Hai un problema tecnico di produzione nel settore dell'arte bianca (pane, pizza, grandi lievitati, prodotti da forno in generale)? Il tuo prodotto ha un difetto? Hai bisogno di consigli? Esponi il tuo problema e Simona Lauri ti risponderà nel più breve tempo possibile.
Utilizzo madre nell'impasto
La ringrazio per la chiarissima ed esaustiva risposta al quesito sulla conservazione della madre. Seguirò certamente le Sue indicazioni, ma ho un dubbio... in quale percentuale sulla farina dell'impasto dovrei utilizzare la madre rinfrescata nel rapporto 1/2? Ancora grazie.
Buongiorno a lei. Il rapporto 1/2 si usa solo nel caso in cui il rinfresco avvenga a giorni alterni o al massimo entro il terzo giorno o nel caso in cui la madre sia troppo forte. Facendo riferimento al suo quesito precedentemente pubblicato, rifacendomi al fatto che aveva esigenze solo di allungare i tempi per il rinfresco e non erano sorte altre problematiche insite nella madre, le rispondo che il rapporto di utilizzo di questa madre "allugata" nell'impasto è lo stesso; non cambia assolutamente nulla e resta invariato. Ha avuto la necessità di allungare i rapporti sono per una questione di tempo durante il mantenimento nei due/tre giorni rispetto al rinfresco quotidiano. Un discorso differente sarebbe stato quello relativo all'utilizzo della stessa entro la giornata. In questo caso la madre sarebbe stata molto più debole perchè ha allungato i rapporti e avrebbe dovuto eventualmente aumentare la dose di utilizzo. Nella speranza di essere stata chiara e ringraziandola per essersi rivolta al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
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Biga di semola rimacinata
Buonasera dottoressa, complimenti per la rubrica.
Volevo chiedere per fare un impasto per pane o pizza, utilizzando solo semola. Come devo comportarmi, considerando che non possiedo una cella ferma biga. E la temperatura del locale si aggira intorno ai 22/23°C. Grazie
Buongiorno a lei. Anche se utilizza la semola di rimacina di grano duro, in base ai parametri reologici, può fare una biga. Alle sue condizioni operative, le consiglio una biga di 12 - 15 ore. Dopo di che può usarla nella percentuale che ritiene più opportuno in base al prodotto che desidera ottenere. Per realizzare i prodotti con la semola, non deve avere necessariamente una cella fermabiga, basta, molte volte, un semplice frigorifero o cella frigor. In ogni modo, come per il grano tenero, il risultato finale è funzione dei parametri di W, P/L, R/E, falling number ecc. dello sfarinato utilizzato. Grazie a lei. Un saluto cordiale
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Conservazione lievito madre liquido
Seguo sempre questo giornale con interesse e recentemente ho letto che ha consigliato di rinfrescare il licoli almeno ogni 2 giorni. Le chiedo se, per evitare esuberi e sprechi nel caso non si utilizzi così frequentemente il lievito, è possibile surgelarlo o conservarlo a una temperatura molto bassa, 1 o 2 gradi ad esempio per tempi più lunghi. È possibile in alternativa rinnovare sempre la stessa quantità (es. 100g) e utilizzare in qualche modo il lievito eccedente, o occorre buttarlo via? Grazie.
Buongiorno a lei. Le consiglio di rinfrescare la madre al massimo ogni due giorni perchè essendo in cultura liquida tutti i metabolismi microbici sono accellerati. Se ha la necessità di rinfrescarlo ogni tre giorni al massimo, al posto di fare madre/farina/acqua nella stessa quantità può raddoppiare il rapporto e aggiungere un quantitativo di farina pari al doppio della madre liquida. A questo quantitativo di farina deve aggiungere la stessa quantità di acqua al massimo a 15°C. In questo caso, durante la valutazione sensoriale si aspetti note acido acetiche marcate rispetto alla gestione delrinfresco quotidiano e conservazione a temperatura ambiente. Utilizzi sempre il lievito liquido quando iniziano i segni di cedimento strutturale al centro nella quantità che ritiene opportuna e conservi una minima dose per il mantenimento. Nel caso in cui decidesse di non utilizzarlo per un periodo prolungato di tempo, aggiunga il doppio della farina in peso rispetto alla madre (madre/farina = 1/2) lo polverizzi e lo lasci asciugare a temperatura ambiente per 24 ore muovendolo ogni tanto. A qual punto, lo metta in un sacchetto di cellophane e lo conservi nel congelatore per massimo due mesi. Quando avesse la necessità di riutilizzarlo, lo estragga dal congelatore, lo metta in frigorifero e dopo 12 ore lo porti a temperatura ambiente. Proceda come di consueto per i rinfreschi mantenendo gli stessi rapporti. In una settimana, anche meno, le cellule sono nuovamente attive. Un saluto cordiale e buona giornata.
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Digeribilità pizza ed indice glicemico
Salve Dott. ssa Lauri,
ho frequentato recentemente un corso per pizzaioli dove la tecnica di lavorazione usata (freddo, lunga maturazione fino a 96 ore e rigenerazione periodica degli impasti) si dice permettesse di ottenere una pizza ad alta digeribilità, per via della scomposizione dell’ amido complesso in zuccheri più semplici per l’ azione meccanica della rigenerazione e per tutte le altre trasformazioni dovute alla lunga maturazione.
Le chiedo innanzi tutto se è corretto che una maturazione dell’ impasto fino a 96 ore renda il prodotto da forno effettivamente più digeribile per via della scomposizione degli amidi e degli altri macronutrienti e, se confermata questa tesi, le chiedo se l’ alta digeribilità di tale prodotto possa fornire all’ organismo zuccheri troppo velocemente disponibili ad alto indice/carico glicemico, con le conseguenze negative che questa evenienza si dice possa comportare . Grazie.
Buongiorno a lei. Questo è un discorso molto complesso, quasi mai è trattato con dovizia di particolari e molto spesso confuso. La scomposizione della totalità della percentuale di amido presente in uno sfarinato avviene unicamente dopo aver raggiunto la temperatura di transizione vetrosa o temperatura di gelatinizzazione, variabile da sfarinato a sfarinato. Mediamente per il frumento è intorno ai 70°C. Solo a questo punto, i granuli di amido interi, cambiano la loro struttura nativa ordinata, assorbono acqua, si gonfiano e sono attaccabili dal complesso delle idrolasi nella fattispecie alfa e beta amilasi. Se non si raggiungono tali temperature, la scomposione enzimatica della molecola è impossibile a meno che i granuli non siano stati rotti dal processo della macinazione. La parte rotta dal processo molitorio arriva al massimo al 10% della totalità dell'amido presente per cui solo questa parte, alla temperatura di lavorazione, sarà attaccabile dalle amilasi endogene e produrrà zuccheri fermentescibili e non. Il discorso della digeribilità di una pizza e dell'IG è molto complesso soprattutto perchè quest'ultimo deve tener conto di diversi fattori tra i quali: la grandezza dei granuli di amido, il tipo di sfarinato (avena, segale, ecc.), grado di abburattamento e la varietà usata, il rapporto Amilosio/amilopectina, la metodica di lavoro adottata (indiretta con madre), ecc., per quanto riguarda il solo impasto. A questo va aggiunto il discorso, che nessuno fa, relativo agli ingredienti usati per la farcitura (patatine fritte, ecc.), le temperature e il tempo di cottura, ecc. Le lavorazioni lunghe permettono a tutti gli enzimi (protesi, amilasi, lipasi, pentosanasi ecc.) endogeni ed eventualmenti esogeni, aggiunti semplicemente con il malto, di operare la loro azione sulla struttura dell'impasto, rendendolo più lavorabile da un punto di vista tecnico in funzione dell'azione enzimatica per scomposizione delle macromolecole; l'azione sulle proteine porta alla formazione peptidi più piccoli, ecc. La lavorazione poi con la madre e il consumo di questi prodotti porta a un rallentamento dello svuotamento gastrico con azione indiretta su IG ( uno dei tanti articoli http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0733521009000307). E' chiaro che le lunghe maturazioni diventano una esigenza nel momento in cui si lavorano farine con W oltre i 450 che darebbero pessimi risultati se lavorate in tempi brevi, oltrettuto la maggior parte sono additivate di glutine secco per raggiungere certi valori di W. La maggior parte dell'esigenza di operare maturazioni lunghe nasce proprio dal fatto di lavorare farine con queste caratteristiche tecniche. Ottimi risultati si possono ottenere con farine di W notevolmente inferiori per tempi più corti. Spero di essere stata abbastanza chiara. Un saluto cordiale e a disposizione.
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Regolamento UE tabelle nutrizionali
Salve dottoressa. potrebbe chiarirci come deve essere interpretata la deroga sul regolamento UE sull'etichettatura e nello specifico sul punto 19 allegato 5. ad esempio se fornisco ad un negozio di alimentari del mio stesso paese 5/10 kg al giorno di pane confezionato in buste microforate chiuse dovrò inserire le tabelle nurizionali in etichetta? La ringrazio per l'attenzione
Buongiorno a lei. In virtù della Circolare MISE del 16 novembre 2011, se lei rientra nella definizione di Microimpresa come da art. 2 Nota n. 2003/361/CE del 06/05/03 Raccomandazione della Commissione relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese può astenersi dal riportare solamente la tabella nutrizionale sul prodotto pane. Vale però l'obbligo di tutte le altre info come da Reg. UE 1169/2011. E' chiaro che il Reg. UE 1169/2011in questi cinque anni ha creato molti stravolgimenti soprattutto di mentalità. Rappresenta non solo una semplice modifica alle informazioni da apporre in etichetta, ma è una vera e propria trasformazione culturale atta ad un maggior coinvolgimento delle aziende unito a migliori informazioni per i consumatori. Se da una parte lei può avere i requisiti, per non apporre in etichetta tali informazioni (Tabella nutrizionale), dall'altra tutte le Associazioni di categoria consigliano di essere chiari e di riportarle comunque in etichetta proprio nell'ottica di una chiarezza assoluta e rispetto del consumatore. Chiaramente tutte le info riportate sono verificabili da parte degli Organismi di controllo e se non rispettano il vero ed escono dal range della tolleranza massima ci sono le sanzioni. Grazie a lei e a disposizione.
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Impasti per pane a base di farina integrale
Buongiorno dott.ssa Lauri ultimamente sto facendo alcune prove di impasto diretto lungo con della farina 0 con w300 aggiungendo 10-20% di farina integrale bio macinata a pietra e faccio maturare per circa 12-14 ore con lo 0,2% di lievito di birra fresco e idratazione del 60-62% circa. Il mio concetto è, ho una farina di buona forza aggiungo una parte di integrale e faccio maturare per tot ore, il pane mi viene quasi sempre un pò pieno con mollica un poco umida e compatta è il modo corretto di operare con le farine integrali oppure per lavorarle al meglio quale modo e metodo mi consiglia? premetto che la farina integrale che uso ha davvero molta crusca grossolona al suo interno. In attesa di una sua gentile risposta la ringrazio e la saluto.
Buongiorno a lei. Leggendo e rileggendo la sua email, mi pare di comprendere che una delle probabili cause della pesantezza del suo prodotto (oltre alla presenza della farina integrale!) sia la ridotta percentuale di LdB. Lo 0.2% è una percentuale troppo bassa per il pane anche se lavora con un diretto lungo e in presenza di farine integrali. Personalmente le consiglio di fare una biga (24 ore minimo) con la parte di farina integrale della ricetta (farina integrale, acqua 50 - 52% e ldB 1,0%) e poi rinfrescare con la restante farina Tipo 0. Al momento del rinfresco, aggiunga sulla farina, lo 0.5% di ldb. Tenga presente comunque che lavorando con farine integrali oppure intere, otterrà sempre un prodotto un pò più umido, proprio per la presenza delle parti cruscali (pentosani compresi) che assorbono un quantitativo di acqua circa 2 - 3 volte il loro peso. Durante la cottura si assicuri di aprire il tiraggio del forno molto prima rispetto allo stesso prodotto realizzato unicamente con la sola farina Tipo 0. Spero di aver risposto esaurientemente al suo quesito e di esserle stata di aiuto. Un saluto cordiale e grazie a lei .
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Lievitazioni Spontanee: Liquido di governo della Mozzarella
Buongiorno Dott.ssa Lauri, Un noto chef campano, utilizza per la lievitazione della sua pizza, il solo liquido di governo della mozzarella,sul video che è possibile vedere su youtube, lascia il liquido di governo 2/3gg in frigo prima di utlizzarlo durante la fase di impasto. Le "prescrizioni" dello chef sull'utilizzo dell'impasto fatto in questo modo, è di non spingersi troppo nelle ore di maturazione, consiglia le 12 ore. Questa "tecnica" rientra in quelle già analizzate in altri post sulle lievitazioni spontanee di cui ha già ampiamente illustrato i contro, o è una "tecnica" realmente alternativa e similare all'utilizzo di un lievito madre? Grazie come sempre alla sua grande disponibilità e competenza.
Buongiorno a lei. Mi scusi, ma per risponderle faccio riferimento alle problematiche che possono sorgere nel caso di un utilizzo di liquido di governo della mozzarella di bufala campana anche se non espresso nella sua email. Il concetto non cambia significativamente nel caso in cui la mozzarella sia di vacca. Nel disciplinare di produzione della Mozzarella di Bufala campana sono illustrate le caratteristiche merceologiche del prodotto, ma non sono indicati i requisiti di igiene e di sanità. Il Reg. CE 2073/2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari, definisce sanitariamente ed igienicamente accettabili i formaggi che presentano Salmonella ed enterotossine stafilococciche assenti, E. coli beta glucoronidasi positivi non >103 ufc/g, Stafilococchi coagulasi positivi non >105 ufc/g per i formaggi a base di latte crudo, Stafilococchi coagulasi positivi non >102 ufc/g per i formaggi ottenuti da latte pastorizzato. Durante il processo produttivo, si sviluppano popolazioni microbiche specifiche che influenzano le caratteristiche di identità, variabilità e qualità del prodotto. I contaminanti microbici di origine ambientale, umana ed animale e le modalità di produzione, influenzano i livelli di rischio igienico e sanitario dell’alimento soprattutto quelli apportati: dal latte utilizzato, dal sieroinnesto, dalla contaminazione post filatura e dalla salamonia in quanto estremamente variabili. A ciò si aggiunga anche lo scambio continuo di materia tra liquido di governo e mozzarella in esso contenuta; queste sono le principali cause che determinano naturalmente la breve shelf life della mozzarella stessa. Utilizzare quel liquido di governo, anche se conservato a +4°C, per avviare impasti per la pizza non mi sembra microbiologicamente indicato. Grazie e un saluto cordiale
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Transglutaminasi nella carne
Buongiorno Simona premetto che è sempre un piacere leggere i suoi articoli, in questo post vorrei chiederle se l'uso della transglutaminasi in polvere per saldare tra loro proteine di carni di provenienza diverse è consentito dalla legge nella ristorazione. Posso usare tale enzima per preparare arrosti di carni diverse che non si sfaldino al taglio?Ci potrebbero essere problemi per la salute? grazie per la disponibilita'
Buongiorno a lei al suo quesito risponde direttamente la Dott. Elsa Cugola
" La carne da ristorazione: non esiste. La carne e’ carne per definizione ai sensi del Reg. 853/2004. Utilizzare la transglutaminasi si puo’ fare, rispettando le dosi consigliate, e operando in pulizia. Ne deriva cosa? semplicemente questo: Una PREPARAZIONE A BASE DI CARNE, che NON si puo’ piu’ denominare CARNE. Le dosi consigliate devono essere molto basse, si deve operare a crudo con spuntature pulite, integre. Dichiarare carne una preparazione base carne e’ semplicemente frode."
Grazie per essersi rivolto al nostro servizio SOS online. Un saluto cordiale.
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Maturazioni impasto con grani antichi
Salve dott.ssa, mi ritrovo ad avere un dubbio su l'utilizzo di uno sfarinato integrale di grano duro antico. All'impastamento risulta molto simile ad una segale, secondo lei una maturazione su questo tipo di impasto si rende necessario o al contrario, rischierei di indebolirlo maggiormente? Inoltre come la vede la possibilità di utilizzare una autolisi a caldo (gelatinizzazione degli amidi) su questo genere di grano duro, per fare in modo di tirar su il pane nel minor tempo possibile, direi circa 5 ore al massimo, come per un pane di segale? La ringrazio in anticipo, se vorrà dedicarmi un po del suo tempo.
Buongiorno a lei. Lavorare sia i frumenti antichi/storici sia la segale in cinque ore è un pochino difficile a meno che lei non intenda questo tempo solo come periodo che intercorre tra la fine della prima puntata e l'infornamento, non considerando assolutamente tutte le fasi che precedono. E' chiaro che, soprattutto per la segale, non si può non considerare il fatto che per ottimizzare il risultato deve preparare una biga (24 ore prima) ed eventualmente operare un'autolisi a caldo (24 ore prima) oppure una madre di segale (diversi giorni prima!) e una riposo in massa di alcune ore. Il discorso è molto simile per quanto riguarda le lavorazione con frumenti di varietà antiche/storiche (biga 12 - 18 ore prima) valutando anche la possibilità di una eventuale porzione di farina in autolisi calda (24 ore prima) ecc. E' fondamentale a questo punto verificare che non sia necessaria magari anche un' autolisi fredda se i frumenti sono interi o integrali. Ci sono diversi accorgimenti per lavorare queste varietà a partire proprio dalla tecnica, temperatura dell'acqua, temperatura dell'impasto, ecc. Grazie a lei e buona giornata
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Rischio Acrilammide
Buongiorno Sig. ra Lauri, che cosa ne pensa dell'acrilammide, prodotto che si trova nella crosta del pane e in altri prodotti amidacei cotti ad alte temperature, ritenuto cancerogeno? Sono un panificatore, dovrei rivedere le temperature di cottura per non mettere a rischio la mia clientela? Grazie e buona giornata
Buongiorno a lei, come in tutte le cose vale sempre la regola del vecchio e mai abbastanza lodato buon senso. L'EFSA cioè l'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare monitora ogni tre anni il contenuto di acrilammide negli alimenti sottoposti a cottura. E' importante dire che
in tutti i prodotti alimentari sottoposti a cottura (da min 50 microgram/Kg riso bollito a 2000 – 10000 microgram/Kg crosta nera della patata) si sviluppa acrilammide in quantità più o meno rischiosa per la salute. Tale molecola si genera da una reazione tra asparagina, e zuccheri riducenti naturalmente presenti nei cereali (amido, disaccaridi, monosaccaridi) o aggiunti attraverso il complesso delle reazioni di Maillard. La sua formazione è amplificata da diversi fattori tra i quali: temperatura di cottura max 120 – 170°C, tempi lunghi, contenuto di acqua, pH basico, presenza acidi grassi insaturi, atmosfera modificata per 10 – 15 gg a +4°C per alimenti precotti, naturale presenza di asparagina nella formulazione proteica degli ingredienti (patate, orzo, segale, farina integrale ecc.). Secondo l'ultimo report EFSA vi è un incremento nel caffè istantaneo, caffe torrefatto, succedanei del caffè, patatine fritte, hamburger, cereali tostati, biscotti e pane tostato, pollo fritto, ecc., evidenziando però la poca omogeneità dei risultati nei paesi europei.
L’acrilammide è inoltre presente nel fumo di tabacco e deriva da molti usi industriali non alimentari. Il sano buon senso, che tutti dovrebbero applicare, non solo i professionisti ma chiunque operi una cottura soprattutto a livello casalingo, è relativo al fatto che tutti gli alimenti sottoposti a cottura, per non incorrere nel rischio di sviluppare concentrazioni eccessive di acrilammide,devono raggiungere una colorazione leggermente dorata e non bruno intenso, nero o bruciati per cui:
- fritti: attenersi a temperature e tempi consigliati per evitare eccessiva cottura, formazione di crosticine e bruciature.
- pane: cuocere e/o tostare fino ad ottenere un giallo dorato, invece che bruno;
- prodotti a base di patate: cuocere patatine e crocchette fino ad ottenere un giallo dorato e non bruno.
- conservazione: conservare le patate al riparo dalla luce e mai in frigorifero (il freddo aumenta i livelli di zuccheri e potenzialmente la formazione di acrilamide in fase di cottura). Come dicevo non va mai demonizzato nessun prodotto ma cotto, lavorato e consumato cum grano salis. Grazie e saluti cordiali
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Ecco i ...fenomeni
Salve vorrei sapere la sua opinione sul crescente numero di super star nel mondo della pizza che compaiono sempre di più in articoli, reportage, corsi e dimostrazioni di panificazione nonostante abbiano difficoltà a parlare un corretto italiano e in molti casi abbiano solo scoperto l'acqua calda ( vedi tutti quelli che usano un impasto per pizza in pala molto idratato per fare pizza tonda e tutti gridano al miracolo). Come si fà davvero ad emergere avendo la giusta preparazione e come fanno ad emergere con tanta facilita questi buffoni mediatici?
Buongiorno a lei. Mi crede se le dico che a questa domanda non so rispondere? E' solo solo business puro. Sono la vergogna dei professionisti veri soprattutto quando non sanno esprime neanche un concetto semplicissimo; non dico tecnicamente (sarebbe troppo) ma dal punto di vista del lessico e grammatica italiana. Questa è la vera vergogna, sdegno e offesa per tutti quelli che li ascoltano e fanno del loro mestiere una vera e propria arte, oltre chiaramente al pubblico non professionista. Questo è però colpa di tutte quelle Associazioni di pizzaioli, Aziende, Scuole ecc. che li hanno creati e li chiamano per fare i corsi. I primi a prendere in giro tutti i pizzaioli, futuri pizzaioli per business sono stati proprio loro con i corsi di due/tre giorni nei quali promettevano di farli diventare pizzaioli professionisti e dopo altri due/tre giorni, profumatamente pagati, diventare master Istruttore, docente, grande maestro, ecc. Pizzaioli che diventano all'improvviso panificatori ed esperti di grandi lievitati dopo aver fatto una solo infornata di panettoni e maestri panificatori che non si rendono neanche conto di quello che dicono da quanto non conoscono nè la scienza nè tanto meno le leggi italiane ed europee. A mio modesto parere, questo deriva da un vuoto normativo (che non è l'albo dei pizzaioli!) importante. Un ragazzo per diventare panificatore deve frequentare tre/quattro anni tutti i giorni nei Centri di Formazione professionale - Agenzie Formative in quanto tale corso è normato da un programma di studi dopo la terza media e riconosciuto dal Ministero della Pubblica Istruzione come percorso professionale. I pizzaioli? Ci deve essere a mio avviso un altrettanto percorso riconosciuto dal Ministero affidato alle stesse Agenzie Formative e non alle Associazioni di categoria con le loro scuole improvvisate, se no il business è amplificato e senza controllo. Ci si potrà avvalere della collaborazione delle Associazioni ma la formazione tecnica deve essere affidata alle Agenzie Formative, Centri Professionali, Istituti Alberghieri, ecc. Il discorso è molto molto ampio. Grazie a lei
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Aggiunta di Malto in impasto Finale su % Farina del Prefermento
Salve Dott.ssa, ho visto su alcune ricette di impasti indiretti, aggiungere in impasto finale, una percentuale di Malto Diastasico sulla quantità di farina del prefermento. A rigor di logica non mi sembra una cosa stupida , visto che dopo 24h di prefermento tipo BIGA ,la farina risulti abbastanza stressata e scarica ,portando ad anemia il prodotto finito (in questo caso pizza).Saprebbe dirmi se e' una cosa corretta oppure no? Grazie
Buongiorno a lei. L'aggiunta di malto diastasico nell'impasto finale è una operazione corretta. In linea di massima si procede aggiungendo una quantità tra 0.5 - 1.5% sul totale della farina (farina della biga + farina del rinfresco). La percentuale è variabile e dipende soprattutto dalla: formulazione (farina maltata, malto in pasta, ecc.), unità Pollack, durata della fase di maturazione della massa, sfarinato di partenza, (per la farina di segale si utilizza il malto non diastasico) ecc. Un saluto cordiale e grazie
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No-knead o pane senza impasto
Gentile dottoressa, vista la sua disponibilità, ho assistito oggi ad una discussione in un gruppo ma sono rimasta lievemente confusa. La discussione riguardava il famoso pane senza impasto di Jim Lahey che molte persone realizzano. Lei cosa ne pensa di questo metodo del No-Knead? Grazie per la cortese risposta.
Buongiorno a lei. Ultimamente sto assistendo alle scoperte di molti personaggi che pensano di aver trovato "la luna nel pozzo", per di più violando molte normative italiane e europee! A parte questa mia digressione personale, fuori luogo nel suo caso, ritengo che non si abbia scoperto nulla di nuovo. Tale tecnica prevede una semplice miscelazione di acqua, farina ecc., ma quello che "lavora per noi", in questo caso ... è il tempo. Mi spiego meglio: tutte le reazioni che avvengo durante la formazione di un impasto: strutturazione della maglia glutinica, assorbimento di acqua, allineamento delle strutture proteiche, formazioni di legami intra e intermolecolari, dissociazione degli acidi, equilibri chimici, iterazioni molecolari ecc., avvengono comunque ma, venendo a mancare l'azione meccanica dell'impastamento (quindi il riscaldamento!), sono molto molto rallentate. Quello che potrebbe avvenire in pochi minuti avviene in tempi molto molto lunghi e molto spesso occorre abbinare delle piegature proprio per incrementare la strutturazione naturale dei legami dell'impasto. La mia domanda curiosità è un'altra a questo punto: Quali vantaggi ho, a livello sceintifico, rispetto al classica fase d'impastamento? Grazie a lei per l'apprezzamento della testata e per essersi rivolta al nostro servizio di consulenza online. Un saluto cordiale
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Enzimi della farina
Buona sera Dott.ssa Lauri volevo porle una domanda riguardante l'utilizzo della farina in una crema pasticcera. Durante un corso appunto sulle creme di base , mi è stato spiegato che l'utilizzo della farina in una crema pasticcera viene sconsigliato per vari motivi tra cui quello di provocare il cosidetto collassamento , la perdita di consistenza della crema una volta raffreddata , dovuto alla presenza di enzimi (contenuti appunto nella farina) che non morendo con le alte temperature , andrebbero ad intaccare l'amido gelatinizzato causando appunto il suddetto fenomeno.Mi sa dire quali sono questi enzimi ? Grazie.
Buongiorno a lei. Mi scusi, ma la crema è portata ad ebolizione per qualche minuto, per cui la maggior parte degli enzimi (perchè di enzimi stiamo parlando!) sono disattivati. E' vero, si possono usare direttamente gli amidi, cosi come la stessa può trasudare liquido dopo che è stoccata per più di una settimana a +4°C, ma a questo punto interviene prima un problema di sicurezza igienica e successivamente quello tecnico strutturale. Mi scusi, ma tutte le beta amilasi sono disattivate cosi come la maggior parte delle alfa amilasi. Con tutto rispetto, questa domanda la rivolga a chi ha fatto la lezione e chieda esattamente sia il nome degli enzimi, la temperatura di disattivazione sia la modalità di azione sui subtrati. E' un obbligo professionale per chi tiene la lezione e parla di enzimi avere le conoscenze tecniche biochimiche per trattare questo argomento per cui sono sicura che sarà in grado di darle tutte le spiegazioni biochimiche, scientifiche e tecniche del caso. Un saluto cordiale e sempre a disposizione.
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Li.co.li. e pasta madre e possibili pericoli
Buongiorno Vi scrivo perché vorrei avere delle informazioni in più riguardo all'utilizzo della pasta madre e del licoli. In tutti questi anni ho sempre sentito parlare di questi prodotti come dei prodotti sicuri dal punto di vista alimentare, o almeno se non nella fase iniziale, in quella cosiddetta di stabilizzazione. Ma siamo sicuri? Come possiamo difenderci noi utilizzatori? Fino ad ora ho fatto nascere diverse paste madri e licoli, ma senza aver il "coraggio" di utilizzarli nelle ricette. Diverse sono le informazioni che si trovano sul web tra cui questo articolo http://www.pieronuciari.it/wp/fermentazione-spontanea-pane-pizza-la-salute-rischio/ che anche se sembra parlare di cose differenti a me pare che sottinttenda anche il discorso della pasta madre e del licoli home made. Comunque sarei ben contento di essere smentito. La mia perplessità sull'argomento viene dal fatto che non ci siano (o almeno io non son riuscito a trovare nulla) delle linee guida, come invece è possibile trovare sulle conserve fatte in casa, da parte delle autorità, riguardanti proprio le regole da tenere nei confronti di questi prodotti. Diciamo che una risposta da una persona autorevole in materia come la Dott.ssa Lauri sia utile se non doverosa al fine di poter "dormire" sonni tranquilli. Almeno avere delle linee guida per gestire questi prodotti in tutta sicurezza. Lo so che forse è esagerata prudenza, ma non mi dispiacerebbe che un giorno ci sia la possibilità di esaminare microbiologicamente i nostri "lieviti" al fine di non correre in inutili rischi. Cordiali saluti
Buongiorno a lei. L'articolo porta la mia firma, l'ho scritto io proprio perchè stava nascendo sia tra i professionisti sia tra gli appassionati del mondo dell'arte bianca questa moda pericolossissima. L'articolo, al quale hanno fatto seguito altri anche sulla nostra testata, ha l'obbiettivo di focalizzare l'attenzione sulla estrema pericolosità delle fermentazioni spontanee libere senza controllo in colture iniziali non stabili dove si può sviluppare qualsiasi microrganismo patogeno, sporigeno ecc. Non entro nel merito di come siano nate queste mode pericolosissime ne tanto meno come si sia arrivati a tanto, ma il fenomeno andava arginato subito proprio per l'estrema pericolosità per la salute oltre ai verbali che i professionisti rischiano da parte delle ASL, NAS e tutti gli Enti adibiti a controlli che periodicamente fanno prelievi, tamponi nei locali di produzione degli esercizi commerciali. Si sottolinea anche, molto chiaramente, la differenza tra la coltura microbica delle masse liquide contenute in bottiglie, barattoli ecc. varimente colorate e torbide, in fermentazione spontanea nei primi giorni, con la coltura stabile delle madri. Ora, la buona prassi di gestione di una madre in qualsiasi forma sia (legata, solida, liquida) è molto semplice: si deve rinfrescare al massimo ogni due giorni e non una volta alla settimana o ogni due, anche se mantenuta in frigorifero. Prestare attenzione al cambiamento di colore; deve mantenere il colore dello sfarinato utilizzato e non scurirsi o annerirsi, non deve essere lasciata libera in frigorifero, ma coperta e protetta all'interno di un barattolo o se legata conservata all'interno di una cassetto proprio per proteggerla dalle contaminazioni, non conservare vicino a salumi per la loro superficie esterma fortemente contaminata da muffe (ottime nel caso della stagionatura dei salumi, ma nemiche assolute delle madri) e opearare una volta alla settimana una valutazione sensoriale per percepire marcate le note dominanti dolci - acide dei due acidi dominanti (lattico e acetico), la presenza della CO2 e solo come retrogusto, alla fine e non persistente, le note amare (queste sono presenti se la farina contiene parti cruscali). Se conservata legata, rinfrescare la madre prima che la massa si sfaldi e perda di forza. La madre anche se è una coltura stabile sicura, da un punto di vista microbiologico, se gestita male in termini di numero e tempistica dei rinfreschi, può causare la morte della microflora interna con tutte le conseguenze igieniche e sanitarie che ne derivano. Tale stato si rileva con sviluppo di odori anomali, viraggio di colore al marrone/nero e trasudamento di acqua sia dalle cellule morte sia dalla struttura glutinica. Assicurarsi sempre che la struttura interna sia soda, spugnosa e color bianco latte omogeneo, togliere sempre la parte esterna nel caso in cui sia conservata legata, utilizzare la parte interna e adottare sempre rigorose e scupolose norme igieniche soprattutto se la madre è conservata in frigorifero insieme ad altri alimenti. Cambiare il telo una volta alla settimana e utilizzarlo sempre di colore bianco proprio per evidenziare immediatamente lo "sporco" e le macchie. La madre liquida può essere conservata in un barattolo chiuso, di circa 3 - 4 volte il volume di massa contenuto, anche a temperatura di circa 18 - 20°C purchè sia rinfrescata tutti i giorni. Non essendo possibile, per una questione di costi, una identificazione microbica oltre alla valutazione della concentrazione in termini di UFC/g si può seguire questo semplice decalogo scritto appositamente per l'occasione del suo quesito proprio per aiutare nella gestione delle madri a livello casalingo e non, senza incorrere in pericoli. Un saluto cordiale e sempre a disposizione.
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Attività del S. cerevisiae e valori di pH
Buongiorno dotterressa... Volevo chiederle un chiarimento riguardo ai lieviti e all'ambiente acido. Volevo sapere ho letto sui vari forum che i lieviti prediligono un ambiente acido ... Ma allo stesso tempo che l' acidità abbassa l'attività enzimatica . Quindi vorrei chiederle ma se si abbassa l' attività enzimatica il lievito poi riesce a nutrirsi meglio? Grazie
Buongiorno a lei. Mi scusi, ma non riesco a capire se il suo è un discorso generico sui lieviti o se si riferisce all'attività del S. cerevisiae in un impasto. Per non fare un discorso troppo generico, mi riferisco al solo S. cerevisiae e mi scuso se non ho ben compreso quindi il suo quesito. Il S. cerevisiae svolge la sua azione fino a pH 3,0 e valori inferiori, comprendendo ampiamente tutti i valori di pH dei prodotti ottenuti in arte bianca, madre compresa, per cui il problema, dal punto di vista del solo valore di pH non si pone, non esiste! L'abbassamento dei valori di pH della matrice (impasto in questo caso) invece fa si che si possano attivare tutta una serie di enzimi endogeni nell'impasto, tra i quali, proteasi, fitasi, pentosanasi, ecc. che svolgono una azione positiva all'interno della struttura. Se per esempio non si attivassero le fitasi non potrebbe essere "divattivato" l'acido fitico presente soprattutto in sfarinati con parti cruscali. Dal mio punto di vista c'è moltissima confusione in proposito e la modalità dei post, sms, chat non aiuta di certo anzi è motivo sempre di fraintendimenti. Il discorso più corretto da fare invece è quello che riguarda le condizioni non ottimali o di "stress". Il S. cerevisiae, come tutte le cellule viventi, ha delle situazioni di stress alle quali può essere sottoposto durante il processo di panificazione e alle quali, come cellula, reagisce (chiaramente fino a un certo punto!) e sono:
Stress da elevate e basse temperature. Ogni cambiamento nella temperatura ambientale viene percepito dalla cellula come stress. Le alte temperature inducono la denaturazione delle proteine e cambiamenti nella membrana plasmatica. Lo stress da alte temperature può anche far variare il gradiente protonico transmembrana, abbassando notevolmente il pH intracellulare. Un repentino abbassamento della temperatura invece, al di sotto di 0 °C riduce la fluidità della membrana plasmatica, lo stato fisico dell'acqua e, di conseguenza, l'attività della cellula stessa.
Stress osmotici ed ossidativi. Un improvviso incremento di osmolarità dell’ambiente, si traduce in un movimento dell’acqua dalle cellule verso l’esterno, che provoca una nociva perdita di pressione di turgore, un cambiamento della concentrazione dei soluti intercellulari e una variazione del volume cellulare. Gli stress ossidativi sono associati a condizioni in cui la produzione di “forme di ossigeno reattive” (ROS) comportano effetti dannosi nella vitalità delle cellule.
Carenza di nutrienti. In presenza di nutrienti la cellula cresce velocemente e le vie metaboliche di risposta allo stress sono represse,mentre quando questi sono assenti o la loro presenza poco rilevante, le vie sono riattivate. S. cerevisiae ha sviluppato diverse strategie in risposta alla mancanza di nutrienti ad esempio, bloccando il ciclo cellulare.
Il Saccharomyces cerevisiae ed altri lieviti mostrano però capacità di sopravvivenza alla disidratazione e al congelamento grazie alla sintesi del trealosio. Spero di essere stata esauriente. Un saluto cordiale
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Lunghe maturazioni con poco lievito
Buonasera e complimenti per la sua rivista davvero semplice diretta ed esauriente.Volevo chiederle, è da tempo che panifico usando piccole dosi di lievito di birra circa lo 0,1-0,2% per chilo su circa 16 ore di maturazione. Volevo sapere se è meglio utilizzare poco lievito e temperature piu alte oppure piu lievito e temperature piu basse. Mi chiedevo cosa è meglio ai fini del corretto sviluppo e buona reazione dei lieviti in base alle due soluzioni. La ringrazio e la saluto cordialmente
Buongiorno a lei. Prima di tutto occorre fare un distinguo se il prodotto che deve produrre sia pane oppure pizza. In linea di massima è sempre meglio prediligere nel pane la situazione "più lievito e temperature più basse" rispetto al contrario in quanto si potrebbe rischiare il marciume della massa. Da sfatare la convinzione che si deve lavorare sempre con percentuali ridottissime di lievito nel metodo diretto corto in quanto si rischia proprio che la coltura dei blastomiceti non si sviluppi nella massa e quindi si presentino problematiche anche gravi durante la lavorazione. Se è pizza può adottare il metodo diretto lungo con le percentuali da lei descritte e dopo un riposo in massa di circa 1.5 - 2.0 ore a temperatura ambiente può conservare il prodotto a temperature basse (+4°C) per un tempo minimo di 24 ore. Nel caso invece del metodo diretto lungo per la produzione di pane, l'impasto è realizzato con 0.8% di lievito e stoccato a temperatura di +18/+20°C. Il pane e la pizza, tecnicamente a livello di struttura e di attività microbica, hanno esigenze leggermente differenti. Il pane ha la necessità di essere fatto con una percentuale di S. cerevisiae compresa tra 0.8% e 4% nel caso di diretti lunghi - corti in presenza di impasti con burro e tuorli. Nella pizza, invece, proprio perchè è fondamentale la fase della maturazione, si lavora generalmente con percentuali di S. cerevisiae tra 0.1 - 0.5% nel diretto medio/lungo. Un saluto cordiale
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Grani "antichi", dove finisce l'etica e dove inizia il business
Buonasera dottoressa! Approfitto ancora una volta della sua gentilezza e della sua professionalità, perchè mi piacerebbe sapere la sua opinione in merito alle farine derivanti dai grani autoctoni del nostro territorio! Sempre piu spesso si sente tutto e il contrario di tutto.. c'è chi dice che presentano notevoli vantaggi nutrizionali, chi invece dice che è solo una moda guidata da business, altri ancora dicono che sia una scelta meramente etica.. è una domanda molto generica la mia lo so.. probabilmente si potrebbe parlare di ore e ore in merito a ogni singolo grano e alle varie aziende che li lavorano..Mi rivolgo ancora una volta a lei in quanto portavoce superpartes di scienza e non di interessi privati.. chiedo ancora scusa per la mia domanda, sicuramente molto generica per un tema cosi complesso, sperando possa ricevere qualche sua dritta sulla questione! Grazie mille
Buongiorno a lei. La sua è una domanda estremamente interessante e la ringrazio per la stima nei miei confronti. Cercherò di essere all'altezza della situazione. Prima di tutto occorre sfatare un grosso falso mito portato avanti da chi si è dimenticato di come si fa a lavorare certi grani per cui dice che non sono assolutamente panificabili. Non è assoltamento vero che non si possono panificare. Questo sì che è marketing negativo e falsità pura! E' vero, sono frumenti molto molto deboli di cui alcuni presentano valori circa 95 - 98W e non di facile lavorabilità, in riferimento alle specifiche tecniche di panificazione ma comunque, con opportune tecniche, ottimamente lavorabili sia per pane sia per pizza. Ho seguito tantissimi convegni organizzati da Istituti universitari e tutti erano concordi nell'affermare che questi frumenti sono più ricchi di antociani, presentano una sequenza aminoacidica più tollerabile per i soggetti con patologie, non sono colture selezionate, hanno rese molto basse perchè la pianta alletta e quindi hanno costi più elevati, contengono minor percentuale di glutine secco, la pianta presenta un apparato radicale più sviluppato, si adatta all'ambiente e presenta linee eterozigote e non necessita di concimazione azotata. A livello di caratteristiche sensoriali, se i frumenti sono usati rigorosamente in purezza, mostrano pani con una maggior UR, un minor volume, una mollica meno alveolata, crosta più spessa, miglior aroma e profumi tipici e briciole piu piccole. E' indubbio che frumenti come Senatore Capelli, Saragolla, Solina etc.tanto per citarne alcuni, presentano le stesse identiche caratteristiche nutrizionali rispetto a un noto marchio commerciale tanto pubblicizzato per puro marketing aziendale. A questo punto, con tutta onestà, mi sento di dirle che la scienza resta tale anche se da qualcuno è sicuramente sfruttata per fare business, ma è anche vero che l'Italia produce nel tenero solamente il 20% di quello che abbiamo necessità per cui siamo costretti ad importare sia il tenero sia il duro dall'estero. Questi sono dati FAO non barzellete raccontate da chi per puro business politico, marketing aziendale ecc., vuol far credere il contrario e denigrare l'estero. A mio avviso questi prodotti autoctoni sono perle che rappresentano storia e tradizioni di intere regioni, nicchie rigorosamente da tutelare e salvaguare come prodotto tipico nostro italiano, ma che non possono assolutamente andare a sostituire completamente l'intera produzione di frumento tenero e duro italiana nè tanto meno garantire l'autosufficienza agricola nazionale. Non abbiamo nè i campi per una questione geografica (le pianure nostre sono molto limitate) nè il clima. Tuteliamo, difendiamo questo oro in un'ottica di pura etica, ma nello stesso tempo regolamentiamo con leggi nazionali ed europee le importazioni, i trattamenti effettuati in campo, sulle colture, sulle cariossidi in stoccaggio, i limiti dei residui dei fitofarmaci utilizzati, origine e la provenienza dei frumenti importati, condizioni di stoccaggio ecc. Spero di aver risposto esaurientemente al suo quesito, in ogni caso l'argomento è molto molto ampio. Grazie a lei
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Fermentazioni spontanee e madri
Buonasera gentile Dottoressa. Le scrivo perché molte persone nel mio gruppo hanno letto e leggono i suoi scritti in merito alle fermentazioni spontanee e mi/ci chiedono quale sia la differenza tra queste e la pasta madre sia biologicamente che come processo di avviamento di una coltura (madre e non). Non avendo basi chimiche ed essendo solo una panificatrice amatoriale, non desidero formulare risposte inesatte pertanto, chiedo a lei sempre così gentile e disponibile, quale risposta posso dare a supporto di ciò che credo di aver compreso in merito a tutto questo mondo fermentativo. Da quel che ho capito io, mi corregga se sbaglio, la presenza di LAB+ cerevisiae inibisce altre tipologie di batteri, germi o agenti patogeni con il passare del tempo e fino a quando la pasta madre diviene stabile a patto che vi sia a livello casalingo una corretta igiene dell'ambiente, una corretta gestione e manutenzione della pasta madre stessa per evitare ogni possibile contaminazione. Mi corregga se ho frainteso e gentilmente mi aiuti a rispondere a coloro che giustamente si chiedono e ci chiedono. Grazie mille per la sua sempre cortese disponibilità.
Buongiorno a lei. La fermentazione con S. cerevisiae, batteri lattici e metabolismi operati dai microrganismi, qualsiasi essi siano, all'interno delle acque ecc., in fermentazione libera e spontanea è il risultato di un'azione microbica incontrollata in presenza di acqua e zucchero. Il primo concetto assolutamente NON veritiero è quello relativo al fatto che i Maestri,fautori di tali tecniche, dicono che non ci sono assolutamente lieviti (l'avvio dei processi spontanei delle fermentazioni alcooliche in vinificazione, già li smentiscono all'istante, inoltre basta un semplice piastramento della coltura per smentirli ulteriormente oltre alla grandezza degli alveoli ed avere una semplicissima "infarinatura" sui metabolismi microbici e tutte le forme primarie e secondarie di contaminazione) e quindi pubblicizzarli come prodotti idonei per gli allergici al S. cerevisiae. Il secono punto estremamente importante è che tali acque "sante" sono usate entro pochissimi giorni dalla contaminazione primaria cioè quando la coltura microbica non si è ancora stabilizzata cioè prima che qualsiasi coltura abbia preso il sopravvento sulle altre forme, creando naturalmente delle condizioni in cui non si possono sviluppare altri microbi (patogeni compresi) anche se presenti. Altro punto di NON verità è quello relativo al fatto che affermano che in cottura muoiono tutte le forme presenti. Generalmente chi afferma ciò, sono persone che non hanno alcuna esperienza nel settore della panificazione artigianale, in quando i panificatori artigiani sanno molto molto bene cosa siano il B. mesentericus, il B. subtilis, ma soprattutto che le loro spore NON si disattivano assolutamente in cottura. Se cosi fosse non ci sarebbe il grave problema microbiologico del pane filante proprio nel prodotto dopo la cottura! Quindi? Ora, a questo punto c'è da fare un distinguo e alcune precisazioni molto importanti sulle quali si attaccano i "business man" quando vogliono difendere, senza alcuna base scientifica, la loro tesi. Da secoli, in ambito alimentare, si usano le fermentazioni spontanee, dopo che la microflora ha selezionato naturalmente le specie dominanti permettendone la crescita e lo sviluppo, (acidificazioni varie di prodotti vegetali. Appunto acidificazione in cui si bloccano naturalmente altre forme, fermentazioni spontanee in vinificazione in cui la CO2 prodotta e l'alcool inibiscono altri microbi, e cosi via ecc.) andando a influenzare i fattori di crescita di tutte le altre forme viventi presenti. Quando la situazione è nelle fasi iniziali, spontanee, libere, incontrollate, senza starter di avvio, in ambienti non controllati, può portare a situazioni pericolosissime: bombaggi indesiderati, esplosioni, contaminazioni da micotossine, sviluppo di patogeni, tossine con la conseguente problematica d’infezioni, intossicazioni, tossinfezioni . Ora questo è un discorso generico per dire che a livello casalingo o professionale artigianale non controllato rigorosamente, i rischi microbiologici legati alle fermentazioni spontanee libere sono elevati. Se da una parte si pensa di fare qualche cosa d’innovativo, dall’altra si può veramente incorrere in sviluppi di microrganismi molto pericolosi se tali fermentazioni appunto casuali/spontanee sono condotte con faciloneria estrema pensando che tutto sia lecito e facile. Le contaminazioni primarie sono estremamente varie e poiché non si conoscono le forme microbiche contaminanti delle materie prime (almeno senza un’adeguata identificazione microbiologica) queste possono essere qualsiasi e insinuare qualsiasi pericolo. A questo punto poi molti hanno confuso queste discorso sulle fermentazioni spontanee con la microflora della madre. E' accertato dalla microbiologia (ricordo essere Scienza!) che nelle acque in fermentazione spontanea nei primi giorni NON c'è assolutamente una coltura dominante e queste acque sono usate subito nell'impasto, mentre la madre, anche se si parte da un frutto come appunto la mela, il pomodoro, la pesca, prima di essere utilizzata viene rinfrescata (aggiunta acqua e farina alla coltura) per 20 - 25 giorni e solo dopo accurate valutazioni sensoriali viene utilizzata nella massa. Parte SI, come contaminanti spontanei, ma nel corso dei 20 giorni si seleziona la microflora creando non solo una microflora dominante in termini di UFC/g, ma i metaboliti come acidi, alcool, CO2, metaboliti secondari, antibiotici inibiscono altre forme presenti arrivando anche a causare la morte della coltura dominante se non si operano gli opportuni rinfreschi.
Ricapitolando la differenza: L’utilizzo del S. cerevisiae tal quale (in conformità all’art. 8 DPR 502/98, art. 14 Legge 580/67 per la realizzazione d’impasti diretti, indiretti con biga, poolish, riporto ecc., nell’ambito delle tecniche di corretta e lecita lavorazione) così come l’utilizzo della madre o lievito di pasta acida naturale, da un punto di vista microbiologico creano loro stessi (coltura dominante), le condizioni naturali per un rallentamento/blocco/controllo di altre colture microbiche, patogeni compresi, per differenti motivi tra i quali:
- Creazione di una coltura dominante di S. cerevisiae o nelle madri di alcune specie di LAB (L. plantarum, L.brevis, L. sanfranciscensis, L. acidophilus come riportato in letteratura scientifica)
- Ecosistema biologico basato anche sulla non competizione nutrizionale tra L. sanfranciscensis e S. exiguus.
- Abbassamento del pH, produzione di acidi specifici e inibizione di crescita di altre forme microbiche per condizioni non idonee.
- Produzione di alcuni antibiotici e sostanze antimicrobiche da parte di alcuni ceppi di LAB.
- Produzione di CO2 dimostrata (fermentazione alcolica tipica del S. cerevisiae) e non gas qualsiasi - proveniente da metabolismi qualsiasi, non controllati) e inibizione naturale per azione diretta sui fattori di crescita di altre forme microbiche.
- Produzione di metaboliti specifici ecc.
Oltre chiaramente a tutti i vantaggi riportati da anni nella letteratura scientifica del settore. Diffidate dalle bottiglie, secchi, barattoli contenenti acque più o meno opache, più o meno marroni con "bollicine" varie e con depositi sul fondo. Un saluto cordiale
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Biga...questa misteriosa!
Salve dottoressa , sono un suo fan e seguace, volevo porle un quesito sulla biga per capire meglio.
Quali sono i processi chimici che avvengono e non avvengono nella biga e perché la rendono così? Perché aiuta ad aumentare l'idro? Grazie anticipatamente e vorrei farle i miei complimenti!
Buongiorno a lei è molto difficile spiegare la biga in poche righe ed è per questo che nel prossimo numero di febbraio 2017 della nostra testata troverà una spiegazione abbastanza dettagliata e spero altrettanto semplice. Mi limito quindi a rispondere solo a questo quesito: Perchè la rendono così? La biga ha determinate caratteristiche perchè, non è un impasto completamente finito e a sua volta è una cultura microbica, in cui predomina il S. cerevisiae e nella quale avviene sia la respirazione sia la fermentazione e quindi ogni fattore influenza in modo determinante questo processo. Mi scusi ma non riesco a comprendere il suo secondo quesito: Perchè aiuta ad aumentare l'idratazione? Detto così può darsi che sia mal posto perchè in base alle conoscenze tecniche scientifiche, l'aumento dell' idratazione della massa non rientra nei vantaggi/svantaggi della stessa. Grazie a lei e sempre a disposizione.
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Percentuale poolish
Salve dottoressa. Normalmente quando parliamo di percentuale di poolish sull'impasto si parla del doppio della farina utilizzata sul poolish, quindi risulterebbe più o meno il 30% di poolish sull'impasto finale. Se io facessi un poolish del 50% sullimpasto finale,
Esempio : 5kg farina x il poolish e altri 5kg di farina da aggiungere all' impasto finale che risultato mi darebbe? Sarebbe migliore ? Grazie mille
Buongiorno a lei mi scusi ma stiamo parlando di farina non di percentuale di poolish totale. La farina utilizzata per il poolish è 1/3 del totale (1 + 2 di rinfresco) cioè la farina del poolish è il 33.3% del totale della farina dell'impasto finale. Prima di tutto stiamo parlando di una tecnica che si adotta di preferenza per la pizza in teglia o in pala, poichè le caratteritiche di questa lavorazione, tra le altre, sono quelle di impartire una certa leggerezza e friabilità di crosta rispetto per esempio ad altre lavorazioni come la biga. Ciò accade di preferenza, se si calcola opportunamente la temperatura dell'acqua, sia per la percentuale elavata di acqua sia per il fatto che si riesce ad incorporare molta aria sia per la coltura microbica dominante di S. cerevisiae. Non so quali risultati, in termini di migliorie delle caratteristiche sensoriali sul prodotto finito, lei possa avere, utilizzando stessa farina per il poolish rispetto al rinfresco, perchè personalmente non ho mai provato. Perchè vuole cambiare i rapporti fissi? Ha problemi? Ci terrei molto che mi tenesse aggiornata. Grazie ancora e a presto
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Idratazione biga
Salve dottoressa, vedo molti pizzaioli che usano una Biga con idratazione al 60%. È giusto chiamarla Biga oppure bisogna chiamare preimpasto. Grazie
Buongiorno a lei. La biga per definizione tecnica oggettiva, riportata in qualsiasi testo di tecnica di panificazione sul quale abbiamo studiato per anni,(e non soggettiva o derivante da libera opinione e/o interpretazione personale!) è un impasto realizzato con farina, 44 - 45% di acqua e 1% di lievito di birra fresco S. cerevisiae, in cui le percentuali sono calcolate sulla farina. Non è un impasto ottimizzato dal punto di vista dell'impastamento poichè è impastato pochissimi minuti in base al tipo di impastatrice, tempi di riposo, proprietà reologiche della farine ecc., proprio per ridurre al minimo il riscaldamento meccanico ecc. E' una tecnica relativamente semplice, ma abbastanza complessa per le innumerevoli variabili in gioco. Agli inesperti sembra facile, ma chi la utilizza tutti i giorni per lavorazioni che esulano della semplice (mi passi il termine che non vuole essere assolutamente nè offensivo nè diminuitivo!) pizza, conosce le problematiche che si possono incontrare. Ci sono farine che, per loro natura, presentano elevate parti cruscali oppure sono ottenute da cereali differenti dal frumento, che necessitano di una idratazione sulla farina maggiore arrivando anche al 50 - 52%, ma la tecnica di gestione (teoria e pratica) resta la stessa. Oltre il 52% e soprattutto se il cereale utilizzato è il frumento beh... esula dal concetto tecnico di biga! Cosi come la presenza di altri ingredienti che non rientrano nei tre citati (farina, acqua e lievito fresco S. cerevisiae) portano a realizzare un impasto che tecnicamente non può essere definito ...biga! Un saluto cordiale e sempre a disposizione
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Perplessità su panettone
...ancora sui panettoni. dunque sono arrivato ad una metodica di produzione che da risultati costanti e apprezzabili. ci sono però alcuni particolari che mi lasciano perplesso. il panettone una volta cotto (controllo della temperatura finale di circa 96°C) e lasciato 14 ore a testa in giù presenta una mollica soffice, elastica e setosa ma molto fine e sottile. noto una certa differenza con panettoni artigianali di noti pasticceri i quali mi pare abbiano una mollica più grassa e spessa. Questo problema che noto nei miei panettoni risulta ancora più evidente con l'invecchiamento ovvero 10-14 giorni dalla cottura. la mollica ha perso tutta la sua elasticità (tirando si spezza subito senza resistenza) risulta piuttosto secca, asciutta e meno fragrante. quali possono essere le cause? potrebbe essere una lavorazione eccessiva? uso una impastatrice a spirale ma leggo che questi prodotti andrebbero impastati con una a braccia tuffanti...da dove potrei partire per porre rimedio a questi spiacevoli difetti?
grazie infinite e un buon anno a lei e ai suoi lettori.
Buongiorno a lei. Da come mi ha descritto il problema, leggendo e rileggendo la sua email, posso solo fare delle supposizioni (e quindi rischiare di prendere i classici abbagli!) perchè non ho alcuna informazione nè sulla ricetta nè su tempi/temperature di lavorazione, impasto ecc. Generalmente si usa una impastatrice a braccia tuffanti per migliorare l'ossigenazione della massa, migliorare l'estensibilità e per evitare il riscaldamento, ma può andare bene anche una spirale purchè non si utilizzi la seconda velocità che incrementerebbe la temperatura della massa. Il problema a mio parere potrebbe essere anche nell'utilizzo di una madre troppo forte o nella formulazione di una ricetta, come si dice in gergo "troppo magra", cioè con una percentuale di burro e tuorli scarsa oppure l'utilizzo di una farina con P/L, falling numberg e W troppo elevato oppure la tipologia di forno. La cottura dovrebbe avvenire a 180°C per circa 50 minuti a tiraggio chiuso ecc. Come può ben comprendere le cause possono essere innumerevoli e senza ulteriori dettagli, sono mortificata ma non riesco ad aiutarla maggiormente. Un saluto cordiale e grazie per essersi rivolto al nostro servizio
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Idratazione infinita e "bravura".
Buongiorno dottoressa, Buon anno. Ultimamente, sto vedendo in giro foto e video di pizzaioli che idratano le farine, con tutta l'acqua presente sul pianeta. A che pro fare impasti così idratati (a meno che non sia teglia o metro) se poi devono essere utilizzati dopo 24/48/72 ore in maturazione, non si rischia un'acidificazione dell'impasto. O solo per moda, con la convinzione di essere più bravi . Grazie
Buongiorno a lei. Ha pienamente ragione, se ne vedono e leggono di tutti i colori soprattutto dai Maestri. L'idratazione di un impasto e quindi la pseudobravura del pizzaiolo di turno, dipendono da tantissimi fattori che variano da caso a caso. In primis occorre dire che i valori di W di una farina non sono tutti uguali anche a parità dello stesso valore, la stessa cosa si può dire per P/L, R/E ecc., e questo è già un fattore importante da considerare. Aggiunga poi la presenza di additivi volontari come acido ascorbico, L cisteina, ma soprattutto glutine secco e il tipo di abburattamento. Consideri inoltre: il tipo di impastatrice, la velocità di impastamento, il disegno del gancio nel caso di una impastatrice a spirale, la presenza del piantone centrale, la concavità della vasca, ecc. Oltre a ciò, non ultima, la temperatura dell'acqua che si sta utilizzando. Detto questo, le do pienamente ragione su tutto; attualmente sembra che se non si raggiungono i valori "moda" o di "pseudoabilità personale" si sia degli incapaci ed incompetenti. Le abilità a mio parere sono ben altre (impastare con qualsiasi impastatrice, con qualsiasi farina ma soprattutto fuori dal proprio ambiente) e non si soffermi su queste piccolezze e gare senza senso. Buon per loro. Con tutto rispetto per questa loro "bravura", a me la vita non cambia assolutamente se al posto di idratare una farina al 100% la idrato al 80! Un saluto cordiale e a disposizione
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GlutenFree. Come meglio sostituire il glutine?
Buongiorno Dottoressa. Avrei un quesito da porLe. Volendo realizzare un impasto senza glutine partendo da farine gluten free "pure" (escludendo i preparati per intenderci), quale secondo lei è la miglior sostanza per sostituirlo? E in quale percentuale mi consiglia di usarla? La ringrazio ancora per la disponibilità, la passione e la professionalità che mette ogni giorno in questa testata.
Buongiorno a lei. Mi scusi ma non esiste una sostanza che possa sostituirlo in quanto è una rete viscoelastica naturale che si forma solo se le proteine insolubili assorbono acqua, modificano la loro conformazione nativa sotto l'azione meccanica dell'impastamento. Diciamo che nei prodotti gluten free si è cercato di sostituire questa rete naturale con idrocolloidi tali da cercare di supplire alla carenza strutturale. Genarlmente le farine più usate, da usare in purezza o in miscela tra di loro in base ai gusti e abitudini, sono la farina di riso, grano saraceno, quinoa, amaranto, miglio, lupini,soia, teff abbinate a amido proveniente da tuberi o da cereali come il mais. A cioò si deve aggiungere la farina di guar, carrube e molte parti fribrose proveniente per esempio dal pisello oppure da psillio, Plantago psyllium (Plantago arenaria, Plantago indica), una pianta erbacea annuale coltivata soprattutto in Iran, India, Pakistan e Stati Uniti d'America oppure additivi provenienti da derivati cellulosici come E463 ecc.Spero di esserle stata di aiuto. Un saluto cordiale e sempre a disposione
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Tecnica del folder
Buongiorno Dott..sa sono un ingegnere civile in pensione nonchè un appassionato da diversi anni di pane, pizza, paste lievitate. Sul web nonchè sui social ci sono sempre video di maestri che spiegano chi una cosa chi l'altra, ma mi stupisco sempre di come questi personaggi alla fine facciano sempre moltissima confusione tecnica e cerchino di insegnarti cose che a me generano sempre moltissime perplessità data la mia curiosità analitica scientifica molto spiccata (deviazione professionale). L'ultimo è stato un personaggio, reputato dai suoi fans "maestro", che ha detto che, all'impasto che stava lavorando sul tavolo, adottava la tecnica del folder. Ho sentito più volte il video e dal mio punto di vista c'è qualche cosa che non è proprio corretto ed ha detto una scorrettezza. E' giusto tecnicamente dire "tecnica del folder" (ammessa e non concessa la storpiatura del termine inglese)? Grazie come sempre per l'impeccabile servizio professionale e congratulazione per la rivista. I suoi libri sono scienza pura per me.
Buongiorno a lei. Prima di tutto grazie per l'immensa stima e per l'apprezzamento rivolto alla nostra testata giornalistica e al lavoro di tutti i miei collaboratori. Tornando al suo quesito, ritengo che la sua curiosità analitica scientifica in questo caso abbia fatto ...centro! Non so a chi si riferisca, ma la cosa sinceramente non mi interessa. Quello che mi preme è proprio sottolineare il fatto che la sua passione, abbinata a cultura specifica, le abbiano acceso un campanello di allarme molto importante e focalizzato la sua attenzione su una terminologia scorretta. Complimenti! In arte bianca, si utilizzano i termini tecnica/metodica/metodo come sinonimi per indicare unicamente una specifica lavorazione compresa tra queste: diretto corto, diretto lungo, indiretto, semidiretto, autolisi (water roux non è altro che una semplicissima tecnica di autolisi a caldo, ma chiamata cosi fa...tutta un'altra scena!) ed eventualmente anche doppio impasto, quindi la dicitura "tecnica del folder" non è assolutamente corretta . Il termine folder deriva dall'inglese to fold = piegare e non è assolutamente una tecnica di lavoro, ma una manualità particolare che si adotta quando si desidera "piegare" l'impasto per aumentarne la forza in termini di formazione di legami inter e intramolecolari tra le strutture proteiche. Si adotta o quando gli impasti sono deboli o quando sono freddi (il freddo aumenta la debolezza della struttura!) Sarebbe stato corretto, da un punto di vista tecnico - scientifico dire: "opero delle pieghe", ma detto cosi non avrebbe fatto...like o audience per dirla sempre in inglese! Congratulazioni ancora. Grazie a lei e sempre a disposizione.
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Amido non rotto in macinazione
Salve dottoressa , ho un dubbio che mi attanaglia , dato che gli enzimi attaccano soltanto le parti d'amido rotto in macinazione ( se non erro una % intorno al 15/20 )e quindi tutti i discorsi di maturazione sono legati a questa % , l'amido rimasto integro e quindi non scisso , che ruolo ha nella panificazione e nella maturazione? E' corretto parlare di digeribilità di un impasto se la maggior parte dell'amido non è attacabile dagli enzimi? Grazie per l'attenzione, buona giornata e grazie per tutto ciò che fa per noi professionisti e non
Buongiorno a lei. L'amido che non è rotto dal processo molitorio non entra nell'immediatezza della tecnologia di processo a meno che non si raggiunga la temperatura di transizione vetrosa o temperatura di gelatinizzazione che per il frumento è circa 55 - 65°C (a questo punto anche i granuli di amido interi assorbono acqua e sono sottoposti azione delle glicosidasi (in particolare amilasi), ma interviene nelle primissime fasi di cottura quando appunto si innalza la temperatura. Quando si raggiungono i 55 - 65°C, i granuli di amido interi assorbono acqua, perdono la loro struttura ordinata e subiscono il processo enzimatico liberando mono, di, trisaccaridi e destrine che interverrano nelle reazioni di Maillard, caramellizzazione e destrinizzazione sulla superficie, mentre all'interno della mollica formeranno la salda d'amido. Le amilasi hanno una temperatura di disattivazione superiore a quella di transizione vetrosa per cui agiscono sia sulle strutture amilacee intere durante la cottura sia su quelle rotte a temperatura ambiente. I processi ai quali lei fa riferimento (maturazione e digeribilità di un impasto) non interessano solo ed esclusivamente l'amido ma tutte le macromolecole presenti nella farina:proteine, lipidi, polisaccaridi non amido, ecc. che sono degradate ad opera degli enzimi endogeni dello sfarinato e successivamente trasformati (aminoacidi compresi) metabolicamente dai microrganismi presenti nella massa. Non è assolutamente corretto affermare che la maturazione di un impasto interessa unicamente i granuli di amido. Un saluto cordiale e grazie.
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Autolisi e impasto pizza: effetti sulla colorazione e sull' estensibilità.
Buongiorno Dottoressa. Le scrivo in quanto vorrei chiederle ulteriori chiarimenti sull’ autolisi, argomento per il quale ho già letto diverse sue risposte ai quesiti posti. Il mio impasto per pizza è un 60% di idratazione ed è composto da farina 00 più 20% di tipo 1, entrambe con p/l 0,5. Tuttavia, non sono soddisfatto del grado di estensibilità della pasta e non vorrei aumentare l’idratazione. Mi piacerebbe sapere se posso adottare il metodo dell’autolisi e quante ore di autolisi mi consiglia. Inoltre, vorrei sapere se l’impasto autolitico debba avere preferibilmente una certa temperatura, in quanto avvio l’impasto con acqua fredda per compensare il riscaldamento della massa prodotto dall’ impastatrice. Infine, le sarei grato se mi confermasse o meno che l’autolisi abbia effetti anche sulla colorazione del cornicione. Spesso riscontro una spiccata colorazione color nocciola sui prodotti dei colleghi che effettuano l’autolisi. Sperando vivamente in una sua risposta, la saluto cordialmente e la ringrazio
Buongiorno a lei. Da quello che leggo nella sua email, le sue farine sono equilibrate per cui non essendo particolarmente tenaci o ricche di parti cruscali, non le consiglio il metodo dell'autolisi. Proceda utilizzando acqua più fredda possibile anche prossima a +1°C, prima velocità (sempre se non è troppo lenta!) dell'impastatrice e una lavorazione indiretta. L'autolisi a caldo può avere effetti sul cornicione, ma quella a freddo dipende molto dal tempo di riposo. La spiccata colorazione nocciola dei prodotti dei suoi colleghi può dipendere da moltissimi fattori compreso l'utilizzo del malto con elevato potere diastasico rispetto al suo, aggiunta di miglioratori, farine con un minor falling number, aggiunta di zucchero o ingredienti che lo contengono ecc. Spero di esserle stata di aiuto. Un saluto cordiale e sempre a disposizione.
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Quale/i possono essere le migliori farine per pizza
Ormai tra farine Bio, macinate a pietra, multicereali, semintegrali, grani antichi,ecc.... è davvero difficile districarci in questa materia... quindi volendo ottenere un buon prodotto pizza di alta qualità... quali sono gli orientamenti che la Dott.ssa Lauri suggerisce...!?
Buongiorno a lei. Con tutta onestà, le devo dire che il suo è un quesito molto difficile. Ritengo che non ci siano fare migliori o peggiori, ma cattivo uso delle stesse da parte degli operatori, forte marketing aziendale, falsi miti e moltissimo terrorismo alimentare a favore del consumo di una farina rispetto ad un'altra. Mi spiego meglio: se devo lavorare con un indiretto e poi opero una maturazione di oltre 72 ore, non saranno indicate le farine provenienti da frumenti di var. antiche, ma saranno ottimali farine (di TIPO 0, 1.2) che abbiamo circa 330W. Personalmente sconsiglio oltre 400W perchè assude, non naturali, additivate volontariamente e "costruite" ad hoc per la richiesta folle di qualche professionista oltrettanto folle. La farina integrale, se ottima per alcune lavorazione, non la consiglio per altre. Nel settore degli sfarinati, si sono creati tanti falsi miti, voluti appositamente per generare confusione, di cui non ultimo il discorso relativo alla macinazione a pietra usata principalmente per un discorso di imponente marketing aziendale, immaginario colletivo di naturalità, ecc., in un settore in cui non ci sono elevatissimi margini di guadagno. Questa tecnica di macinazione è ottima se controllata da un opportuno piano di HACCP, con sistemi moderni, rilevatori ottici ecc. ma quanti mulini che macinano a pietra possono garantire tutta questa sicurezza? Per quanto riguarda la farine provenienti da sfarinati di var. antiche e storiche, queste presentano valori molto bassi di W e seppur ottime possono oggettivamente creare qualche problema tecnico di lavorazione se non si adottano tecniche particolari. In conclusione direi che la qualifica di migliore o peggiore è relativa e solo in funzione di :uso, lavorazione (diretta corta, media, lunga, indiretta ecc.), prodotto, ecc. Spero di esserle stata di aiuto e di aver risposto esaurientemente al suo interessantissimo quesito. Un saluto cordiale e a disposizione
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Gestione pasta madre solida e farina Maiorca
Buongiorno Dott. Ho un quesito per lei: quando debbo utilizzare la pasta madre solida, rinfresco e prelievo la quantità che mi serve, per un impasto per pizza. Lascio fermentare per 6 ore e un' ora prima di inserirla nell'impasto, aggiungo acqua a tem ambiente. es: 125 g di pm solida e 125/200 di acqua della ricetta che poi vado ad inserire nell'imp. Faccio questo per ammorbidire e amalgamarsi meglio nell'impasto. Che ne pensa? E' corretto questo passaggio? l' altra domanda è: conosce la farina di granno tenero siciliano Maiorca? Vorrei utilizzarla per un impasto per pizza. Grazie sempre per la sua disponibilità, complimenti e Buon Natale a tutti.
Buongiorno a lei. Se ha la necessità di usare della pasta madre solida, nel momento del rinfresco giornaliero ne stacchi una parte. Avendone quindi due, una la conserva come di consueto legata, mentre l'altra la avvolga a palla, le faccia un taglio a croce e la introduca in un contenitore stretto e alto, la copra per evitare la formazione della crosta e la conservi a temperatura di circa 28°C per circa 4 ore e cioè fino a quando a cuore non raggiunge i +28°C. Se raggiunge la temperatura a cuore di +28°C dopo circa due ore, spenga la cella e la conservi per le restanti due ore a temperatura ambiente. Trascorso tale periodo, la può utilizzare direttamente nella massa per pizza (senza operare altri rinfreschi!) senza procedere con lo scioglimento in acqua, ma direttamente sulla farina aggiungendo di seguito tutti gli altri ingredienti. Per quanto riguarda il calcolo dell'acqua da aggiungere all'impasto finale, deve sottrarre la quantità già presente nella madre. Invece per il suo quesito inerente la farina var. Maiorca, le rispondo che la conosco molto bene e la lavoro, all'occorrenza, in purezza. E' ottima per qualsiasi impasto non troppo lunghi e soprattutto per gli impasti della pizza purchè non faccia maturazioni superiori alle 28 - 30 ore. Un saluto cordiale e sempre a disposizione
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Farine deboli
Buongiorno Dott. Lauri, ho un quesito: Cosa ne pensa,dell'utilizzo di farine deboli, per impasti pizza, con tempi di maturazione e lievitazione oltre 24 ore? Grazie a lei e cordiali saluti.
Buongiorno a lei. Mi scusi ma il qualificativo "deboli" riportato nella sua email è abbastanza generico in quanto non definisce la scala di valori al quale lei fa riferimento ne tanto meno all'utilizzo specifico. Mi spiego meglio: "debole" può essere una farina 95W cosi come una 220 se utilizzata per maturazioni molto lunghe o prodotti specifici come i panettoni. Nel suo caso specifico per una maturazione e lievitazione oltre le 24 ore, ritengo che non si riferisca a 95W, ma a farine un pochino più forti. Nel caso in cui lei faccia riferimento invece proprio a 95 - 98W confermo che si possono usare, ma con molte accortezze tecniche specifiche data la loro natura reologica. Spero di aver ben compreso il suo quesito, in ogni caso resto a disposizone. Un saluto cordiale
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Pane e pizza: due mondi, un'unica passione
Salve Dottoressa, come puo' capire dal titolo della domanda sono interessato ad acquistare uno dei suoi libri ma non so come fare... i siti che ho visualizzatonon mi danno disponibilità e mi occorrono sue indicazioni per poter fare l'acquisto... Grazie per la sua attenzione e grazie mille per la risposta alla mia precedente domanda del giorno 3 dicembre
Buongiorno a lei. Il libro lo deve acquistare solo direttamente la casa editrice FIP nel Mondo di Messina e inviare una email al presidente Giovanni Mento giovannimento@alice.it oppure contattarlo direttamente su FB dove potrà prendere accordi sia per il pagamento sia per la spedizione. Nel caso in cui non risponda, come mi è stato più volte riferito in questo periodo, mi ricontatti cortesemente in quanto è stato stipulato a suo tempo un contratto editoriale e lui, come casa editrice, ha dei precisi obblighi di legge oppure può semplicemnte aver cambiato email. Mi informo e nel caso, invio immediata comunicazione sulla pagina Fb della nostra testata con il nuovo indirizzo email per l'acquisto. Grazie ancora e scusi il disguido. Sempre a disposizione. Buona giornata
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Panettoni senza di... denominazione di vendita
Buonasera Dott. Lauri ho un quesito un pò curioso o per lo meno vorrei dei chiarimenti in proposito. In questi anni tutti sono diventati "intolleranti" e allergici per cui si sta assistendo a una gara tra i produttori di panettoni a chi li fa senza qualcosa: senza latte, senza uova, senza zucchero, senza burro, senza glutine. Mi chiedo sono ancora panettoni? A parte l'ironia (è rivolta unicamente ai falsi allergici/intolleranti!) vorrei sapere se possono ancora usare la denominazione di vendita "Panettone". Grazie
Buongiorno a lei. Per carità, hanno tutto il mio massimo rispetto le persone con serie e reali (non quelle inventate solo perchè la MODA del momento crea la tendenza e quindi ci si deve sentire TRENDY perchè in caso contrario si è OUT!) problematiche alimentari, oppure filosofie di pensiero e/o religiose per cui giustamente, in questo periodo e non solo, si crea un problema intorno a prodotti tipici realizzati con una certa tipologia di ingredienti. Per i prodotti da ricorrenza come panettone, pandoro, colomba, savoiardo e amaretto il riferimento normativo è il Decreto 22 luglio 2005 nel quale si riporta nell'art. 1 la definizione legale di panettone e la specifica denominazione di vendita. Inoltre l'art. 7 sempre dello stesso Decreto così recita: "1) In deroga a quanto previsto all'art. 1, comma 2, l'impasto base del panettone puo' essere caratterizzato dall'assenza di uvetta o scorze di agrumi canditi o di entrambi.... 3). E' in facolta' del produttore aggiungere al panettone, al pandoro e alla colomba: farciture, bagne, coperture, glassature, decorazioni e frutta, nonche' altri ingredienti caratterizzanti, ad eccezione di altri grassi diversi dal burro..." Inoltre deve obbligatoriamente rispettare le norme di etichettatura riportate nel Reg. UE 1169/2011 (dal 14 dicembre 2016 scatteranno le sanzioni!). Premesso questo quindi, se il prodotto non è conforme al Decreto 22 luglio 2005 come ingredientistica, tipologia di produzione ecc., NON può avere la denominazione di vendita di PANETTONE. Nello specifico se non contiene per esempio burro, oppure uova, ecc. ed è prodotto con olio EVO oppure bevanda di soia ecc., non può pertanto definirsi legalmente PANETTONE, PANDORO, ecc. in quanto tali prodotti sono appunto normati. Non solo ma lo stesso Reg. Ue 1169/2011 in etichetta impone la tabella nutrizionale a sette voci. Possono astenersi da tale obbligo normativo, relativo alla tabella nutrizionale, solo le microimprese come da circolare 16/11/16 del Ministero dello Sviluppo Economico e Salute. Grazie a lei
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Maturazione, proteolisi, carica enzimatica, temperature
Salve Dottoressa Lauri, è ormai da tempo che volevo chiedere consiglio ed è ormai da tempo che rifletto sul fatto di partecipare ad uno dei vostri corsi. Sono un pizzaiolo di pizza napoletana, ma sto optando sempre di più su metodi indiretti proprio grazie ai loro benefici... per fargliela breve le chiedo aiuto per un mio grande punto interrogativo che riguarda la cosiddetta maturazione per gli impasti per pizza con farine con W dai 270 in giù e con cotture di pochi minuti ad alte temperature.... faccio riferimento a questi parametri perché sono i "parametri" con i quali lavoro a temperatura ambiente però da un po' di tempo le mie certezze sul discorso MATURAZIONE sono un po' crollate da quando ho visto su internet un suo video dove lei consigliava di usare metodi indiretti giustamente, ma dove anche consigliava di far maturare qualsiasi tipo di impasto fatto con QUALSIASI farina almeno per 24 ore!
Le mie certezze sono crollate dal momento in cui non sempre si possono avere 24 ore a disposizione con i miei parametri che già le ho esemplificato,se non con l'aiuto del frigo a basse temperature. A quel punto, usando il freddo non dovrei addirittura raddoppiare se non triplicare le ore di maturazione dato il fatto che i principali protagonisti della maturazione sono gli enzimi come le proteasi, le amilasi , le endoxilanasi e le lipasi che raggiungono un alto livello di attività al di sopra dei 40 gradi centigradi e quindi a basse temperature con le quali vengono quasi addormentati a paragone quasi dei saccaromiceti e altri batteri lattici? Mi chiedo perché forzare la maturazione di qualsiasi tipo di farina se pur medio/debole oltre le 24 ore senza tener conto del fattore della temperatura per ottenere una maturazione "soddisfacente". Esistono dei grafici che rappresentano l'attività enzimatica in base alle temperature sugli enzimi da me sopracitati? E per quanto riguarda il discorso delle proteasi attive e proteasi passive, c'è modo di capire anche questo discorso in base alla farina che si utilizza?
Con infinita invidia di ammirazione la saluto e la ringrazio sperando in una vostra risposta che mi sollevi dai miei dubbi... spero di poterla incontrare molto presto. Grazie Dottoressa
Buongiorno a lei. Mi scuso se mi perderò nelle risposte, ma i suoi quesiti sono moltissimi e gli argomenti richiederebbero pagine e pagine. Prima di tutto la maturazione la può fare comunque, indipendentemente dalle proprietà reologiche della farina. Non è funzione diretta come algoritmo della temperatura (raddoppio la temperatura, raddoppio le ore di maturazione, dimezzo la temperatura, dimezzo le ore) ma è un processo biochimico che dipende appunto dalla temperatura (non solo!) ma con andamento variabile in base all'azione enzimatica, microbiologica e ai paramentri reologici. E' vero che, se opta per una maturazione min di 24 ore dovrà operare a temperatura controllata, ma è anche vero che può farla a temperatura di 16 -18 °C per tempi di max 24 ore con percentuali basse di lievito fresco e con farine con W molto basso. Nella sua email ho percepito (mi scuso se ho capito male!) un pò di confusione tra ciò che è la reale azione di un microrganismo (metabolismo ecc.) e l'azione enzimatica di enzimi endogeni presenti negli sfarinati di partenza. Prima di tutto, sfatiamo il mito che a temperature oltre i 40°C si attivano gli enzimi perchè non è vero. L'azione è esattamente contraria! A quelle temperature si crea la disattivazione enzimatica (fitasi comprese!) oltre alla morte dei lieviti. Più si innalza la temperatura più si disattivano gli enzimi, amilasi comprese. Questo è un punto che ci tengo a chiarire, perchè è la base biochimica di alcune tecniche di lavorazione che occorre adottare con sfarinati molto particolari. Le basse temperature esercitano sui microrganismi un'azione batteriostatica mentre le alte battericida e questo è una certezza microbiologica accertata cosi come la disattivazione (denaturazione) dei complessi proteici che svolgono azione enzimatica. Mi scusi se mi sono persa nelle risposte e se non sono stata abbastanza chiara cortesemente riformuli il suo quesito. Grazie a lei per la stima. Un saluto e a presto
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Lecitina di soia
Gentile Dott.ssa, ho letto una sua risposta precedente in merito all'utilizzo di lecitina di soia negli impasti dove spiega l'effetto delle lecitine e consiglia di utilizzarne lo 0,5-1%, max 1,5% sulla farina. Io non l'ho mai utilizzata, ma Le chiedo... visto che pare che apportino solo migliorie reologiche all'impasto, lei ne consiglierebbe l'utilizzo a prescindere? oppure esistono controindicazioni (allergia alla soia a parte)?
Perchè altrimenti messa così parrebbe l'ingrediente miracoloso che migliora qualsiasi prodotto senza controindicazioni e mi chiedo perchè non iniziare ad utilizzarla sempre a questo punto. Grazie mille, cordiali saluti
Buongiorno a lei. Mi scuso se nella mia precedente email ho dato questa impressione, non era certo mia intenzione. Molte volte nella tentativo per email di risolvere un problema non penso alle molte interpretazioni che un lettore, esterno al problema, potrebbe dare alle mie parole. Quel quesito, in tutta onestà in questo momento non me lo ricordo, ma poco importa. In ogni caso, nella tecnologia di produzione, la lecitina di soia, non è assolutamente un ingrediente miracoloso, ma svolge l'azione di emulsionante con tutti i vantaggi dell'utilizzo di un emulsionante in un impasto in cui è presente sia la materia grassa sia l'acqua. Il suo uso ha una finalità e non è "a prescindere". Inoltre, secondo l'attuale normativa Allegato II del Reg. UE 1169/2011, la soia e i prodotti a base di soia sono considerati sostanze che provocano allergie e intolleranze (allergeni ) per cui vanno evidenziati in etichetta. Scusandomi per l'incomprensione, le invio i miei più cordiali saluti. Grazie
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Problema di lievitazione con panettone
Buongiorno,da qualche tempo uso solo lievito naturale per i miei prodotti derivati dalla panificazione. Mi ha dato buoni risultati sia col pane sia con prodotti quali panini al burro, brioches, cornetti, baba, etc... Ho voluto cimentarmi per la prima volta col Panettone utilizzando una ricetta classica. L'impastamento del primo impasto non mi ha dato nessun problema e alla fine la massa si presentava bella soda, asciutta e incordata. La temperatura dell'impasto finito mi è parsa non molto alta. Metto in cesta (questa forse era troppo grande? un impasto di 5kg risultava alto circa 1 dito) pongo a lievitare in un banco riscaldato che ha una temperatura media di circa 28/29°C (è qui che faccio lievitare con successo pane e altro) e qui iniziano i problemi. La massa in 12 ore non si è mossa per nulla. prima di buttare via tutto, decido di alzare la temperatura e la porto fino a 37/38°C di media. in questo caso la massa è più che raddoppiata in circa 4 ore. Concludo il lavoro con il secondo impasto, spezzo, formo, metto in fascia e lascio lievitare a temperatura ambiente, circa 24°C. In circa 8 ore le pagnotte arrivano vicino al bordo. cuocio e raffreddo. lo sviluppo del prodotto cotto è perfetto e ha anche un ottimo sapore. Mi chiedo allora come mai la massa non sia lievitata fino a quando non ho alzato la temperatura della lievitazione a livelli così alti (come già scritto circa 38°). Grazie
Buongiorno a lei. Mi scusi ma per email è molto difficile cercare di trovare una risposta al suo quesito, in quanto ci possono essere state una serie di cause e concause che hanno evitato al suo prodotto di aumentare il volumne. Tanto per darle un'idea; non conosco la forza della madre; una debolezza eccessiva potrebbe sicuramente essere stata una delle cause. Di principio i batteri lattici amano una temperatura molto più elavate dei lieviti arrivando ad un optimum di circa 40°C. La grandezza e larghezza del contenitore hanno contribuito anch'esse; possibilmente stretto e alto tale da contenere però tutta la massa fino al triplicare del volume. Un altro fattore potrebbe essere stata la temperatura della massa a fine impastamento. Indicativamente dovrebbe essere circa 28 - 30°C. Purtroppo per email posso solo fare supposizioni e usare il "condizionale", ma non penso di essermi discostanta tanto dalla verità. Un saluto cordiale e sempre a disposizione
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Impasti alternativi, autolisi e qualche problema
Buonasera dottoressa. Un'informazione. in pizzeria dove lavoro, panifico diversi tipi di impasti con cereali differenti,avena,orzo ecc ...tutti integrali, tutti con un taglio al 50/60%. Nei corsi per panificare le seguenti farine mi hanno inseganto a fare l' autolisi prima alla farina alternativa, con tutta l'h20 e trascorsi 30/40 minuti aggiungere la farina che poteva essere una 0 o 00 e chiudere l'impasto. Un giorno per curiosità ho inserito le due farine ,fatte ossigenare , inserito l'acqua tutta e lasciato in autolisi per 30 minuti. Mi sono trovato molto meglio e con un'impasto piu facile da lavorare. Rispetto al procedimento insegnatomi. La mia domanda è: cosa cambia facendo l'autolisi,prima ad una parte della farina e poi trascorso il tempo autolitico, aggiungere la farina 0, invece di fare l'autolisi a tutte e 2 insieme le farine? Cosa cambia con l'inserimento di tutta l'acqua e invece del 55%come da lei descritto nei precedenti quesiti. Spero di essere stato chiaro. Grazie
Buongiorno a lei. Mi scusi ma non riesco a comprendere assolutamente perchè solo sulla farina alternativa integrale o per lo meno ...qui si apre una questione molto importante. Molti consigliano il metodo autolitico sempre, ma in realtà questo non è indicato sempre e a "prescindere". Ci sono sfarinati che per loro natura NON sopportano assolutamente neanche dieci minuti in autolisi, ma questo non lo dice mai nessuno e purtroppo dopo ... gli impasti hanno problemi perchè si sfaldano, non si incordano ecc. Se taglia gli sfarinati che mi ha citato al 50% con una tipo O e OO, a mio modestissimo parere, non ha assolutamente la necessità di fare un' autolisi cosi lunga. Bastano 10 minuti. Aggiunga solo una parte di acqua e poi la rimanente. L'impasto è molto più lavorabile e potrà aggiungere la quantità successiva di acqua a filo e in base all'assorbimento dello sfarinato. Tale assorbimento non è costante per cui può rischiare, se aggiunge tutta l'acqua all'inizio, di non avere assolutamente standardizzazione dell'impasto: una volta è morbido, molle ecc. Chiaramente questa è la mia modestissima opinione. Le consiglio di verificare con qualche sempliccisma prova. Un saluto cordiale e sempre a disposizione
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Inserimento del sale in un impasto da pane.
Salve dottoressa, mi auguro che la domanda non risulti troppo generica, poiché son certo che la risposta che cerco possa variare in base alla farina che viene utilizzata. E' una questione in cui mi sono imbattuto diverse volte nell'arco degli anni, ma non ho mai ricevuto una chiara delucidazione scientifica a riguardo, né nei libri, né nei forum, né dall'esperienza empirica. Le fornisco qualche elemento per valutare, forse, in modo più agevole: impasto a mano, in genere frumento tenero, duro, segale e farro monococco (ovviamente non tutti insieme); uso una madre solida di tenero tipo 1, imbastardita con cruschello e una percentuale intorno al 30 % di altri cereali (in base al prodotto che voglio ottenere).
1.Cosa comporta partire dalla farina e cosa dall'acqua?
2.L'inserimento del sale, prima, durante o negli ultimi minuti di lavorazione, come incide nel prodotto finito o nella fermentazione? Ma soprattutto, incide in maniera evidente?
La ringrazio in anticipo per il tempo che vorrà dedicarmi.
Buongiorno a lei. Il problema non è che la domanda sia o meno troppo generica è che ci sono diverse domande in un solo post. Di per sè non sarebbe un problema, ma la risposta al singolo quesito è molto complessa e richiede spazio. Mi scuserà quindi se tralascio la risposta al primo quesito e focalizzo l'attenzione solo a quello del sale. Di norma, il sale si aggiunge dopo la formazione del glutine in quanto si sfruttano le sue proprietà igroscopiche dopo l'assorbimento di acqua da parte delle proteine insolubili presenti nella farina. Si aggiunge all'inizio solo quando si lavora con impasti al 44% di idratazione sulla farina per far si che riesca a sciogliersi durante la fase di impastamento e non restino i cristalli indisciolti nella mollica. Il sale aggiunto all'inizio evita l'ossidazione dei pigmenti naturali della farina poichè è un forte antiossidante, portando alla formazione di una mollica più scura rispetto al colore della stessa se il sale fosse stato aggiunto a metà impastamento. Di norma non si aggiunge mai alla fine perchè si rischia che parte dei cristalli non si sciolgano e diano problemi non solo in una non regolare fermentazione della massa, ma in cottura potrebbe generare le antiestetiche macchie brune superficiali. In linea di massima l'azione del sale sull'impasto qualsiasi (pane, pizza, prodotti dolci da forno ecc.) non è solo quella di salare ma svolge: azione antisettica e di rallentamento della fermentazione, azione antiossidante sui pigmenti della farina, azione igroscopica non solo sulla massa prima della cottura, ma influenzando anche la shelf life in base alle condizioni di UR e di temperatura in cui è conservato il prodotto, azione diretta sulla colorazione della mollica e della crosta, azione sulla formazione del glutine, ecc. Mi auguro di aver risposto esaurientemente al suo quesito e mi scusi nuovamente. Grazie per la pazienza, un saluto cordiale e a disposizione.
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Rosetta soffiata
Salve dott.ssa Lauri e grazie per questa opportunità che da a noi tutti di poter avere i suoi preziosi consigli. Le scrivo per avere delucidazioni sulla procedura da seguire per le Rosette soffiate. Io utilizzo una farina 300w e seguo la ricetta quasi tutte biga (farina, 47% acqua e 1% lievito compresso) con maturazione 18 ore, aggiunta del 10% di farina, 2,3% di sale sul totale della farina, 1% di malto. Impasto per 8 min. In I veloc. e 2 min. In II velocità con impastatrice a spirale. Dopo un riposo di 15 min. Preparo pastoni di 4.4 kg e dopo un riposo di circa 30 min. Passo il pastone alla spezzatrice esagonale e timbro a Rosetta. Dopo che il panino riposa per circa 40 minuti lo inforno. Nonostante tutti gli sforzi impiegati tuttavia non sono soddisfatta dal prodotto finale che risulta con troppa mollica. La prego se può di darmi dei consigli. Grazie
Buongiorno a lei. Premetto che il soffiato è uno dei pani più difficoltosi da seguire per email perchè le variabili in gioco sono numerosissime a partire dalla gestione della biga, le proprietà reologiche della farina, ecc. e pertanto mi scuso se non riesco a risponderle con precisione. Leggendo e rileggendo più volte la sua email, avrei molti quesiti da porle, ma non potendo avere risposte immediate, cerco di darle solamente dei piccoli suggerimenti. Usi una 330W per fare la biga e un riposo di 18 - 24 ore a +16 - 18°C. Impasti con una percentuale di acqua indicativamente del 55% in totale. Dopo l'impastamento, se l'impasto non è troppo grosso, cilindri qualche minuto. Dopo aver avvolto i pastoni, unti e coperti, li lasci riposare fino a quando non "spanciano" lateralmente. Dopo aver stampato chiuda su se stesse le forme e le capovolga. Lasci fermentare a 28°C per circa 40 minuti e poi inforni con abbondante vapore sia prima sia dopo l'informanto. La cottura dovrebbe avvenire in 18 min a 240°C. Nella speranza di esserle stata di aiuto, le invio i miei più cordiali saluti.
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farina per pasta fesca o secca
Buongiorno Dottoressa, innanzi tutto la ringrazio per la sua gentile disponibilità, le chiedo, in una farina per pasta (fresca o secca) che ha valori w 284, p/l 1,23, proteine 12, sviluppo 1,8 minuti, stabilità 19 minuti quanto influenza la stabilità sulla cottura del prodotto finale? grazie
Buongiorno a lei. Sono mortificata ma purtroppo mi occupo solo di arte bianca in un ambito di panificazione e la tecnologia della "pasta" non rientra nelle mie conoscenze specifiche e dettagliate. Mi scuso immensamente per questa mia mancanza e resto comunque sempre a Sua disposizione per quesiti tecnici inerenti il mio settore specifico. Grazie ancora per la preferenza accordatami. Un saluto cordiale
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Mix di farine
Buongiorno vorrei sapere se anche Lei sostien che il W e il P/L delle farine si può calcolare in maniera matematica, ad esemplio due farine una con w400 e una con w200 unite in misura del 50% danno vita ad un prodotto con w pari a 300 e p/L ? inoltre vorrei chiederle cosa ne pensa del metodo del calcolo del falling number che prevede LN=6000/FN-50 come formula base grazie
Buongiorno a lei. Qualche volta, il valore di W, se non è tipico della/e varietà di frumento, può essere calcolato per così dire a tavolino miscelando o come si dice in gergo “tagliando” due quantità stabilite di farine con valori di forza differenti e noti. In linea di massima si parte da una quantità finale e definita di farina che si vuole ottenere e dal valore di W che si desidera raggiungere, calcolando le rispettive due quantità di farine a W noto che occorre miscelare per ottenere la quantità e il W finale della farina. Per fare ciò si procede in linea di massima con la cosiddetta regola della croce. E' chiaro che poi questa miscela deve essere valutata all'alveografo per ricavare i valori effettivi di P/L ed eventualemnte confermare indicativamente il W ottenuto dai calcoli. Mi scusi, ma non riesco a capire cosa sia LN=6000 FN50. Il metodo del Falling number o valutazione dell'indice di Hagberg è una analisi strumentale cosi come la valutazione fatta all'amilografo. Cortesemente potrebbe essere un pochino più chiaro? Grazie e buona giornata.
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Creazione pasta madre
Salve.Per avere la pasta madre in coltura liquida è necessario per forza creare prima la pasta madre? Oppure è possibile ottenerla direttamente? e se SI come?
Grazie
Buongiorno a lei. Per una questione di tempo, sicurezza di coltura sarebbe opportuno partire già da una pasta madre solida o quant'altro (in acqua, legata ecc.) e poi passarla nella forma liquida. Nel caso in cui volesse partire e creare una coltura da "zero", personalmente le consiglio di partire con uno starter microbico (yogurt per esempio) e dopo opportuni rinfreschi giornalieri e trascorsi almeno 15 - 20 giorni, quando la coltura si è stabilizzata microbiologicamente, cioè ha creato la coltura dominante, la può usare. Un saluto cordiale.
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Autolisi e idrolisi
Gentile Dottoressa buongiorno, cercavo conferma della teoria secondo la quale quando si fa un processo di autolisi quindi impasto solo acqua e farina per un tempo più o meno lungo, si attiva anche il processo chimico di idrolisi, in poche parole credo di aver capito che autolisi e idrolisi compaiono assieme in una situazione di questo tipo, allora quale è il termine più adatto? oppure sono entrambi giusti per indicare un periodo di riposo es di 3 ore con impasto acqua e farina? e ancora, l'idrolisi non avrebbe bisogno di un catalizzatore? grazie spero riesca a chiarirmi questo punto. Cordiali saluti
Buongiorno a lei. Si, purtroppo ancora confondono i due termini che con tutto rispetto, non possono assolutamente essere confusi da un punto di vista scientifico soprattutto quando si parla di reazioni biochimiche e tecniche di lavoro che sono adottate in Arte Bianca. Ribadisco che NON sono la stessa cosa, NON sono sinonimi e NON identificano la stessa situazione. La tecnica dell'autolisi, come appunto dice la parola è una metodica/tecnica di lavoro che è adottta (non sempre, ma solo all'occasione!) per aumentare la morbidezza, la lavorabilità di un impasto, ridurre i tempi di impastamento, migliorare l'estensibilità della massa, il volume del prodotto ecc., in conseguenza a degli squilibri di P/L presenti negli sfarinati di partenza. In linea di massima si adotta il metodo dell'autolisi quando si è in presenza di un eccesso di tenacità o quando si lavora con macinati interi per migliorare l'assorbimento di acqua da parte della parti cruscali presenti. All'interno di questo processo, che può avvenire in un tempo compreso tra 15 minuti e 12 ore in base alle esigenze operative. All'interno di questa massa di acqua e farina lasciata riposare avvengono una serie di reazioni biochimiche tra le quali la maggior parte sono reazioni in cui le macromolecole sono scisse, i loro legami rotti per azione enzimatica grazie all'acqua presente, in molecole più semplici. Queste reazioni sono tutte reazioni di idrolisi (da non confondersi con l' idratazione) e sono tutte reazioni inverse al processo della condensazione in cui i monomeri si uniscono per formare un polimero e liberano molecole di acqua. In parole semplici: l'autolisi è un tecnica operativa, l'idrolisi è una reazione biochimica che avviene indipendentemente dalla presenza dell'operatore. Si sente molto spesso dire: "Ho fatto la reazione di idrolisi!" No, assolutamente, l'operatore non ha fatto nulla! Queste sono tutte reazioni biochimiche che avvengono in presenza enzimatica (dopo l'attivazione degli enzimi specifici per esempio per effetto di: temperatura, pH, ecc.) e per azione dell'acqua. Nel caso di un impasto da pane, tali reazioni avvengono senza l'ìimpiego, intesa come aggiunta volontaria, di catalizzatori come può avvenire in altri situazioni di chimica organica o inorganica. Un saluto cordiale
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Utilizzo di farine integrali in pizzeria
Salve dottoressa Lauri, volendo usare in miscela sia farine di grano tenero e duro tipo integrale, con la tecnica dell'autolisi mi suggerirebbe di inserirle assieme o è preferibile usare uno dei metodi indiretti (poolish) della farina? Anticipatamente la ringrazio e voglia gradire i miei più cordiali saluti.
Buongiorno a lei e grazie per il suo quesito. Dato la tipologia di sfarinati , personalmente le consiglio di adottare tecniche di lavoro molto lunghe: bighe di 24 ore e maturazione di minimo altrettante ore. La tecnica dell'autolisi a freddo (con entrambi gli sfarinati!) se da una parte favorisce l'assorbimento di acqua dei componenti delle parti cruscali (polisaccaridi non amidi) migliorando la lavorabilità, non permette, dall'altra, la disattivazione dei fitati in un termpo cosi corto. Nel caso invece adotti la tecnica dell'autolisi a caldo peggiora la situazione in quanto disattiva le fitasi. A mio parere l'unico modo per avere un prodotto nutrizionalmente elevato è quello di lavorarlo con lavorazioni indirette più lunghe possibili. Può fare una autolisi a freddo corta (10 minuti) per la parte delle farine usate in miscela che aggiunge nel rinfresco, ma questo è solo un modo per migliorare la lavorabilità degli stessi sfarinati e null'altro. Grazie a lei e sempre a disposizione
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PANE CON PASTA MADRE
Salve Dottoressa, avrei una domanda in merito al pane con la pasta madre. Sono un panificatore e preparo un pane con farina di tipo 1, 25 % di pasta madre solida, 70 % di idratzione, 3 % olio evo. mi capita a volte di affettarlo e tostarlo, ma ottengo delle fette dure e molto vetrose. Mi può dare qualche consiglio? Grazie per la sua disponibilità.
Buongiorno a lei. Mi scusi ma nella sua email leggo solamente la ricetta e pertanto mi è impossibile rispondere dato le innumerevoli variabili in gioco. Cortesemente le chiedo di essere molto più dettagliato e preciso sia nella descrizione della lavorazione sia nei paramentri fisici. Mi scusi, ma è già abbastanza difficoltoso rispondere per email "senza vedere" il prodotto, ma solo con la ricetta è praticamente ...impossibile! La ringrazio per la sua gentilezza e scusandomi nuovamente, le invio i miei più cordiali saluti.
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Idratazione della farina
Buongiorno,quando negli impasti si parla di idratazione della farina, lei ritiene corretto includere l'olio nel calcolo dei fluidi che vanno a concorrere nell'idratazione totale o preferisce considerare solo l'acqua? Grazie
Buongiorno a lei. Se si parla di idratazione totale di un impasto crudo (intesa come quantità di acqua totale) occorre tener presente gli apporti di acqua di tutti i componenti la ricetta compreso quindi l'olio. E' chiaro che l'apporto di acqua negli olii vegetali è praticamente nullo. Se invece si riferisce solo alla percentuale di acqua calcolata sulla farina, in quel caso non si parla di idratazione totale, ma solo di idratazione sulla farina. Anche in questo caso, l'olio non contribuisce all'idratazione. Un saluto cordiale
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Conservazione pasta madre in frigo
Buon giorno dott.ssa, volevo chiederle, conservando una pasta madre sia solida che in forma liquida in frigo, in che % di madre e farina conviene effettuare i rinfreschi per conservarla al meglio. Per quella solida la rinfresco ogni 4 giorni con queste dosi: 100 madre 50 acqua e 110 farina; invece per la liquida 100 madre 100 acqua 100 farina. Riguaro le farine dei rinfreschi, per la solida sto utilizzando una tipo0 forte, invece per la liquida utilizzo la tipo2 buratto. Grazie.
Cordiali saluti
Buongiorno a lei. La pasta madre liquida, anche se la conserva in frigorifero, le consiglio di non rinfrescarla ogni quattro giorni. Il rapporto madre/acqua/farina che mi ha citato (mi riferisco alla liquida) è il rapporto di mantenimento quotidiano massimo 24 ore. Le consiglio di rinfrescarla tutti i giorni o al massimo, se conservata a +4°C, a giorni alterni. Chiaramente se non la utilizza, ma la rinfresca solamente, deve buttarne via una parte. In ogni caso lo sviluppo microbico e i metaboliti prodotti dai LAB a +4°C o a t.a. sono completamente differenti soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo di acido acetico/lattico. Per quanto riguarda invece la solida, il rapporto madre/farina sempre 1/1, ma aggiunga solo 45% di acqua sulla farina. Anche in questo caso il rapporto madre/farina da lei citato è quello di mantenimento quotidiano. Se per necessità, deve rinfrescare la madre non quotidianamente, utilizzi questo rapporto madre/farina 1/2, mantenimento in frigorifero e rinfresco dopo 3 gg al massimo. Per quanto riguarda la farina da utilizzare e secondo le sue personali esigenze di mantenimento, le consiglio una 330W. Nella speranza di esserle stata di aiuto le invio i miei più cordiali saluti.
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Impasto pizza e sequenza di inserimento ingredienti
Buongiorno dottoressa, faccio riferimento ad un quesito precedente in cui veniva trattato l'argomento; orbene, nella sua risposta si dice di cominciare, fatta salva la sequenza descritta, con il solo 50% dell'acqua prevista in ricetta e di aggiungere il restante solo in un secondo tempo... in questo modo però l'impasto è diventato estremamente grumoso e non sono più riuscito a recuperarlo neanche aggiungendo l'acqua residua e lavorandolo in 2° velocità... dove ho sbagliato?
Buongiorno a lei. Il problema dipende soprattutto dall'assorbimento di acqua dello sfarinato e dalla sua tipologia (macinato intero, con parti cruscali ecc.) Ribadisco che si aggiunge il 50 - 55% di acqua presente nella ricetta all'inizio e poi il restante dopo pochi minuti poco alla volta fino a concludere, per impasti molto idratati, con l'aggiunta "a filo". Mi scusi, ma per email e con cosi poche informazioni non riesco a capire dove lei abbia sbagliato, ma sinceramente le consiglio di riprovare. Grazie e sempre a disposizione.
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Farine e additivi
Gentile dottoressa, avrei due domande da porre in merito alla non obbligatorieta della dichiarazione in etichetta di alcuni additivi. La norma vale anche per le farine biologiche? La seconda domanda è relativa ad una farina W350 che trovo in vendita nei comuni supermercati. La confezione riporta "farina senz'altro" e io la ritengo di qualità superiore rispetto ad altre farine "manitoba" lì presenti, per lo più addizionate di glutine. Penso infatti che non tener fede alla dichiararazione di non contenere additivi, seppure leciti, sarebbe una frode, ma è così?
Infine, nel suo articolo lei fa riferimento ancora una volta all'importanza della maturazione, ma io non ho chiaro un suo aspetto. Supponiamo che oggi acquisti un certo quantitativo di farina al giusto punto di maturazione. Questa farina avrà una data di scadenza, da pochi mesi a un anno o più. Che succede a questa farina se viene utilizzata in data prossima alla scadenza? In altre parole, la maturazione ideale dura per tutto il periodo consigliato o per uno più breve rispetto alla scadenza? È utile conservare in frigo o sottovuoto una farina che si prevede di non poter consumare subito? Mi scuso se ho posto domande sciocche e la ringrazio per la sua disponibilità e un eventuale risposta.
Buongiorno a lei. La legge non fa distinzione tra farina biologiche e no, ma si suppone(???) che per le farine definite bio non sia prevista nessuna aggiunta volontaria. Per quanto riguarda il suo secondo quesito ribadisco che non c'è certezza e la legge permette l'aggiunta di additivi volontari alle farine. Per quanto riguarda la conservazione delle farine, questa deve sempre essere operata in un luogo asciutto e fresco. Il frigorifero, a livello casalingo, può essere utilizzato soprattutto nei mesi estivi in cui non ci sia altra possibilità di condizionare gli sfarinati. Personalmente non consiglio la conservazione sottovuoto, perchè lo sfarinato è un prodotto che necessità ossigeno, circolazione di aria e "respira". La maturazione naturale avviene all'interno del sacco ed è inclusa nel periodo che va dall'insacchettamento fino alla data di scadenza riportata. Più ci si avvicina alla data di scadenza, più in linea di massima, si può andare incontro ad un fenomeno definito con il termine "gessata", ossia la farina per abbassamento del valore del pH, eccessiva acidità, attivazione enzimatica, presenta una struttura eccessivamente debole che si traduce in uno scarso assorbimento di acqua e quasi nell'impossibilità di eseguire le fasi successive dall'impastamento alla fermentazione e cottura finale.
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Idrolisi dell'amido
Gentile Dott.ssa Lauri , sono un apprendista pasticcere e le volevo chiedere se gentilmente può spiegarmi in dettaglio come avviene il processo di idrolisi dell'amido per poi ricavarne quei due zuccheri in pasticceria spesso usati : il Glucosio o Destrosio e il Fruttosio. So che viene utilizzato anche il Saccarosio per ricavare i suddetti zuccheri. Cosa cambia nel processo? E perchè a volte l'estrazione viene fatta dall'amido e a volte dal Saccarosio? Grazie.
Buongiorno a lei. Prima di tutto il fruttosio non si ottiene dall'idrolisi dell'amido ne tanto meno il saccarosio. Il saccarosio è un disaccaride composto da glucosio e fruttosio, mentre il fruttosio monosaccaride (levulosio) è contenuto naturalmente nella frutta e nel miele ed ha un potere edulcorante pari a 1.5 volte il saccarosio. Per quanto riguarda il dettaglio del processo dell'idrolisi dell'amido lo può trovare nel numero di ottobre 2016 della nostra testata in argomenti - tecnologia Scuola di Arte Bianca n. 13. Zuccheri differenti hanno proprietà diverse e quindi hanno usi e finalità distinte. La proprietà principale è quella di soddisfare la ricerca del sapore dolce e contemporaneamente di attenuare i sapori amaro e acido in certi prodotti. Glucosio (destrosio) e fruttosio, zuccheri riducenti, favoriscono la colorazione della superfcie di un qualsiasi prodotto cotto attraverso la caramelizzazione e le reazioni di Maillard, inoltre controllano la cristalizzazione indesiderata del saccarosio nelle glasse oltre al fatto che il glucosio, in gelateria, permette di rendere più morbide le masse, alterando il punto di congelamento dell’acqua senza far percepire eccessivamente il gusto dolce della formulazione. Si, si può ricavare direttamente in fase di ricettazione, dal saccarosio aggiungendo cremor tartaro. Generalmente si ricava dal polisaccaride per idrolisi enzimatica per una questione di resa e di costi. Un saluto cordiale.
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