lei, la cosa importante è che i tappetti della sfogliatrice non siano uniti, sporchi, con macchie più o meno colorate e che il rullo non sia sporco di grasso, cioccolato, marmellata, crema, ecc. Nessuna accortezza in particolare solo rigoroso, maniacale e routinario igiene dell'attrezzatura perché togliere i tappetti della sfogliatrice non sempre è possibile. E' normale e corretto che si "contamini" d'altra parte non è possibile evitare in nessun modo la contaminazione. Grazie a lei per essersi rivolto al nostro servizio. Buona giornata
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Miele e impasto panettone
Buonasera dottoressa S.Lauri, vorrei chiederle se una percentuale troppo elevata di miele, nel secondo impasto del panettone, può generare un "indebolimento" del glutine. La ricetta prevede 260 g di farina e 25 g di miele, lo zucchero 122g , il tutto su 1000g di impasto finito compreso inerti.
Nonostante abbia usato una farina Manitoba W350 la consistenza finale non era quella desiderata. Esiste una percentuale massima di miele da non superare per evitare problemi a livello casalingo?
Buongiorno a lei, mi scusi ma che problema di consistenza ha notato? Il saccarosio (zucchero da cucina) così come la tutte le sostanze igroscopiche (l’igroscopicità è la capacità di una sostanza di assorbire molecole d’acqua presenti nell’ambiente circostante per mantenere uno stato di equilibrio igrometrico) hanno la caratteristica di assorbire acqua sottraendola sia ai granuli di amido sia e soprattutto alle strutture proteiche. Se da una parte rallenta lo sviluppo del glutine dall'altra evita l'essiccamento del prodotto mantenendolo morbido nel tempo, riduce la nota acida, stimola la fermentazione, incrementa la colorazione superficiale. L'iterazione con le molecole di acqua è la motivazione principale dell'aggiunta a filo e graduale in seconda velocità dopo la formazione del glutine. Per il miele il discorso è amplificato in quanto la sua composizione prevede la presenza di glucosio, fruttosio, isomaltosio, raffinosio oltre chiaramente a acqua, antibiotici, acidi organici, enzimi, sostanze minerali e azotate ecc. Ha una concentrazione zuccherina elevata, è una sostanza igroscopica ma che, rispetto al saccarosio, contiene il 17 - 18% di acqua. La presenza del fruttosio è il fattore che, rispetto al semplice saccarosio, aumenta notevolmente l'igroscopicità, interferisce e modifica la struttura nell'impasto. Addirittura nei prodotti della biscotteria la presenza dello zucchero fa si che i prodotti restino più morbidi e più "friabili" (anche se questa caratteristica sensoriale è comunque tipica del burro che è sempre rapportato allo zucchero). Leggendo la sua ricetta mi sembra abbastanza bilanciata, volendo può arrivare fino al 3 - 4% di miele sul totale della massa; sinceramente non penso che il suo problema dipenda dallo zucchero e/o dal miele. Ringraziandola per la preferenza accordataci e per essersi rivolto al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
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Farine di forza e assorbimento dei grassi
Buonasera dottoressa S.Lauri, vorrei porle una domanda in merito alle farine di forza (credo si intenda Manitoba ) e la loro capacità di assorbire i grassi. Da cosa dipende la capacità di assorbire i grassi in una farina?
In particolare mi riferisco alle farine utilizzate per realizzare grandi lievitati. Sembra che tra farine "tecniche" e altre diavolerie non si possa più fare un panettone senza che sulla confezione ci sia scritto per panettone o colomba. Vorrei comprendere meglio. Grazie infinite per il servizio che dona a tutti noi appassionati.
Buongiorno a lei, mi scusi ma, contrariamente a quello che si pensi, la farina conosciuta come Manitoba non è detto che sia una farina di forza. Manitoba è solo il nome di una "varietà", non necessariamente di "forza". Per rispondere esaurientemente al suo quesito occorre fare un piccolo passo indietro per comprendere a grandi linee quale sia la funzione dei lipidi in una "schiuma" come è definito da diversi autori l'impasto. L'assorbimento dei grassi da parte della farina dipende di diversi fattori tra i quali: la tipologia di grasso, lo sfarinato inteso sia come cereale o pseudocereale impiegato sia e soprattutto come valutazione quali quantitativa dei biopolimeri e il quantitativo di acqua presente per l'idratazione dello sfarinato. Il contenuto minimo di umidità richiesto affinché questi legami inizino a formarsi è di circa il 23%. Il fenomeno prosegue fino a quando l’impasto raggiunge un tenore medio di umidità del 36-40%. La successiva fase di impastamento manuale o meccanico favorisce ulteriormente l’instaurarsi dei legami. In base alla struttura molecolare dei grassi impiegati (presenza di lipidi polari con struttura anfifilica, lunghezza della catena, ecc.) si esercitano diverse funzioni tra le quali quella: tensioattiva, emulsionante, stabilizzante del sistema e in grado di trattenere maggiormente i gas.
Fungono da tensioattivi quelli che presentano una struttura chimica anfifilica, cioè costituita da gruppi idrofobici, in grado di legare molecole non polari, e da gruppi idrofilici, capaci di instaurare legami con l’acqua e con altre molecole polari. Sostanze grasse quali burro, strutto, oli vegetali idrogenati e margarine presentano maggiori proprietà tensioattive rispetto agli oli per la maggior presenza di acidi grassi a catena corta (fino a 6 atomi di carbonio) e/o di gruppi fosforici che sono maggiormente in grado di formare strutture (legami o complessi) tra le proteine e amido (amilosio). I lipidi polari possono legarsi alle gliadine mediante legami idrofilici e alle glutenine attraverso legami idrofobici. In questo modo si forma il complesso gliadina-lipide-glutenina che contribuisce alla formazione di una struttura stabile, capace di trattenere i gas che si formano durante la fermentazione. Analogamente, i lipidi polari possono legarsi idrofobicamente alla glutenina e idrofilicamente all’amido. La struttura che si forma sarebbe in grado di ritardare il processo di raffermamento. Come le dicevo l'impasto può essere idealmente considerato una "schiuma", ovvero una dispersione di gas in una soluzione acquosa e i lipidi formano un monostrato all’interfaccia tra la fase acquosa e la fase gassosa, stabilizzando il sistema. Il motivo invece dell'aumento di volume (percentuali inferiori al 3% sulla farina per l'olio EVO) risiede nella formazione di dispersioni acquose (micelle) trattenute all’interno del reticolo glutinico sia mediante intrappolamento fisico sia attraverso legami polari e/o ionici. La presenza di micelle contribuirebbe alla formazione dell'aumento di volume sia per la maggior capacità di trattenere i gas sia per l'espansione termica degli stessi. Ciò appena descritto, è collegato sia alle cultivar sia a come tali strutture riescano a reticolarizzarsi (strutturazione della rete glutinica) a parità di tutte le altre condizioni soprattutto tipologia e percentuale di lipidi. Si assicuri di acquistare farine 350<W<380 (utilizzo con le impastatrici casalinghe) anche leggermente inferiori e non si lasci trarre in inganno dal marketing della farine tecniche. Un panettone o un altro grande lievitato può benissimo essere realizzato con una 250<W<300 ma questa è un'altra storia. Nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio di assistenza online, le invio i miei più cordiali saluti.
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Perchè utilizzare il metodo in sacco
Buongiorno Dott.ssa mi può spiegare per cortesia le ragioni per cui è preferibile adottare per il mantenimento il metodo in sacco piuttosto che libero? Cosa accade al lievito quando viene legato? Grazie, cordiali saluti.
Buongiorno a lei, la scelta di prediligere una metodica di gestione rispetto ad un altra è soprattutto legata alle abitudini, al tempo, alla tipologia di prodotti da produrre, ecc. di ciascun artigiano. Nella realtà quotidiana della lavorazione artigianale (sto parlando della gestione di diversi quintali di prodotti e di conseguenza di diversi chili di madre) ha sempre la precedenza l'"abitudine", intesa come gestione del rinfresco e tecniche operative personali (addirittura stessi orari) e molto spesso passano quasi sempre in secondo piano le differenze microbiologiche, chimico fisiche e fisiche di una madre gestita in sacco rispetto a quella libera in mastello, in acqua, o liquida. Quello che cambia in primis nelle tre gestioni sono: DY, presenza/assenza di ossigeno, acidità totale, pH, QF e soprattutto la specificità di microflora e le associazioni mutualistiche. Le lascio alcuni link dove potrà trovare qualche approfondimento https://www.quotidiemagazine.it/archivio/2020/numero-5-maggio-2020/e-ancora-acido-fenillattico-e-batteriocine-simona-lauri-ota-milano oppure https://www.quotidiemagazine.it/archivio/2018/numero-8-agosto-2018/la-madre-contiene-s-cerevisiae-simona-lauri-ota-milano. Spero di aver risposto esaurientemente al suo quesito e nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
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Starter nel poolish ..
Lezione di Arte bianca n18. In una parte del testo letto ,Lei parla di aggiungere del lievito nel poolish 0.1 nel pane e 0,5% nella pizza ..Come mai ciò ?
Io da amatoriale e leggendo vari libri sulla panificazione ,questo starter non lo ho mai inserito nel poolish o meglio se lo inserisco lo feci solo accorciare i tempi dell'appretto.
Buongiorno a lei, penso che il testo al quale lei si riferisca sia "...Prima di tutto, si suggerisce di rispettare indicativamente il rapporto 1:2 tra la farina utilizzata nella preparazione del poolish e quella usata nel rinfresco cioè, in parole più semplici, la quantità di farina da aggiungere nel rinfresco o impasto finale dovrebbe essere sempre il doppio di quella utilizzata nella fase iniziale di realizzazione del poolish. Invece 1.0 – 1.2% rappresenta la percentuale suggerita di lievito compresso fresco ldb da aggiungere all’impasto finale se si deve produrre un impasto da pane e 0.1 – 0.5% se da pizza...". Lo starter (lievito) non va inserito nel poolish ma nell'impasto che andrà a fare. Le percentuali alle quali faccio riferimento sono quindi 1,0 - 1,2% e non 0.1% di ldb nel pane e 0.1 - 0.5% nella pizza. La motivazione risiede nel fatto che nel pane ho bisogno di alveolatura nella mollica e di friabilità (data soprattutto dalla scelta della metodica per gli impasti molli) in funzione proprio dell'idratazione totale della massa. Per la pizza vale lo stesso discorso soprattutto se si lavora con i rapporti descritti nell'articolo. Chiaramente l'aggiunta del lievito compresso (ldb) implica una modifica dei parametri delle fasi processo. Le scelte di operare sono quindi prettamente soggettive in funzioni delle sue condizioni e abitudini. Nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
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Gelatinizzazione, quale?!
Gente.ma dott.ssa Lauri, salve e sempre complimenti per il suo lavoro, a proposito dell'argomento del titolo volevo chiederle informazioni. Ho visto più procedimenti per realizzarla. In particolare per es.uno consiglia di mettere un quinto di farina in 5 di acqua e con fiamma bassa girare finché non si crei una gelatina da usare quando raffreddata. L'altra tecnica prevede di versare stesso peso di acqua bollente(alcune volte anche una volta e mezzo, 2 ...) su farina, amalgamare bene e coperta fatta raffreddare da poi aggiungere al resto degli ingredienti. In entrambi i modi sottraendo peso di acqua e farina dal totale. Può spiegarmi la differenza tra le due tecniche e perché ho letto che la seconda viene utilizzata anche con i 'grani antichi"?! In che percentuale rispetto al totale si usa uno o l'altro metodo?. Grazie per il suo impegno buon lavoro
Buongiorno a lei, può usare qualsiasi tecnica, La seconda è più usata e più diffusa. In linea di massima non si va oltre il 20 - 25% sulla farina che si decide di aggiungere per non impartire pesantezza estrema al prodotto. Spero di esserle stata utile e nel ringraziarla per essersi rivolto/a al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
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Condizioni di rinfresco lievito madre
Salve, la contatto perchè da poco sono andato a lavorare in un laboratorio che usa regolarmente lievito madre per panificare e contestualmente anche lievito di birra per altri prodotti. Tutti i giorni subito dopo aver impastato pizza con lievito di birra, il titolare toglie l'impasto dalla macchina e rinfresca nella stessa macchina il lievito madre. Ora appurato che fra i microorganismi che popolano il lievito madre è presente anche Saccharomyces cerevisiae, Non può accadere che il lievito subisca delle contaminazioni negative dalla presenza di tracce di lievito di birra? inoltre l'impasto che precede il rinfresco del lievito contiene anche sale e olio di semi, non potrebbero anche questi influire negativamente sulla madre? Ho provato a chiedere al titolare, la risposta è stata che lui fa cosi da 40 anni e non ha mai avuto problemi. Grazie delle delucidazioni che vorrà darmi. Cordiali saluti.
Buongiorno a lei, mi scusi ma la risposta che le ha dato è la classica risposta di chi una risposta non ce l'ha, di chi è chiuso nella sue convinzioni, la maggior parte delle volte, sbagliate e si limita a ripetere i gesti routinari senza mai porsi dei quesiti. Prima di rinfrescare la madre, la vasca deve essere pulita da ogni residuo di impasto precedente, non solo lavata ma passata con alcool puro (NON l'alcool denaturato rosso!) sia per asportare eventuali residui di lavorazioni precedenti (grassi e non) sia per sanificare ed evitare proprio le contaminazioni incrociate che per una madre sono molto molto "rischiose". La presenza del S. cerevisiae (è uno sporigeno, ubiquitario) è una diretta conseguenza delle contaminazioni ambientali (aria, attrezzatura, utensili, personale, ecc.); la sua presenza è certezza quasi assoluta negli ambienti come panificio, pizzeria, pasticceria cioè in realtà artigianali in cui si operano lavorazioni con il S. cerevisiae oltre ad essere fondamentale proprio per gli equilibri microbici che si creano, in particolare la simbiosi con L.sanfranciscensis e/o altri LAB. E' importante per la madre che tali equilibri si instaurino per garantire sia la stabilità microbica sia la specie specificità del microbiota. Spero di aver risposto esaurientemente al suo quesito e nel ringraziarla per la preferenza accordata, le invio i miei più cordiali saluti.
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Prefermento
Buongiorno Dott.ssa cortesemente Volevo chiedere cos'è il prefermento e se si può usare nel panettone.
Buongiorno a lei, mi scusi se la correggo ma che cos'è e cosa intende per "prefermento"? L'utilizzo di questo termine che "impazza" sui social è scorretto sia grammaticalmente sia tecnicamente in arte bainca. Dall'etimologia della parola e dall'uso del prefisso pre, qualsiasi persona che legga, interpreta la parola come un evento che accade "pre" - prima- della fermentazione. In realtà NON è assolutamente cosi, anzi nel momento in cui a una massa qualsiasi di acqua e farina opero un inoculo microbiologico (aggiungo lievito di birra fresco, istantaneo, secco) la stessa massa diventa FERMENTO, non prefermento perché si avvia in quella massa, in quel momento, la fermentazione; non è qualcosa che avviene prima della fermentazione. Fatta questa doverosa precisazione tecnica di terminologia, le rispondo che sia con un poolish, sia con la biga si può realizzare un prodotto da forno dolce purchè non lo si chiami "panettone". La parola "panettone" è, per normativa italiana, unicamente riservata a quei prodotti che rispettano il DM 22 luglio 2005 e le successive modifiche riportate nel DM 16 maggio 2017 cioè fatte con la madre ed eventualmente con un' aggiunta di ldb rispettando lo stesso DM. A questo punto aggiungo che oltre ad essere un problema di normativa è anche di shelf life commerciale; mediamente un prodotto realizzato con il solo lievito di birra, poolish, biga ha una vita commerciale di una settimana contro la shelf life che supera il mese del prodotto artigianale "panettone". Le ricordo inoltre che la commercializzazione impone non solo il rispetto del sopraccitato DM per la corretta denominazione di vendita panettone ma il Reg Ue 1169/2011 per quanto riguarda la tabella nutrizionale e la corretta etichettatura. Nella speranza di esserle stata di aiuto, le invio i miei più cordiali saluti
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incomprensione
Salve signora lauri, le vorrei rivolgere una domanda relativa a un mio errore.
ho eseguito una simile biga con una farina 00 w360 idratazione 45% e 0,5% lievito di birra fresco purtroppo messa immediatamente in cella a 3 gradi. potrà essere utilizzata dopo uno stock di 82 ore? rischio marcescenza per troppe ore? grazie per la risposta e la disponibilità.
Buongiorno a lei. Sì ...ci potrebbe essere quel rischio soprattutto perché la percentuale di lievito fresco è molto bassa e lo stoccaggio a +3°C non è ottimale per il metabolismo dei lieviti soprattutto S. cerevisiae. Nella speranza di esserLe stata di aiuto, le auguro una buona giornata.
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Alveolatura
Buongiorno dottoressa, una curiosità, quali sono le metodologie e i processi che rendono una pizza alveolata?giusta tensione del glutine, proteasi? l'idratazione quanto è importante? Qual'è il momento esatto per stendere il panetto? Grazie in anticipo per la sua gentilezza. Buona giornata
Buongiorno a lei, mi scusi ma è abbastanza difficile rispondere nello specifico a questo quesito perché dipende dalle condizioni operative e dalle abitudini di ciascuno. NON c'è un metodo standard infallibile che vada bene sempre e sia universalmente adottato da tutti. In linea generale ci sono dei fattori imprescindibili che sono: forza non troppo elevata (W500,600 non vanno bene a prescindere!) ed elasticità equilibrata (0,4<P/L<0,6) della farina, metodica indiretta con biga o poolish (incorporato nella massa finale all'inizio del collasso centrale non quando completamente collassato con acqua e schiuma in superficie!) oppure diretto lungo, utilizzo di lievito fresco, quantitativo di acqua prevista dalla ricetta superiore al 60 - 65%, non usare il ghiaccio e/o acqua a 4°C, usare acqua a temperatura di 20°C, tempi di riposo in massa (prima puntata e se lavorazione indiretta) a temperatura massima 18°C per circa 2 ore, staglio e stoccaggio in frigorifero per 24 ore, fermentazione a 18 - 20°C per circa 3 ore. Se invece lavorazione diretta lunga anche 8 - 10 ore a 18°C per la prima puntata. Mi scusi ma purtroppo non sono in grado di rispondere per email al quesito relativo al momento "esatto" per stendere il panetto perchè dipende da tantissimi fattori tra i quali proprio: la temperatura del panetto, tempo/temperatura fermentazione, stato fisico dello stesso, ecc. Spero comunque di essere stata in grado di rispondere esaurientemente al suo quesito e nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti. Buona giornata
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Sponge
Buonasera Simona. Sento parlare di sponge, mi potrebbe spiegare cos'è o indicare link per approfondire? Grazie 1000
Buongiorno a lei ecco alcuni riferimenti
https://www.sciencedirect.com/topics/agricultural-and-biological-sciences/dough-sponges
https://www.britannica.com/topic/baking/Continuous-bread-making
https://www.researchgate.net/publication/44624011_Sponge_and_dough_bread_making_Genetic_and_phenotypic_relationships_with_wheat_quality_traits
https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1111/j.1745-4603.2007.00130.x
Grazie a lei e buona giornata
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Maturazione degli impasti
Buongiorno, come certamente saprà il tema della maturazione dell'impasto a temperatura controllata (frigo 2°-5°) è da sempre molto dibattuto. E' "credenza comune" che riposi prolungati in frigorifero favoriscano la lavorazione enzimatica (proteasi, amilasi, lipasi) mantenendo tuttavia inibiti i lieviti (o quasi), sia che si parli di lievito compresso sia che si parli di lievito madre (liquido o solido).
Eppure la letteratura scientifica sembra concordare sul fatto che tali enzimi siano pressochè "fermi" a temperature inferiori ai 5°. Da ciò si evincerebbe che a temperatura controllata tanto la maturazione quanto la lievitazione siano inibite o quanto meno estremamente rallentate. Da qui la domanda nasce spontanea: quali vantaggi effettivi può apportare l'uso della temperatura controllata a un impasto se in fin dei conti per una corretta maturazione/lievitazione ci sarà comunque bisogno di un adeguato "riposo" a temperatura ambiente? Ringraziandola anticipatamente porgo cordiali saluti.
Buongiorno a lei, prima di tutto occorre fare delle considerazioni sui reali valori di temperatura che si raggiungono a cuore, i quali a loro volta sono funzione della temperatura della massa introdotta, delle reazioni esotermiche che avvengono e dalla quantità della massa in termini di peso e forma (dalla quale dipende la velocità di penetrazione del freddo). Non possiamo fare un discorso generico sugli enzimi (per cui escluda tutta la teoria e bibliografia generica di un qualsiasi enzima riportata nei testi) perchè ogni specifico enzima ha un suo range ottimale di temperatura e pH al di fuori del quale o non si attiva o viene denaturato da un valore troppo alto di temperatura. In questo secondo caso la sua attività è definitivamente compressa, mentre nel primo caso mantiene la sua struttura; è solo eventualmente inattivo o debolmente attivo ma pronto a raggiungere l'optimum della sua attività nel caso in cui si raggiunga il range opportuno di pH e temperatura. Nello specifico caso di un impasto, quindi di un discorso molto specifico solo su gli enzimi implicati nel processo di panificazione endogeni (alfa e beta amilasi, lipasi, proteasi proteinasi, xilanasi, glucoamilasi, fitasi ecc.) ed esogeni (sia introdotti come tali sia come complesso enzimatico presente nei microrganismi, lievito e LAB compresi) possiamo dire che l'azione viene rallentata ma non va a zero proprio perché non va a zero l'attività metabolica del lievito e di tutti quei microrganismi psicrofili o meno (alcune specie di lattici inclusi) che sopportano bassi valori di temperatura anche se esterni al loro intervallo ottimale di crescita. Fino a quando il lievito e/o altre specie microbiche restano vive e vitali opereranno sempre un metabolismo anche se rallentato; operare un metabolismo vuol dire mantenere attivi tutti i complessi enzimatici, presenti nel citosol, sulla membrana e nei mitocondri, che operano i rispettivi metabolismi. A temperatura di +4°C nè la fermentazione nè la "maturazione" (intesa come degradazione enzimatica dei biopolimeri) è inibita (bloccata) ma solo rallentata. A questo discorso poi si deve inserire la stretta correlazione tra la temperatura e il valore del pH (l'attività di un enzima è in relazione non solo alla temperatura ma al valore del pH) sull'attività degli enzimi specifici; attività che è in funzione diretta della stabilità, la quale a sua volta dipende dal danneggiamento della struttura terziaria o quaternaria dello specifico enzima. Inoltre, un conto è verificare l' attività enzimatica in vitro sull'enzima specifico in purezza, un altro invece valutare la reale situazione dello stesso direttamente in un impasto cioè all'interno di una struttura molto variabile in termini di iterazioni molecolari e condizioni chimico - fisiche , chimiche, fisiche e microbiologiche che prevede un complesso di enzimi che si attivano a differenti valori di temperatura e pH. Se si riferisce alla massa per pizza, la fase di stoccaggio a +4°C non è assolutamente un obbligo ma un suggerimento per permettere sia l'indebolimento della struttura come azione diretta del freddo sul glutine (generalmente i pizzaioli utilizzano quasi sempre farine con W>380) migliorandone la lavorabilità sia l'abbassamento del pH per garantire la lenta azione enzimatica delle proteasi della farina, delle proteinasi microbiche, delle fitasi, ecc., che si attivano a pH minore di 4.5 sia l'idrolisi della proteine solubili in soluzione salina sia il miglioramento del flavour ecc. Lo stoccaggio a +4°C sarà più o meno lungo in funzione del tipo di cereale utilizzato, del tipo di farina, della W e P/L della farina, della percentuale e stato di lievito (fresco, secco ecc.) dell'azione combinata S. cerevisiae e LAB ecc. La fase della fermentazione successiva risulta basilare nel momento in cui devo procedere alla produzione di CO2, alcool, ecc., per la struttura del prodotto. Se ci fosse unicamente la fermentazione a t.a. a breve termine, saremmo in una condizione magari ottimale per l'attività metabolica della microflora ma non per l'attivazione enzimatica specifica delle proteasi, peptidasi, fitasi ecc. che si attivano come diretta conseguenza dell'abbassamento del pH. Fermentazione e maturazione sono dei processi chimici differenti; possiamo avere la maturazione senza la fermentazione perchè la fermentazione è unicamente un processo metabolico derivante dalla presenza del lievito (se ci riferiamo a quella alcoolica), da LAB nel caso della omo/eterolattica, ecc. Se non ci sono i microrganismi non si può parlare di processo metabolico fermentativo, respiratorio ecc., mentre la maturazione come degradazione enzimatica dei biopolimeri avviene comunque nel momento in cui si creano le condizioni per far agire i complessi enzimatici endogeni della farina. Spero di aver risposto esaurientemente al suo quesito e nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
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Creazione della madre dall'inizio
Salve Dott.ssa Lauri,
Vorrei creare una nuova pasta madre solida e si trovano in giro varie metodologie per farlo. Con frutta, miele, soltanto farina, tipologia di farina ecc. ecc. Vorrei sapere lei quale metodologia mi consiglia e se magari potesse aiutarmi a comprendere che variazioni ci possano essere tra l'uno o altro metodo. Vorrei anche sapere a che temperature farla nascere, dato che leggevo che anche questo può influire sulle caratteristiche della madre. Posso domandarle anche se per un utilizzo casalingo sia da prediligere una solida o una liquida ? Grazie
Buongiorno a lei, la scelta di operare la partenza della madre con frutta, solo farina, yogurt, pomodoro ecc. influenza decisamente la specificità della microflora per i primi 10 - 15 giorni. Se opta per una mela frullata (compresa di buccia), pesca matura, uva matura ecc. avrà tendenzialmente (almeno all'inizio) una microflora in cui si svilupperanno per primi i lieviti (presenti naturalmente sullo strato pruinico esterno di qualsiasi frutto) e/o altre forme microbiche che, con il passare del tempo, dei rinfreschi e della temperatura ecc. andranno a diminuire a favore dello sviluppo di LAB specifici (soprattutto contenuti nelle farina usata per i rinfreschi e nelle materie prime iniziali), degli equilibri LAB/lieviti a danno di altre forme microbiche. Questo non solo garantirà una stabilità fondamentale alla coltura ma eviterà che altri microrganismi possano trovare condizioni favorevoli al loro sviluppo. Se opta, invece, per lo yogurt magro introduce specie di LAB tipiche del settore caseario che potrebbero sviluppare sinergie, flavour ecc., non caratteristici per la madre. Come ho ribadito in più occasioni, personalmente non consiglio di usare il miele nelle primissime fasi iniziali (un approfondimento lo può leggere a questo link https://www.quotidiemagazine.it/archivio/2022/aprile-2022/miele-si-no-forse-simona-lauri) perché la coltura potrebbe subire forti rallentamenti e/o addirittura non svilupparsi per la presenza, in tutti i mieli, di alcune molecole secrete dalle api come: l'enzima glucosio - ossidasi, composti fenolici, ape- densina1, ecc. che inibiscono naturalmente la crescita e lo sviluppo della maggior parte dei batteri, LAB compresi. Scelga in piena libertà (farina di segale, farina di frumento integrale, farina tipo 00,1,2) non cambi mai la DY (almeno nella fase di creazione), mantenga la madre legata e allo stato solido, operi rinfreschi quotidiani e conservazione a ta mai in frigorifero almeno per i primi 15 giorni, mantenga farina:madre=1:1 e aggiunga 45% di acqua e soprattutto non abbia fretta. Per quanto riguarda la sua seconda domanda è difficile risponderle perché dipende dalle abitudini di ciascuno; la madre liquida (mi riferisco a una coltura stabile, specie specifica e non nelle fasi iniziali) è più pratica da gestire e da usare ma nasconde inside microbiche date dal fatto che, in formulazione liquida, è molto facile che si sviluppino forme alterative importanti; quella solida è più laboriosa ma più sicura microbiologicamente. Spero di esserle stata di aiuto e nel ringraziarla per essersi rivolto/a al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti
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Temperatura impasto
Egregia dott.ssa Lauri, ne approfitto della sua competenza e cortesia per porle un'altra domanda teorica. Lei spesso nelle sue risposte parla di temperatura di chiusura dell'impasto. Come influisce questo nelle lavorazioni successive. Cosa succede se la temperatura è diversa? Grazie mille e complimenti
Buongiorno a lei, la temperatura è IL parametro fisico fondamentale nonché indispensabile per operare questo tipo di lavorazione proprio perché si opera sia con matrici igroscopiche, lipidiche, biopolimeri sia con microrganismi il cui metabolismo, vitalità, crescita, ecc., dipendono soprattutto dalla temperatura. Variare la temperatura, vuol dire variare le condizioni di tutte le reazioni biochimiche negli impasti, comprese quelle enzimatiche, solubilizzazione dei gas, ecc., oltre a rallentare/stimolare l'attività metabolica delle forme microbiche presenti e influenzare le caratteristiche sensoriali del prodotto finito (apertura degli alveoli, colorazione della crosta, spessore di crosta, volume ecc.). In arte bianca la temperatura a fine impastamento è basilare purché ottenuta con l'utilizzo di acqua a temperatura calcolata dalla formula classica e non mediante riscaldamento meccanico (surriscaldamento eccessivo e overmixing). In generale più un impasto è asciutto (quantitativo di acqua aggiunta <45% sulla farina) più si cerca di tenere bassa la temperatura a fine impastamento (in questo caso circa 22 - 23°C) per evitare che l'impasto prenda "eccessiva forza fermentativa" e crei problemi di passaggio alla coppiatrice, chifferatrice ecc.; più un impasto è molle, invece, più si alza la temperatura a fine impastamento, più si aumenta il riposo in massa per stimolare l'attività fermentativa ecc. Se un impasto molle ha una bassa temperatura (per esempio 22 - 23°C), prende eccessiva debolezza (non ha struttura e perde in alveolatura il prodotto) che si traduce in uno sviluppo in larghezza e non in altezza. La massa, in questo caso, richiede prime puntate lunghe a 30°C prima dello staglio. MI scuso se non sono riuscita a rispondere esaurientemente al suo quesito. Nel ringraziarla per la preferenza accordata, Le invio i miei più cordiali saluti. Buona giornata a lei
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Incordatura impasto
Buongiorno, dopo aver fatto l'impasto ed avere ottenuto una buona incordatura, è possibile che dopo 36 ore sia ancora troppo elastico? Da cosa può dipendere? Faccio girare massimo 16 minuti con idro 80%.È un errore di impasto o nella fase successiva? Ammesso che sbagli. Buona pasquetta a tutti
Buongiorno a lei, mi scusi ma è estremamente difficoltoso risponderle a questa email. Dipende dalla proprietà reologiche della farina utilizzata, dal tipo di impastatrice, dalla temperatura e dalla metodica di lavoro; in ogni caso se si riferisce al parametro "elasticità" (come mi sembra di capire dalla sua email!) è normalissimo anzi è proprio voluta. Spero di aver compreso il suo quesito. Nel ringraziarla per la gentilezza e la preferenza accordata al nostro servizio, le auguro una piacevole giornata.
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Rosette gommose
Dopo numerosi tentativi e prove sono riuscito ad ottenere rosette vuote belle soffiate, ma ora si presenta un altro problema, nonostante per alcune ore restino belle croccanti passate 2 3 ore cominciano a diventare gommose e alla sera la mollica è piuttosto coriacea. La ricetta che uso e la classica biga 20 ore (che lei spiega anche nel suo libro pane e pizza) idro finale 55 %. Sto provando varie farine vanno meglio farine intorno ai 280w, ma chiaramente il volume finale e il vuoto non è lo stesso di una 380W. Che correzioni posso apportare per averle belle croccanti almeno fino a sera? grazie.
Buongiorno a lei, mi scusi ma è difficoltoso rispondere senza vedere il prodotto e soprattutto senza vedere se presenta un difetto laterale classico da debolezza. Può realizzare benissimo le rosette con una 280W basta che si ricordi di: ridurre il tempo di maturazione della biga, ridurre il riposo del pastone, ridurre i secondi e la pressione della stampatrice. Se stampa a mano si dovrebbe accorgere che la risposta è differente e quindi alleggerire naturalmente la pressione. Cuocia con il tiraggio aperto gli ultimi minuti. Mi scusi ma, come le dicevo, è un pochino difficoltoso riuscire a capire bene per email e per poterla cosi aiutare. Nella speranza di essere riuscita comunque a darle dei consigli utili e ringraziandola per essersi rivolto al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
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Pieghe di rinforzo e forza della farina
Gentile dottoressa Lauri la ringrazio per il suo lavoro di divulgazione dell'arte bianca che tanto insegna sia agli appassionati che agli addetti del settore. Ho due domande da rivolgerle. Negli impasti "no knead" per stimolare lo sviluppo della maglia glutinica vengono fatte delle pieghe "di rinforzo" ogni 15 minuti nell'arco di un'ora. C'è una base scientifica di tale frequenza? Cosa succederebbe variando il tempo tra una piega e l'altra o il numero delle pieghe?
L'altra domanda riguarda come identificare la forza della farina: il W (non sempre indicato in etichetta), la percentuale di proteine considerando che quanto indicato in etichetta sono proteine totali (che quindi non ci dicono solo quelle utili per la panificazione) oppure il rapporto P/L anche questo non sempre indicato sulla confezione. Grazie della disponibilità.
Buongiorno a lei, grazie a lei per la stima e l'apprezzamento del nostro lavoro: Per quanto riguarda il suo primo quesito, risposi qualche tempo a una domanda simile sul no Kneads e a questo link può trovare la mia risposta https://www.quotidiemagazine.it/sos/no-knead-o-pane-senza-impasto?searchterm=no+knead . Nel caso specifico le pieghe di rinforzo sono fondamentali perchè non solo rinforzano la struttura ma simulano l'azione meccanica: non si impasta con l'impastatrice ma in un certo senso a mano con le pieghe. Non esiste assolutamente una regola fissa, valevole sempre e a prescindere, che stabilisca il numero esatto e la frequenza delle pieghe; dipende dalla "debolezza" dell'impasto. Ha ragione, il valore del W non sempre è riportato in etichetta, perchè: non è un' informazione obbligatoria per legge, l'analisi stessa non rientra nelle analisi ufficiali per l'errore analitico strumentale e perchè lo stesso sfarinato può cambiare il suo comportamento in base al tempo/temperatura/UR durante lo stoccaggio. Non si può valutare una farina solo su un risultato farinografico o alveografico! In linea di massima, in etichetta si legge la tabella nutrizionale per il valore delle proteine totali. Il valore delle proteine insolubili, cioè quelle che interverranno nella formazione della rete glutinica, è circa l'85% del valore riportato. In ogni caso non c'è una correlazione diretta imprescindibile valevole sempre tra il valore delle proteine totali e le caratteristiche reologiche di una farina; una prova di panificabilità può dare risultati inaspettati. In linea di massima un valore elevato di proteine totali può far supporre un valore di W maggiore ma come le dicevo lo prenda come "indicazione" di massima. Anche il P/L non è indicato proprio per le stesse ragioni. Spero di aver chiarito i suoi dubbi e nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
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Idratazione elevata
Buongiorno dott.ssa Lauri , volevo chiederle da panificatore della domenica qual è il limite teorico di idratazione di una farina. Sul web si vedono idratazioni mostruose , ma poi quando provo io a replicarle con le stesse metodiche e materie prime neanche mi ci avvicino. Le pieghe che vengono fatte a distanza di brevi intervalli hanno un senso scientifico o sono pura teatralità? E poi ha senso una idratazione cosi alta ammesso che si possa raggiungere nel prodotto finale? Grazie mille e complimenti.
Buongiorno a lei, concordo sul fatto che qualche volta ci sia della "teatralità" unita a manìa di protagonismo in questa gara assurda quanto senza senso di chi riesce a far incorporare più acqua all'interno della massa. Prima di tutto devo fare una precisazione importante; se parliamo di "pane", includendo con questo termine circa 400 specializzazioni tipiche italiane, la quantità massima di acqua che si può aggiungere è quella riferita solo ad particolari prodotti come: ciabatta, pane francese e pochissimi altri. In questo caso, parliamo di un quantitativo intorno all'80- 85% sulla farina che può benissimo essere la stessa quantità di acqua utilizzata per realizzare un impasto per pizza in pala e/o in teglia, focaccia salata, ecc. Questo per dire che già a quei valori si ottengono dei prodotti meravigliosi, non solo ma riuscire ad inglobare nella massa e poi a lavorare quella tipologia di impasto non è poi una cosa cosi facile. Essere in grado di aggiungere un quantitativo di acqua cosi importante dipenda da: temperatura dell'acqua, modalità di introduzione sempre "a filo", concavità del fondo della vasca, presenza di piantone centrale, tipologia di impastatrice (generalmente in questo caso la migliore è la bracci tuffanti), velocità che è possibile raggiungere, forza e assorbimento di acqua da parte della farina, quantità di massa rispetto al dimensionamento della vasca, presenza di sale marino, olio, tipo di prodotto da realizzare, dimensionamento degli alveoli interni (anche qui possiamo parlare per ore perché, se per una tipologia di pane possono essere degli elementi caratteristici, per altri possono essere un difetto da non sottovalutare!) ecc., alle quali fa seguito una manipolazione opportuna. La motivazione delle pieghe è legata alla necessità di "incrementare" la forza dell'impasto. Le pieghe non devono essere un' operazione di routine, ma essere fatte solo nel caso in cui l'impasto abbia necessità e si presenti eccessivamente debole. A livello casalingo una delle cause dell'eccesso di debolezza può essere imputabile al fatto che l'impasto sia: troppo freddo in partenza per errato calcolo della temperatura dell'acqua da utilizzare, realizzato con metodica diretta, eccessivamente idratato con acqua fredda oppure sia stato stoccato a +4°C . In questo caso si opera una piega e si lascia riposare a 30°C per circa 20 - 30 minuti in funzione dalla quantità di massa e del tipo di prodotto (generalmente si operano le pieghe sul pane e quasi mai su un impasto per pizza!) e poi si procedere con la pezzatura e l'avvolgitura finale. Realizzi il pane che desidera a suo gusto e piacere e lasci perdere i commenti. Nella speranza di esserle stata di aiuto, le invio i miei più cordiali saluti. A disposizione
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Gommosità
Buonasera dott.sa Lauri, la ringrazio anticipatamente per la sua gentilezza e disponibilità. Approffitto per racchiudere in un solo post SOS diverse domande: lavorando con un impasto pizza innescato con 40% di biga e idratato al 70%, facendo lievitazione in massa per 14 ore (in cui 2 temperatura ambiente e 12 frigo) poi successivamente staglio e in frigo per 6 ore e 2 ore prima del servizio temperatura ambiente, secondo lei una farina w330 è matura? Cambierebbe qualcosa per eliminare l'effetto gomma? Secondo lei quanto dovrebbe "maturare" una farina con forza w330? Grazie buona serata
Buongiorno a lei, mi scusi ma è estremamente difficoltoso se non impossibile risponde a questo quesito solo per post senza vedere. Non c'è una correlazione universale che vada sempre bene in qualsiasi situazione tra W e tempo di maturazione. Sulla carta e in linea molto molto teorica un farina 330W 0.40<P/L<0.60 può essere in grado di sopportare anche 3/4 giorni di maturazione della massa in frigorifero, ma ... c'è un "ma" tutto dipende dalla presenza dalla presenza e tipologia di altri ingredienti come: quantità di biga, quantità e tipologia lievito fresco/secco, presenza/assenza di malto e sue unità Pollack, temperatura impasto, ambiente, forza impartita durante la chiusura e tempo del riposo successivo ecc. Dal mio personalissimo punto di vista, le consiglio inizialmente di optare solo per dei semplici cambiamenti dei parametri processo senza modificare null'altro; dovrebbe essere sufficiente. Riposo della massa in prima puntata 1,5 ora a t.a, staglio e stoccaggio a +4°C per 24 ore e 3 ore a t.a. prima del servizio. Grazie a lei per essersi rivolto al nostro servizio e mi tenga cortesemente informata. Buona giornata
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Biga e acidità
Buongiorno dott.ssa
Volevo sapere una biga matura che acidità o range di valori deve avere per essere perfetta?
Se troppo acida rischia di dare troppa tenacità all'impasto? Quindi avremo un prodotto finito più duro? Invece se ha un acidità più neutra come difetto sarà semplicemente meno performante ?
Nel ringraziarla le porgo distinti saluti
Buongiorno a lei, se per acidità intende il valore del pH, dopo circa 30 ore si attesta nel range del 5.2 ma non ha alcuna importanza nella biga perchè non è una madre e il pH è troppo troppo "valore numerico" fine a se stesso. La parola "perfetto" è un concetto un pochino (troppo!!!) astratto perché posso avere una biga nelle condizioni ottimali dopo 12 ore cosi avere una biga altrettanto ottimale dopo 36 ore. La differenza non la fa il numero legato al pH, perchè la quantità di acidi prodotti come metabolismi secondari dal S. cerevisiae (perchè di questo stiamo parlando) è minima non solo ma occorre valutare in quelle condizioni il loro grado di dissociazione e quindi la concentrazione di ioni idrogeno che vanno a determinare l'algoritmo pH. I fattori da considerare sono: i minuti di impastamento (BASILARE nonchè FONDAMENTALE!) il tipo di impastatrice, la temperatura del locale dove la biga riposa, la temperatura della farina e la temperatura dell'acqua. Il riscaldamento meccanico su questo impasto si ritiene trascurabile ecco perchè sono fondamentali i minuti e il tipo di impastatrice. La forza impartita poi alla massa (impasto) finale è basata sul quantitativo di biga aggiunta che a sua volta dipende dal tipo di pane che si desidera produrre. Tutte le bighe sono più o meno "performarti" dipende dallo stato metabolico in cui si trovano nel momento dell'utilizzo che a sua volta dipende dalle condizioni di stoccaggio e non dalla loro "acidità". Ho visto bighe meravigliose a 27°C cosi come pessime bighe a 22°C, dipende dalle caratteristiche reologiche delle farine, a parità di quantità di lievito fresco aggiunto, potere fermentante del S. cerevisiae, temperatura e quantità di acqua aggiunta e temperatura/tempo di stoccaggio. Non è possibile generalizzare soltanto su un valore di pH o di Temperatura interna perché non sono impasti completi e il range di variabilità è abbastanza ampio nelle realtà artigianali e nella, non sempre possibile standardizzazione costante, della farina. Spero di aver risposto esaurientemente al suo quesito. Grazie a lei e buona giornata.
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Lievito
Buonasera e grazie per i preziosi consigli, effettivamente non ho specificato e, rispondendo alla sua domanda le dico che ho la possibilità di utilizzare un Lievito secco istantaneo costituito da cellule di Saccharomyces cerevisiae oppure lievito naturale di farina biologica di grano tenero tipo 0 in polvere. Io ho sempre panificato utilizzando il lievito di birra compresso e sui lieviti in polvere non ho mai approfondito. Lavoro con la biga di 18/24 ore con l'1% di lievito e 45% di acqua, e nell'impasto metto il 5% di lievito compresso. Cambierebbe qualcosa utilizzando l'uno o l'altro descritti in precedenza?
Grazie ancora e complimenti per il suo lavoro. Cordiali saluti
Buongiorno a lei, mi scusi ma per rispondere esaurientemente a questo quesito potrebbe non essere sufficiente lo spazio che ho a disposizione. In primis lavorare con S. cerevisiae fresco in coltura pura al 95% non è assolutamente la stessa cosa rispetto alla stessa coltura nella forma secca o istantanea non solo ma è completamente differente in ogni dettaglio paragona questa lavorazione a quella di una madre o pasta acida naturale, non solo per la quantità da aggiungere ma per i riposi, forza, gestione tempi/temperatura del processo, prodotti, ecc.; cambia tutto nelle fasi processo. Se non incontra difficoltà continui a lavorare con la biga (non è riportata nella email la quantità) e se posso permettermi riduca la percentuale di lievito fresco al 2,5% sulla farina se è pane; se invece è pizza la porti allo 0.1% sulla farina per uno stoccaggio maturazione di 24 ore a +4°C. Spero comunque di esserle stata di aiuto e nel ringraziarla per essersi rivolto a questo servizio, le auguro una serena giornata.
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Li.co.li
Buongiorno dott.ssa, mi da delle dritte per utilizzare al meglio il licoli per produrre pizza classica e pizza in pala? Al momento lavoro con 80% di biga su un impasto che poi lavoro tutto a temperatura ambiente per la pizza in pala. Impasto diretto per la pizza classica. Vorrei capire se posso evitare i due rinfreschi a 4 h l' uno dall altro, perché mi sembra di gestione quasi impossibile se fosse così, in che percentuale usarlo, se tenerlo idratato allo stesso modo in cui idrato l' impasto finale e se è meglio una lievitazione mista aggiungendo ldb per più spinta in forno. E se un impasto con lievito madre si può gestire anche col frigo, perché ho notato usando il solido per panettoni e colombe che a temperature sotto i 26 gradi il rallentamento è significativo. Grazie mille per tutte le risposte
Buongiorno a lei, mi scusi ma non riesco a comprendere; lei parla di gestione e impasti con la biga e poi nomina il lievito madre liquido? Non mi è chiaro questo passaggio soprattutto non mi è chiaro se vuole lavorare solo con la madre liquida o con una lavorazione biga + madre liquida. Se gestisce una madre liquida per poi utilizzarla nell'impasto della pizza può benissimo, anzi deve, evitare i due rinfreschi; basta un rinfresco con farina "biscotto" e dopo 4 ore la può benissimo utilizzare nell'impasto per la pizza in teglia, classica o pala. La madre liquida proprio perchè liquida ha un rapporto 1:1:1 nel rinfresco cioè vuol dire che tutte le volte che lei la rinfresca, utilizza madre liquida/farina/acqua nella stessa quantità. Quando dovrà usarla nell'impasto finale si dovrà ricordare di sottrarre dalla quantità di acqua totale quella già presente nella madre; il risultato di questa sottrazione rappresenta la quantità di acqua da aggiungere alla massa finale per raggiungere la consistenza desiderata in base al prodotto che desidera ottenere. Se poi ha piacere può anche aggiungere il ldb fresco nella quantità di 0,2% sulla farina usata. Certamente un impasto realizzato con la madre lo può gestire anche in frigorifero e poi operare un ulteriore fermentazione di 3 ore a ta (20°C) prima dell'utilizzo. Spero di essere riuscita a comprendere pienamente i suoi quesiti e di aver risposto esaurientemente. La ringrazio per essersi rivolto a questo servizio. Un saluto cordiale e a disposizione.
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Lievito
Buongiorno, per motivi logistici e di fornitura vorrei sostituire il lievito di birra compresso con quello in polvere. Le vorrei chiedere se posso riscontrare particolari differenze a prodotto finito ed eventualmente quali accorgimenti adottare. Grazie a lei per il servizio di consulenza gratuito e cordiali saluti
Buongiorno a lei, mi scusi ma il lievito in polvere è secco o istantaneo? NO in linea di massima non ci sono grandissime differenze se non per il fatto che potrebbe avere una lievitazione con tempi più lunghi e una debolezza maggiore della massa. Si ricordi solo di ridurre di 1/3 la quantità utilizzata rispetto al lievito fresco compresso. Spero di esserle stata di aiuto. Un saluto cordiale e grazie di essersi rivolto al nostro servizio.
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Utilizzo lievito madre solido
Buongiorno dott.ssa Lauri, volevo chiederle se ha senso aggiungere a un impasto per pizza in pala con biga o con metodo diretto una percentuale di lievito madre di 24 h per dare aroma e acidità. Se SI, in quale percentuale? Grazie mille
Buongiorno a lei, in linea di massima se decide di operare con la metodica indiretta biga non deve si aggiunge all'impasto anche la madre. Se posso permettermi eventualmente (dalla sua email non è riportato il quantitativo di biga che utilizza!) aumenterei la quantità di biga per incrementare le note aromatiche, arrivando anche a lavorare con tutta biga sempre se la biga sia in ottimo stato e assolutamente non "passata". Se invece decide di lavorare con la madre, può procedere sia con quella solida conservata in sacco oppure nella forma liquida che appare molto più gestibile e "facile" (anche se l'apparenza inganna!) rispetto a quella solida. Nella sua email non riporta nessuna informazione sulla madre. Nella speranza di esserle stata di aiuto e ringraziandola per essersi rivolto al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
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Latte fresco e latte in polvere
Buongiorno, in un suo precedente intervento ho letto di una sostanziale "indifferenza" tra latte fresco e latte in polvere negli impasti lievitati. Ciò nonostante alcune fonti del settore indicano una variazione nella tipologia di proteine apportare oltre che in termini di contributo alla morbidezza e alla sofficità del risultato finale: il latte in polvere da questo punto di vista parrebbe essere più idoneo. Può confermare o smentire questa "tesi", in base alle sue conoscenze, facendo eventuali riferimenti al contributo del latte in termini di shelf life ? Ringraziandola anticipatamente per l'attenzione concessami, porgo cordiali saluti.
Buongiorno a lei, la tipologia di proteine non varia assolutamente in base al trattamento; varia il loro stato biochimico in quanto, con le tecniche di produzione del latte in polvere, soprattutto per le temperature che si raggiungono (indicativamente intorno ai 140 - 150°C), la maggior parte della proteine si denaturano, perdono la loro struttura primaria e la componente zuccherina caramellizza (colore un pochino più scuro) ecc. Queste modifiche fisiche fanno variare anche le note aromatiche che assumono quelle tipiche del "latte cotto". Modificando principalmente la struttura proteica, con il trattamento termico, si modifica il comportamento biochimico successivo, ma tutto è in funzione della quantità di latte in polvere aggiunto e soprattutto se il confronto lo facciamo tra il polvere/UHT (trattamento termico a temperatura similare) oppure tra polvere/fresco pasteurizzato, oppure tra polvere/crudo - bollito. E' una questione di quantità, aromi e di eventuale maggior quantità di acqua rispetto a quella prevista dalla ricetta se uso la "polvere" oltre chiaramente a modifiche sulla struttura. Il fresco pasteurizzato è il migliore dal mio personale punto di vista. Spero di aver chiarito ogni dubbio, sorto sicuramente per mia poca chiarezza. Grazie a lei per essersi rivolto al nostro servizio. Cordialità
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Forza farina
Buongiorno dottoressa, usando una farina di media forza, si ha una alveolatura inferiore rispetto a una farina di forza?(sempre che abbiano stessi valori di p/l)...poi facendo una "puntata" in un contenitore alto e stretto, invece di uno basso e largo, sul prodotto finito, si ha una scioglievolezza differente? Grazie in anticipo per la sua enorme disponibilità.
Buongiorno a lei, la forza della farina agisce indirettamente sulla struttura dell'alveolatura in quanto sarà la percentuale di lievito, la metodica utilizzata, la quantità di acqua aggiunta, la temperatura e il tempo dei riposi in massa (soprattutto prima puntata) ad agire sulla struttura alveolare. Chiaramente una farina di forza maggiore le permetterà di optare, in teoria, per riposi più lunghi ma questo, qualche volta, può creare dei problemi su certi prodotti. La forma del contenitore è importante soprattutto se l'impasto è destinato a diventare pane sia per la spinta sia per la forza che acquista la massa in funzione soprattutto della temperatura che è possibile raggiungere e mantenere rispetto allo stesso impasto introdotto all'interno di un contenitore largo e basso. La maggior parte delle volte, se gli impasti sono tendenzialmente "freddi" e stoccati in contenitori bassi e larghi (magari sovradimensionati rispetto al peso della massa), richiedono un giro di pieghe dopo 30 - 40 minuti; pieghe che possono essere ripetute dopo 30 minuti in base alle necessità. In ogni caso è quasi sempre consigliabile un contenitore alto anche se, come le dicevo, dipende tutto dal tipo di prodotto e dalla forza che desidera impartire. La "scioglievolezza" dipende da tantissimi fattori e non propriamente dalla forma del contenitore. Nella speranza di esserle stata di aiuto, le invio i miei più cordiali saluti.
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Lievitazione senza lievito
Buon giorno dottoressa lauri e grazie per le sue mille risposte alle mie domande. Volevo chiederle può una pizza lievitare "senza lievito"? Se SI, c'è una tecnica particolare? Quali possono essere gli svantaggi/vantaggi? Grazie con immensa stima.
Buongiorno a lei. Risposta secca... NO! Mi spiego meglio; anche se il lievito non viene materialmente pesato o introdotto come ingrediente è comunque sempre presente come contaminante ambientale e nelle materie prime utilizzate (farina, pasta di riporto, madre ecc.). E' un microrganismo ubiquitario cioè presente ovunque sia nella sua forma vegetativa sia sottoforma di spora (è uno sporigeno!) Se poi prendiamo come riferimento i vegetali e/o la frutta (uva, mela, ecc.) il blastomicete è presente nella buccia addiritura in concentrazione UFC/g tale da far partire la prima fase della fermentazione alcoolica in vinificazione. NON esiste il SENZA LIEVITO in arte bianca a livello artigianale sia che ci si riferisca al pane sia alla pizza, ecc... tutto e dico tutto è contaminato proprio perchè non si lavora in camere "bianche". Pertanto le diciture PANE/PIZZA A FERMENTAZIONI SPONTANEE SENZA LIEVITO, PANE/PIZZA SENZA LIEVITO, ...SENZA LIEVITO AGGIUNTO tanto di moda da 5 anni a questa parte sono pesantemente sanzionabili in quanto fanno incorre l'OSA (Operatore del Settore Alimentare) titolare in violazioni non solo amministrative. Già alcuni anni fa (dal 2016 che lo scrivo ovunque sia nei gruppi social sia sulla pagina della nostra testata giornalistica!) risposi a un quesito simile e già allora https://www.quotidiemagazine.it/sos/pane-senza-lievito-la-dicitura-e-corretta ribadivo questo concetto. In ogni caso, tali claim fanno incorrere in violazioni sia amministrative dell'art.3, 4, art.7 comma b, art.36 comma 2 par a – b – c Reg. Ue 1169/11, Art.2 comma b , art. 3 comma1 sottocomma a e b, art.6 DL 145/07, Art. 20 comma 2, art. 21 DL 206/05 Codice Consumo, sia penali art. 640 (Truffa) e 515 C.P. (Frode nell’esercizio del commercio). Inoltre il "lievito" è normato dai seguenti articoli art.14 Legge 580/67 e art. 8 DPR 502/98. Ribadisco che NON esiste nessuna tecnica a livello artigianale che permetta di usare questi claim soprattutto la Wild Yeast Water. Grazie a lei e buona giornata.
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Pizza in verticale
Buon giorno dottoressa e complimenti per il servizio svolto. Volevo chiederle perché si mette una fetta di pizza in verticale ,quando si fa un assaggio ai concorsi per pizzaioli, cosa serve a capire? grazie buona giornata
Buongiorno a lei, generalmente nei concorsi nazionali o internazionali con la parola "assaggio" non si intende che il giudice deve mangiare l'intera fetta ma operare una valutazione sensoriale cercando di comprendere nella porzione di fetta che porta alla bocca, nonchè boccone, tutti gli ingredienti del topping e valutare gli aromi che tali ingredienti sviluppano nella cavità orale. Qualcuno mette in verticale la fetta per vedere la tenuta del "fondo" e quindi la cottura. Ci sono moltissimi altri modi per valutare la cottura del fondo meno coreografici ma altrettanto efficaci. Cosa fondamentale che un giudice NON deve mai fare è toccare con le mani la porzione di pizza che viene portata ai giudici per la valutazione e soprattutto mangiare l'intera fetta. La valutazione non è un abbuffata ma la capacità di valutare e comprendere all'istante, senza fare le classiche domande, (che farina usi, quanto lievito ci hai messo?) il prodotto dai suoi parametri sensoriali. La valutazione deve essere oggettiva e obbiettiva e non deve essere soggetta a gusti personali o scelte/abitudini alimentari altrettanto personali. Mi spiego meglio, se un giudice è vegetariano e/o vegano non deve scartare determinati ingredienti dal topping perchè il prodotto analizzato perderebbe la sua caratteristica e il concorrente sarebbe penalizzato per una azione scorretta e non obbiettiva. Semplicemente il giudice si alza e chiede il cambio nel momento in cui viene presentato il concorrente e la sua pizza oppure dichiara all'inizio agli organizzatori queste scelte alimentari personali. A questo punto gli organizzatori, valutati tutti i topping dichiarati dai concorrenti, decideranno se farlo operare ai tavoli nel rispetto sia delle sua scelte sia dei concorrenti. Spero di esserle stata di aiuto. Buona giornata a lei
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Licoli e Madre
Buongiorno Dottoressa, innanzitutto grazie per la sua cortesia e disponibilità nel rispondere a quesiti tecnici in maniera chiara e circostanziata.Ciò detto le vorrei chiedere le differenze principali tra licoli e lievito madre e, in particolar modo, se per quel che riguarda i rinfreschi può confermarmi che le due tipologie di lievito si comportano in maniera quasi diametralmente opposta: per un periodo di conservazione prolungato (5/6 giorni) occorre aumentare la dose di farina nel caso di lievito naturale mentre nel caso di licoli (lievito in coltura liquida) occorre effettuare l'esatto contrario, in modo da rallentarne il metabolismo. La ringrazio anticipatamente e le porgo cordiali saluti.
Buongiorno a lei mi scusi ma non riesco a comprendere se con la parola "Lievito madre" intenda la gestione solida nel sacco; in base alla gestione di mantenimento ci sono delle differenze. Suppongo, la prego di correggermi se ho fatto supposizioni sbagliate, che voglia conoscere la differenza tra gestione e mantenimento di una madre liquida (li.co.li. è un termine non professionale inventato sui gruppi social) e quella solida nel sacco. L'argomento è immenso per cui è un pochino difficoltoso rispondere in poche righe., ma una cosa vorrei specificare subito ... NON si comportano in maniera diametralmente opposta e non deve variare i rapporti di allungo solo basandosi sul fatto che sia solido o liquido! La necessità variare i rapporti dipende in primis dalla "forza" della madre e in secundis dalla frequenza dei rinfreschi. Se ha la necessità di non operare i rinfreschi giornalieri ma ogni due/tre giorni basta che vari i rapporti madre/farina; 1:1 per un rinfresco di mantenimento giornaliero sia che sia solido sia che sia liquido, 1:2 per rinfreschi a giorni alterni. Personalmente non lascerei senza rinfresco una madre per 5/6 giorni, si potrebbe indebolire troppo soprattutto se liquida e potrebbe poi incontrare qualche difficoltà quando decidere di fare le cose "seriamente" cioè quando le servirà immediatamente per la produzione. Questi però sono rapporti per lieviti che "lavorano" cioè per lieviti che sono usati quasi tutti i giorni e non sono abbandonati in frigorifero o altro. Non solo ma le dirò di più, nel caso di madri in grandi masse, costantemente rinfrescate per produzioni giornaliere di grandi lievitati si può ridurre da tre a due la sequenza dei rinfreschi nel ciclo prima dell'utilizzo e variare anche il rapporto madre:farina portando a 1:1,2 ecc. E' difficilissimo consigliare un rapporto senza vedere lo stato della madre. Per rallentare il metabolismo può solo lavorare abbassando la temperatura ma questo può comportare una variazione del lattico/acetico che può comunque essere anche un vantaggio. Allungando il rapporto, senza agire sulla riduzione della temperatura, allunga solo la lag fase inziale della coltura ma poi quando entra nella fase esponenziale di crescita si comporta esattamente come quella con rapporto 1:1. Spero di essere riuscita a comprendere pienamente i suoi quesiti e di aver risposto esaurientemente alle sue domande. In caso contrario sono a disposizione. Grazie per essersi rivolto a questo servizio. Un saluto cordiale.
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Biga: Alcune curiosità
Salve Dott.ssa Lauri, Mi chiedevo se lei potesse approfondire il perché delle 18 ore a 18° della “biga Giorilli”.
Nei diversi libri che ho letto dello stesso Giorilli, si evidenzia che grazie a questa combinazione tempo e temperatura si raggiunge un determinato livello di TTA ed un rapporto tra produzione di acido lattico ed acetico di 3 a 1 (il che mi lascia anche un po' perplesso perché da quello che ho letto sempre negli stessi libri di Giorilli, nei pre-impasti solidi con bassa idratazione e bassa temperatura si dovrebbe avere maggiore produzione di acido acetico, ma questa è un altro dubbio che mi terrò).Quindi, in sintesi, mi chiedo il perché delle 18 ore a 18° gradi e se questa combinazione sia motivata per arrivare ai risultati di produzione di acidi organici sopra scritti, o ci sia qualche altra ragione tecnico-scientifica. La ringrazio per il supporto e spero in una sua delucidazione (anche qualsiasi rimando ad ulteriori articoli scientifici è gradito).
Buongiorno a lei, mi scusi se mi permetto ma non ci sono inventori e/o padri viventi di questa tecnica indiretta di lavorazione. In ogni caso per qualsiasi quesito su questa lavorazione o altro, dubbi, perplessità su ciò che ha letto su libri non scritti da me, cortesemente si rivolga direttamente all'autore che sarà ben felice di rispondere ai suoi quesiti tecnici e linkare tutti i riferimenti scientifici del caso. Mi scuso immensamente, ma sono dell'opinione che chi ha un quesito o perplessità su ciò che legge sui testi, quando possibile, si deve rivolgere direttamente all'autore. Cosi facendo ha le risposte immediate e chiare direttamente dalla fonte. Grazie a lei per essersi rivolto al nostro servizio e buona giornata.
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Inserimento LM e burro
Buon giorno,
mi rendo conto che sono stato veramente poco chiaro nel formulare le mie precedenti domande, mea culpa. Volevo chiederle, in riferimento ad impasti tradizionali (pane e pizza), quando consiglia l'inserimento:
1) del lievito madre
2) del burro in piccole percentuali (max 5%)
Grazie
Buongiorno a lei, prima la farina poi la madre, il burro morbido ecc. lasciando sempre una piccola quantità di liquido e il sale che saranno aggiungi a metà impastamento. Se la quantità di liquidi da aggiungere supera il 60% le consiglio di operare la seconda aggiunta solo a "filo". Grazie a lei per essersi rivolto al nostro servizio e buona giornata.
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Inserimento LM e burro
Buon giorno e grazie per la sua disponibilità.
Avevo due questiti da farle relativi al momento corretto di inserimento (in un impasto generico tipo pizza o pane) del lievito madre e a quello del burro in piccole percentuali (max. 5% sulla farina).
Cordiali saluti e ancora grazie
Buongiorno a lei, Certamente a disposizione invii pure i suoi quesiti. Un saluto cordiale
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Lievitazione in acqua
Gent.ma dott.ssa Lauri le faccio innanzitutto i complimenti per il suo lavoro, impegno e chiarezza e competenza nelle risposte che danno sempre valore a tutto nel rispetto di ognuno. Per dovere nei confronti della mia curiosità ripropongo una domanda cercando di spiegarmi meglio. Ogni tanto provo a fare il water proofing bread che io chiamo pane con lievitazione in acqua come mi é stato raccontato da un pizzaiolo che ho conosciuto che faceva con questa tecnica panini morbidi tipo pan brioches. In rete c'è molto poco al riguardo. Io sto provando ad utilizzare questa tecnica per preparare il pane e non avendo molte informazioni al riguardo seguo 2 strade. La prima con mono lievitazione e la seconda con prima lievitazione in acqua ed appretto diciamo classico. Quindi dopo aver Impastato ed esser arrivato al momento di metter a lievitare chiudo l'impasto in canovaccio incaricato come fosse un pacchetto e chiuso con spago e immergo in ciotola con acqua a 24/26 gradi al momento dell'immersione. A questo punto posso o aspettare che galleggi completamente ed allora accendo il forno e quando raggiunge la temperatura rovescio l' impasto direttamente su pietra o teglia rovente. Ottenendo un pane che non riesco a formare chiaramente ma con crosta liscia, sottile e croccante e mollica ben cotta. Cottura a scalare partendo da 230 senza vapore. Oppure quando l'impasto inizia a galleggiare scolo il panetto chiuso dall'acqua per quanto possibile, rovescio su piano infarinato do pre forma, forma e faccio lievitare. Ottengo un pane al quale non riesco a dare tagli perché molto morbido ed idratato e con crosta più doppia e croccante. Ora le mie curiosità son queste: dal punto di vista organolettico ma non so se é il termine giusto ...diciamo chimicamente non so se corretto come procedimento per ottenere un pane con caratteristiche diciamo corrette e vorrei anche sapere se al riguardo come procedimenti c'è ancora da approfondire e così migliorare per poter fare un pane amatoriale diverso.
Buongiorno a lei, ha detto bene a livello "amatoriale" perchè tale procedura non si adotta su larga scala per ogni pagnotta a livello artigianale; sarebbe impensabile immergere ogni singolo pane in acqua, estrarlo, formarlo, gestire i secchi, gli strofinacci con l'attuale normativa HACCP, sanificazione ecc. ecc. Per carità tutto è possibile ed è meraviglioso sapere che ci sono tecniche nuove, ma queste non devono andare a complicare la già non facile, sotto alcuni di vista, produzione artigianale. In bibliografia di questa tecnica c'è poco e personalmente non la adotto per cui, non la conosco. Ho cercato di informarmi anche se mi ricorda abbastanza, (seppur con tutte le variabili del caso perchè non arriva, in questo caso, a cuocere direttamente in acqua) una fase della produzione dei "taralli" per impartire friabilità al prodotto finito in conseguenza della gelificazione dell'amido. Mi scuso per la scarsa conoscenza in materia e ringraziandola per la preferenza accordatami, le invio i miei più cordiali saluti.
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Stabilità
Buongiorno dottoressa, il dato della stabilità della farina equivale a i minuti di impastamento da quando inserisco la prima acqua? A che velocità corrisponde? mi spiego meglio, usando una farina con 10" di stabilità, posso impastare 10 minuti senza differenza tra prima o seconda velocità, l'importante che rimango nei 10 minuti? se supero questo tempo in che problemi potrei avere? grazie in anticipo per il servizio gratuito
Buongiorno a lei, quando in una sceda tecnica legge la parola "stabilità" si riferisce ad una stabilità reologica. E' un parametro che si esprime in minuti e si legge direttamente sul farinogramma; è l'intervallo di tempo che intercorre tra quando la curva farinografica interseca per la prima volta la linea delle 500UB e quando interseca nuovamente per la seconda volta la stessa linea. Curva disegnata da un pennino su un foglio avente sull'asse delle ascisse il tempo e sull'asse delle ordinate la resistenza espressa in UB o UF. Tale valutazione si opera in condizioni operative stabilite dall'analisi strumentale compresa la quantità esatta di acqua descritta nelle condizioni operative. Indica quindi i minuti estrapolati come differenza di due valori letti sull'asse delle ascisse. Sono minuti valutati con quello strumento in quelle condizioni operative ma non rappresentano i minuti reali riferiti ad un generico impasto usando una generica impastatrice con l'utilizzo di prima e seconda velocità. E' un risultato strumentale che deve essere inteso solo come riferimento indicativo riguardo la capacità di quella specifica farina di sopportare tempi lunghi di fermentazione e stress meccanici. Sarebbe impossibile prenderlo come riferimento "assoluto" di tempo inteso come valore universale in qualsiasi condizione, con qualsiasi impastatrice e con qualsiasi velocità. Spero di essere stata abbastanza chiara e ringraziandola per essersi rivolto al nostro servizio di consulenza online le auguro una serena giornata.
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Lievito di birra e glutine 2
Gentile dott.ssa Lauri, la risposta che mi ha dato è super, grazie! In poche righe mi ha chiarito un dubbio che da tempo non trovava risposta. Ora però mi ha incuriosito: se il ldb riduce l'estensibilità e aumenta la tenacità, ma non lo fa modificando i legami intra e intercatena, allora come lo fa? Attraverso quali meccanismi? Forse può consigliarmi un libro che affronta questi argomenti in maniera approfondita? Nel suo libro non trovo queste risposte, ma non è una critica. Grazie di cuore
Buongiorno a lei, l ldb interagisce sulla reologia attraverso i metaboliti che produce durante i metabolismi. Per esempio il glicerolo ha un effetto "diluente, ammorbidente" sull'impasto simile all'acqua, mentre l'etanolo, l'acido succinico determinano una diminuzione dell'estensibilità dell'impasto, così come il glutatione riduce la resistenza all'estensione, ecc. La variazione della reologia dell'impasto è funzione non solo della quantità di lievito impiegata, del tempo di fermentazione ma soprattutto della tipologia di sfarinato la cui origine modifica i substrati fermentescibili e quindi la quantità e qualità dei metaboliti prodotti. La ringrazio per i complimenti e spero, con queste poche righe, di essere stata in grado di rispondere al suo quesito. Un saluto cordiale
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Sete di notte
Buon giorno dottoressa ,la ringrazio per tutte le risposte alle mie domande .volevo chiederle quale potrebbe essere la causa della sete notturna ,dopo aver mangiato la pizza .Potrebbe essere dovuto ad una farina troppo forte di W, magari impastata da mezzogiorno e poi mangiata alle 20 di sera senza la dovuta maturazione di almeno 24 ore? Grazie a lei e buona giornata. Con immensa stima
Buongiorno a lei, le cause possono essere molteplici senza escludere il fatto che in primis il quantitativo di sale in un impasto per la pizza è decisamente troppo alto - mediamente il 3,0% sulla farina aggiunta - se paragonato alla sapidità del pane (1,8 - 2,0% sempre sulla farina) per il quale moltissimi panificatori utilizzano addirittura il sale marino integrale. A questa eccessiva sapidità dell'impasto aggiunga quella relativa al topping come conseguenza dell'utilizzo magari di "stagionati" (formaggi e salumi) in quantità e modalità non opportuna compreso l'abbinamento esagerato con troppi ingredienti del topping, messi a crudo e non dopo cottura. Non è finita! Come ha giustamente fatto notare lei, se l'impasto non subisce il giusto periodo di stoccaggio o maturazione, che a sua volta dipende da una errata scelta delle proprietà reologiche dello sfarinato, oppure una cottura frettolosa a temperature troppo alte, può risultare "indigesto" con problematiche che si possono ripercuotere non solo per la notte ma per tutto il giorno successivo. Se ho la necessità di impastare alla mattina per servire un prodotto alla sera, quindi con una maturazione brevissima, in linea di massima opterò per l'utilizzo di una 220W 0.40<P/L<0.60 senza modificare la tipologia di lievito utilizzata che deve essere lievito fresco 0,2 - 0,3% sempre sulla farina. Spero di aver risposto esaurientemente al suo quesito. Buona giornata e a disposizione.
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Lievito di birra e glutine
Gentile dottoressa Lauri, le sottopongo una domanda scaturita dalla pratica di laboratorio. Il lievito di birra fresco compresso rinforza la maglia glutinica? Due esperienze mi porterebbero a rispondere affermativamente. La prima, autolisi: la consistenza di un impasto autolitico, es. riposato 1 ora, è molto plastica e rilassata, mentre la consistenza di un impasto con ldb, pur senza sale, sempre riposato 1 ora, è molto meno plastica e più tenace; ovviamente a parità di tutti gli altri parametri (stessa farina, stessi tempi di impasto, temperature ecc.). La seconda: sostituendo il lievito di birra secco istantaneo con il fresco noto una maggiore tenacità, un glutine più corto. Più in generale, oltre agli effetti dovuti all'attività fermentativa, il lievito come influisce sulla struttura dell'impasto e con quali tempistiche? Grazie e complimenti per questa rubrica.
Buongiorno a lei, rispondo immediatamente al suo primo quesito: Se intende con la parola "rinforzo" della maglia glutinica, l'aumento dei legami intra e intercatena in particolare i ponti disolfuro, ecc. le rispondo di NO (potrebbe manifestarsi il caso contrario in condizioni particolari per la liberazione di glutatione dalle cellule lisate/morte), se invece intende una modifica delle proprietà reologiche, le rispondo di SI. Il lievito contribuisce a modificare la reologia dell'impasto riducendo l'estensibilità e aumentando la resistenza elastica (tenacità). L'estensogramma di un impasto contenete lievito mostra un grafico più corto e leggermente più alto rispetto allo stesso impasto, nelle medesime condizioni ma senza lievito. Chiaramente gli effetti sono immediati se utilizza il lievito fresco, mentre se utilizza il secco, deve dare tempo alle cellule di uscire dallo stress osmotico e dalla lag fase. Una volta "stabilizzate" svolgono lo stesso identico ruolo tecnologico nell'impasto: modifiche delle proprietà reologiche, azione diretta sulla maturazione della massa, produzione di acidi, metaboliti secondari, anidride carbonica, alcool etilico, precursore di aromi ecc. Nella speranza di aver risposto esaurientemente al suo quesito e ringraziandola a nome mio e della redazione per i complimenti, le invio i miei più cordiali saluti.
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Impasti sbollati
Buonasera dssa Lauri. Volevo togliermi una curiosità riguardo una diatriba che si è accesa ultimamente nei gruppi facebook riguardo a come deve presentarsi la massa di un impasto ad alta idratazione dopo la maturazione in frigo. Spesso si vedono, e anche a me succede, masse con in superficie tantissime bolle di aria e sono sempre state apprezzate come sintomo di un ottima fermentazione. Ultimamente leggo che questi impasti in realtà vanno buttati. Perché sono sintomo di una maglia glutinica andata, non più in grado di trattenere in gas della fermentazione e che quindi non saranno mai un ottimo risultato. Qual è la verità? Grazie mille e complimenti a tutti per l'estrema professionalità e competenza del servizio.
Buongiorno a lei, mi scusi ma affermare, a prescindere, che gli impasti vadano "buttati" mi sembra un pochino una forzatura; può darsi che qualcuno vada buttato ma da qui a dire, senza ombra di dubbio, che più bolle ci sono più la maglia glutinica è "andata" ne possiamo discutere da un punto di vista scientifico. La formazione di bolle in impasti ad elevata idratazione è normalissima e la quantità dipende sia dal processo fermentativo, dalla solubilità dei gas a specifici valori di temperatura, dalla coalescenza in base alla presenza di altri ingredienti come i lipidi, dal quantitativo di sale, dalla temperatura, dall'idratazione totale della massa e soprattutto dall'elasticità/estensibilità della massa. Facciamo un piccolissimo passo indietro per capire bene. Le proteine insolubili, cioè quelle direttamente responsabili della rete glutinica contengono legami covalenti e non covalenti che contribuiscono alla formazione e alla struttura dell'impasto. I legami non covalenti includono legami idrogeno, interazioni idrofobiche, legami ionici, legami ditirosina, interazioni di Van der Waals e legami che le stesse strutture proteiche possono creare con altre molecole di natura differente (carboidrati, carboidrati non amido, lipidi ecc.). Sebbene i legami idrogeno siano individualmente deboli, contribuiscono alla stabilità dell'impasto quando sono presenti in gran numero. I legami idrofobici e ionici, sebbene presenti in quantità molto piccole, svolgono un ruolo significativo nelle interazioni tra i biopolimeri all'interno dell'impasto e di conseguenza promuovono la stabilità dell'impasto. D'altra parte, esistono legami covalenti (cioè legami peptidici e legami disolfuro) tra gli amminoacidi che normalmente rimangono invariati durante la panificazione. Sebbene la cisteina rappresenti solo il 2% delle proteine del glutine, può influenzare in modo significativo la struttura e la funzionalità del glutine. I legami disolfuro tra le proteine della farina formano forti legami incrociati all'interno e tra le catene polipeptidiche, che stabilizza altri legami energetici come l'idrogeno e le interazioni idrofobiche. Inoltre, le gliadine possono anche interagire con i polimeri della glutenina tramite interazioni idrofobiche non covalenti e i residui di glutammina tramite legami idrogeno. L'interscambio del legame disolfuro avviene durante la miscelazione dell'impasto, possibilmente tramite rottura e riformazione dei legami stessi. Rompere e riformare i legami disolfuro porta alla formazione di una rete allineata lungo la direzione dell'estensione partendo da una struttura disordinata, casuale quando le proteine non sono idratate. Partendo dal secco cioè dalla farina tal quale e aggiungendo acqua la struttura proteica si modifica, acquista mobilità e "forma"; il meccanismo/modello che spiega il comportamento delle proteine in funzione dell'idratazione prende il nome di "loop and train". A bassa idratazione si formeranno legami idrogeno intercatena tra le glutammine secondo il modello "train" . Man mano che si eleva l'idratazione si aumenta la plasticizzazione del sistema e i legami idrogeno tra le molecole di acqua più vicine ai gruppi polari delle proteine; si formano i primi "loop" . Aumentando ancora l'idratazione, si aumentano i legami idrogeno tra le molecole di acqua e tra l'acqua e le glutenine con il conseguente aumento di grossi ed abbondanti "loop" cioè regioni/zone in cui si interrompono i legami idrogeno intercatena pur mantenedoli in altre zone/punti. Queste regioni sono mobili facendo pensare alla quasi separazione tra le catene cioè alla rottura di tutti i legami idrogeno tra le glutenine; in realtà questo non accade anzi in presenza di molta acqua si formano/rompono i legami idrogeno, ponti disolfuro ecc. tra tutte le strutture implicate ed aumenta sempre di più la plasticizzazione. E' normale che in tale acqua ci siano disciolti dei gas che addizionati a quelli prodotti dal processo metabolico formino le classiche bolle; più acqua c'è più aumenteranno le dimensioni delle bolle intese come fenomeno di coalescenza tra bolle più piccole, a temperatura di frigorifero. Tenga presenta che la solubilità dei gas diminuisce all'aumentare della temperatura e l'anidride carbonica è il gas che presenta una solubilità maggiore rispetto all'ossigeno (ammesso che ce ne sia ancora dopo il metabolismo cellulare!) e all'azoto a pari valore di temperatura e pressione. Se la struttura si presenta ancora plastica e compatta non ci sono ragioni tecniche per non usarla. Spero di non averle confuso le idee. Un saluto cordiale e grazie e lei per essersi rivolto al nostro servizio.
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Pizza in pala
Buongiorno Sig.ra Lauri , faccio delle pizze in pala monoporzione lavorando tutto a temperatura ambiente a circa 20°C. 8 kg di biga con farina 380 w e chiudo con 2 kg di farina 210 w aggiungendo il 2% di lievito e fruttosio. Ha senso il fruttosio pensando di reintegrare gli zuccheri velocemente? La massa a fine impastamento riposa un ora e mezza, staglio e cuocio dopo circa 1 ora. Dopo la precottura abbatto le basi. Avrei bisogno per esigenze tecniche di fare riposare la massa sempre un ora e mezza ma avere a disposizione circa 4 ore per la stesura ma riducendo il lievito sono i riposi in massa che si allungano e non quelli di appretto. L' impasto lo chiudo a 24°C e aggiungo 80% di acqua. Poi ho letto che in caso di abbattimento delle basi consiglia la utilizzo del lievito secco. Perché? Grazie mille
Buongiorno a lei, mi scusi ma, se ho capito bene, lei vorrebbe allungare l'appretto dopo 1,5 ora di riposo in massa a 4 ore. Non vorrei per email prendere i classici abbagli ma, con quella percentuale di biga, abbasserei il lievito fresco a 1% e alzerei a 25°C la temperatura della massa a fine impastamento. Se mantiene costante 1,5 ore di riposo in massa, a pari condizioni operative, si allungano i tempi si appretto. Chiaramente l'impasto alla fine della prima puntata è differente come fermentazione (più rallentata) per cui non deve aspettare che raggiunga la fermentazione abituale ma lo deve lavorare cosi com'è. Il fruttosio non ha molto senso in questo caso soprattutto in presenza di S. cerevisiae sia nella biga sia come aggiunta. Al posto del fruttosio, utilizzi il malto per l'incremento di colore e per l'apporto diretto enzimatico di amilasi che andranno ad agire sui granuli di amido rotti dal processo della macinazione liberando zuccheri fermentescibili per la microflora presente. Consiglio l'utilizzo del lievito nel secco non nel caso della precottura e abbattimento, ma nel caso di basi crude che sono abbattute e mantenute a -18°C prima della cottura per rallentare il processo prima dell'abbattimento e permettere, dopo scongelamento, una fermentazione finale non troppo spinta senza danni eccessivi alla cellula di lievito (liberazione di glutatione) prima della cottura. Spero di non aver interpretato male il suo quesito e nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti
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La durata del pane
Buon giorno, a volte faccio il pane con farine, con una percentuale maggiore di nero di castelvetrano o perciasacchi, la durata e buona anche settimana, a volte utilizzo, semola r, e grano tenero 00 e la durata e minore due giorni, e sembra vecchio. Questo fatto è dovuto alla farina, o ad altri tantissimi fattori, dalla poca esperienza ecc. Il pane ha tantissime componenti per renderlo buono. Grazie a lei come sempre
Buongiorno a lei, sono mortificata ma rispondere a questo quesito è una impresa ardua soprattutto perchè la shelf life (letteralmente vita di scaffale o durata commerciale) è estremamente variabile e dipende da innumerevoli fattori: metodo di lavoro usato diretto/ indiretto con biga poolish madre, ingredienti, sale e lipidi, miglioratori o semilavorati usati, pezzatura, aw, condizioni ambientali di temperatura/UR, temperatura di cottura, apertura dei tiraggi ecc. Non riesco ad aiutarla basandomi solo sulla varietà di frumento usato che di per se potrebbe anche non essere direttamente implicata nella durata commerciale. Potrebbe essere un pochino più preciso/a? Nel ringraziarla per essersi rivolto/a a questo servizio le auguro una buona giornata.
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Pizza con miglioratore
Buongiorno dottoressa, il prodotto in questione è la pizza tipo napoletana con cornicione. Ora ho aggiunto un miglioratore enzimatico con questa dicitura ( farina 0, farina di malto di frumento, alfa amilasi, acido ascorbico).
L’impasto che eseguo è il seguente: farina 00 (w260/270- pro 12.5- falling Numbers 340/360- p/L 0,50/0,60-)
Acqua ghiacciata 72%, lievito db 0.2%, sale 2%, miglioratore 1%, filo olio evo.
Impasto con acqua ghiacciata per far sì che si incordi bene e non si surriscaldi ottenendo un impasto liscissimo. Chiudo l’impasto sui 23°C poi prendo la massa unta di olio evo e metto nel mastello a 2-3gradi in cella per 24ore. Successivamente faccio le pezzature, impallino ben stretto e lascio a t.a per 8ore, rimetto in cella a 4gradi per 10 ore, poi tolgo dalla cella e dopo 2 ore inforno a 400 gradi in forno elettrico con platea fatta con il biscotto di sorretto. Ora diciamo che da quando ho aggiunto il miglioratore in questione ho avuto volumi ottimi e colore ottimo ma ho problemi nella stesura perché troppo rigida la maglia e anche in cottura sono sicuro non sviluppi a dovere. Può essere che debba diminuire il lievito al 0,1% perchè in massa lieviti troppo e quindi impallinando dopo 24 ore sia troppo rigido il panetto? Ho pensato di aumentare l’idro ma a 400 temo possa rimanere cruda. Saprebbe darmi un consiglio? Grazie a lei per il servizio
Buongiorno a lei, leggendo e rileggendo la sua email, i consigli che personalmente mi sento di darle sono: riduca il freddo, faccia lievitare la pasta e soprattutto eviti il freddo/caldo/freddo/caldo. Mi spiego meglio, senza modificare in ogni caso la sua procedura di impastamento e la ricetta, apporterei alcune modifiche di lavorazione: dopo l'impastamento, lasci riposare la pasta in massa minimo 2 ore a temperatura di circa 20°C. Introduca la massa in frigorifero per 24 - 26 ore. Successivamente staglio, formatura, fermentazione panetti a t.a. (20°C) per 3 -4 ore nelle cassette, stesura e infornamento. Con una farina 260 - 270W non andrei oltre le 48 ore, almeno sulla carta. Spero di esserle stata di aiuto e cortesemente mi faccia sapere. Nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
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Autolisi: per quanto tempo
Salve Dott.ssa. Quando si parla su l’autolisi dicono che il tempo per l’autosili può essere da 30 min fino a 24 ore. Vorrei sapere come si può sapere quando si è arrivato al punto giusto dall’autosili. C’è qualche forma prattica di saperene? Cordiali Saluti
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Calcoli percentuale di acqua
Buongiorno Dott.ssa mi scusi se mi rivolgo a lei ma sto impazzendo. Sui gruppi social si legge di tutto e tutto il contrario di tutto. I membri discutono sempre, si contraddicono e non si arriva quasi mai alla conclusione ma sempre ai litigi. Morale io che sono un profano non capisco assolutamente nulla. Cortesemente, come si fanno i conti sulla percentuale e sulla quantità di acqua da aggiungere se utilizzo il li.co. li? Facciamo un esempio con i numeri cosi capisco meglio: la ricetta prevede per esempio 1000 g di farina 30% di licoli (1:1:1), 60% di acqua, 2% sale. Grazie a lei per il tempo, la pazienza e la professionalità di offrire un servizio come questo.
Buongiorno a lei, i calcoli sono molto semplici. Non li faccio con la calcolatrice con i decimali perchè non ha alcun senso pratico perchè quel 1,0 oppure 0,1 g di acqua in più o in meno sono una nullità rispetto alla differenza di assorbimento di acqua della farina utilizzata per cui l'errore che si compie e assimilato nella differenza di assorbimento. Mi scuserà quindi se al lato pratico in un panificio dove si impastano diversi quintali e si producono diverse pagnotte non si adotta il metodo "farmacista" con bilancia analitica al secondo (neanche al primo) decimale cioè quello che fa tra le quattro mura domestiche per realizzare una sola pagnotta. Ipotizziamo quindi i 1000 g di farina sui quali sono calibrati tutti gli altri ingredienti cioè 300,0 g di li.co.li. I 300,g di li.co.li,. a loro volta essendo 1:1:1 il rapporto di rinfresco, sono a loro volta costituiti da 100,0 g di li.co.li., 100,0 g di acqua e 100,0 g di farina di cui, a loro volta i 100,0 g di licoli . sono costituiti da circa 33,3, g di acqua, 33,3,0 g di farina, 33,3, g di li.co.li il quale, a sua volta, è costituito da 11,1, g di acqua ecc. per cui a grandi linee possiamo affermare che 300,0 g di li.co.li contengono circa 143,0 g di acqua, 143,0 g di farina. Il 60% di acqua è calcolato sul totale della farina cioè su 1000 g aggiunti più quella presente nel li.co.li. (143,0 g) per cui 1143,0 g. L'acqua da aggiungere sarà il 60% su 1143,0 e quindi circa 690,0 g. 690,0 g rappresentano il quantitativo di acqua che dovrà aggiungere in totale di cui una parte l'ha aggiunta nel li.co.li (143,0 g) e quindi dovrà aggiungere la differenza 690,0 g - 143,0 g = 547,0 g aprox 550,0 g. La percentuale di sale sarà calcolata sempre sul totale della farina 1143,0 g per cui aprox per difetto circa 22,0 g. Spero di non averle confuso ulteriormente le idee e resto a sua disposizione. Nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
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Pasta acida naturale o madre
Buongiorno dottoressa Lauri, le chiedo riguardo alla gestione del lievito madre. L'ho usato secondo le varie metodologie di gestione, anche nell''intenzione di conoscerlo meglio. In forma libera in secchio oppure in acqua dove ho il maggior controllo. Gestito "legato" invece, tendenzialmente, mi perde con l'andare dei giorni profumi di acidità acetica, prevale secondo me un pochino il lattico e anche la parte dei lieviti la vedo un pochino sopirsi, il pH si alza leggermente. E' come se mi si indebolisse leggermente. A quel punto faccio sempre un pò fatica a correggerlo se non passandolo libero in secchio, in quel modo però poi mi viene più facile e naturale continuare quella gestione e non farlo tornare legato. In realtà non avrei nulla in contrario se non che legato lo percepisco un metodo più professionale e comunque se preferito da quasi tutti i grandi mi convinco che lì devo arrivare. A questo punto ho due domande: è corretto passare da una gestione all'altra come metodo di correzione di momentanei squilibri? In una gestione di mantenimento in cui si rinfresca 1 volta al giorno ogni mattina per poi rimettere in conservazione a 16-17°, a che temperatura sarebbe corretto far uscire la madre impastata (generalmente 1:2) visto che poi viene legata manterrà da chiusa per inerzia la temperatura per diverso tempo prima di prendere quella di conservazione (16-17°)? La ringrazio per l'attenzione e per il servizio di assistenza tecnica che offre.
Buongiorno a lei, la preferenza di una gestione della madre rispetto ad un altra non è sinonimo di maggior o minor professionalità ma solo di abitudini e gestione di lavoro differenti e identificative di un artigiano rispetto ad un altro, oltre chiaramente di profili aromatici differenti sul prodotto finito. A livello casalingo, sulla produzione di un solo pezzo alla volta, magari può non essere importante ma sui grandi numeri di una produzione artigianale può fare la differenza. Se gli squilibri sono momentanei si può optare per altre soluzioni; passare da una forma all'altra ripetutamente solo per correggere un parametro come l'acidità acetica/lattica o lo sviluppo di Lab rispetto ai lieviti non è una soluzione, per lo meno, non nell'immediatezza, perchè il passaggio implica un cambiamento di stato sia in termini di DY sia in termini di ox/red, stress osmotico ecc. che destabilizzano, nel breve termine, il microbiota e influiscono sul QF, crescita cellulare, ecc. Nella gestione solida, ma questo vale anche per quella libera in secchio, liquida e solida in acqua in teoria, la temperatura NON si manterrà MAI costante in nessun caso e in nessun punto anzi aumenterà per ovvie ragioni di biochimica cellulare e metabolismo respiratorio, fermentativo (reazioni esotermiche che liberano energia sottoforma di calore) ecc, che fanno alzare la temperatura della massa. La temperatura della massa solida conservata a t.a. nel doppio/triplo strato di cotone e legata non si stabilizza su quella esterna ma avrà sempre un valore superiore soprattutto a cuore. Se la temperatura esterna è minore di quella interna di una massa in attività metabolica, la domanda si può porre in questi termini: in quanto tempo e di quanti gradi si può raffreddare la massa partendo da x valore di temperatura iniziale? La risposta è ...Dipende! Dipende dall'attività cellulare, dal peso e della forma della massa, dal range in/out di temperatura, dalla velocità di penetrazione del freddo (abbattimento) dagli ostacoli fisici presenti (spessore e trama del telo) ecc. In linea teorica, il rialzo termico è più evidente a "cuore". Se la temperatura esterna è inferiore solo di qualche grado a quella della massa, questa contribuisce a raffreddare solo la parte esterna e agisce relativamente sull'attività cellulare dei microrganismi presenti nell'intera massa; se invece è notevolmente minore (range >10°C), la sua implicazione sul rallentamento dell'attività cellulare (lieviti, batteri che siano), compresi quelli presenti nel punto più termicamente sfavorevole, può risultare significativa agendo indirettamente anche sulla liberazione di altra energia sottoforma di calore. In linea di massima quindi per una conservazione 24h a 16 - 17°C, rinfreschi giornalieri 1: 1 per la solida, le consiglio di non superare i 18 - 20°C per un profilo tendenzialmente più "acetico" . A questo punto ci sarebbero da fare anche altre considerazioni sui profili aromatici in base alla temperatura raggiunta; se >25°C oppure >30°C, ma esulano dalla domanda inziale. Spero di essere stata esauriente. Cordialità.
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Sostituire il burro con l'olio nei grandi lievitati
Buongiorno, sono a chiedere: volendo sostituire il burro con l'olio EVO negli impasti dei grandi lievitati, vorrei capire se possibile, in quali quantità ed il metodo d'inserimento dello stesso negli impasti. Grazie per la risposta e per il servizio di consulenza gratuita che offrite.
Buongiorno a lei, certo che è possibile e l'inserimento deve avvenire previa emulsione con i tuorli; deve inoltre ricalibrare la ricetta per incrementare la parte liquida tolta con il burro. Un prodotto cosi realizzato non può assolutamente usufruire della denominazione di vendita Panettone, Colomba, ecc. in virtù del Decreto 2005. Spero di esserle stata di aiuto. Grazie per essersi rivolto al nostro servizio. Un saluto cordiale.
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