Hai un problema tecnico di produzione nel settore dell'arte bianca (pane, pizza, grandi lievitati, prodotti da forno in generale)? Il tuo prodotto ha un difetto? Hai bisogno di consigli? Esponi il tuo problema e Simona Lauri ti risponderà nel più breve tempo possibile.
Poolish
Salve dottoressa le volevo chiedere...il poolish dovrebbe essere utilizzato solamente per farine che necessitano di un assorbimento maggiore, macinate a pietra,grani antichi, con p/l non equilibrati, ecc. La mia domanda é: se utilizzassi questa metodica con una farina equilibrata 330<W<340 con p/l 0,4-0,6 è possibile comunque utilizzarla? Quali vantaggi otterrò rispetto ad un diretto con maturazione di 3 giorni.La ringrazio in anticipo.
Buongiorno a lei. La metodica indiretta con poolish non è una metodica nata per correggere squilibri reologici ne tanto meno è legata alle caratteristiche reologiche delle farine e/o alle varietà, tipologia di macinazione, cultivar ecc.,ma unicamente in base alla tipologia di prodotto che si vuole ottenere (il pane ciabatta, francese sono differenti dal pane mantovano, pugliese, ecc.). E' una metodica importata direttamente dalla panificazione, la quale, a sua volta, l'ha importata dalla panificazione francese, la quale a sua volta forse (???) dalla Polonia. In ogni modo, la tecnica si ottimizza con impasti di pani, pizza in pala, pizza in teglia che per loro natura prevedono un quantitativo di acqua sulla farina maggior del 60 - 65% per incrementare la leggerezza e la friabilità di crosta. La caratteristica del metodo consiste nel fatto che la farina e l'acqua sono 1:1 e la quantità che varia è unicamente quella del lievito compresso fresco variando da un minimo di 0.1% (sulla farina) per 12 - 16 ore di riposo a +18 - 20°C fino ad un massimo di 2,5 % per 2 ore di riposo. Chiaramente, in base alle ore di stoccaggio (maturazione del poolish prima del suo utilizzo), utilizzerà farine con W differenti 220<W<330. Le caratteristiche reologiche della farina nel rinfresco dipendono anch'esse dalle ore di stoccaggio e dalla metodica utilizzata (diretto lungo di 24 - 48 ecc. ore, diretto corto nel pane) A mio parere, le varietà denominate "grani antichi" non sono certo ideali per questa tipologia di lavorazione. Come le dicevo prima, la metodica si ottimizza per impasti con % di acqua sulla farina maggiore del 65% , ma la scelta di optare per una lavorazione piuttosto che un'altra è unicamente sua. Non si può a priori optare per un metodica in assoluto migliore di un'altra poiché, oltre al fatto di essere prettamente soggettiva, è legata a troppe variabili. Nella speranza di averle risposto esaurientemente e ringraziandola per il suo quesito, le invio i miei più cordiali saluti.
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Fermentazioni spontanee (tali vengono definite )
Dottoressa buongiorno, avrei una domanda su un argomento attuale , nel "vario mondo" dell'arte bianca e molto controverso. Vedo molti corsi, convegni , riunioni su questo argomento, se pur ci sia chi afferma che siano ...fuori o ai limiti di legge. Da un punto di vista legale , lei cosa ne pensa ? Da un punto di vista tecnico e scientifico possiamo definirle ..."proprio spontanee"? Visto e considerato che , a quanto visto dai video che circolano sui social , viene usato uno "starter" di frutta , lasciata maturare in acque, per un certo numero di ore? Allora il termine scientifico "spontanee" è corretto , alla luce di tutto questo? Nella " colture starter" del lievito naturale, non viene già usata frutta matura o yogurt e acqua con anidride carbonica "gassata"... eppure non si parla di "fermentazione spontanea ". A questo punto sono molto confuso sull'argomento e sinceramente non so più cosa pensare. Sono sicuro che lei mi possa aiutare a chiarire , da un punto di vista tecnico-scientifico, legale e porre sicuramente maggiore chiarezza sull'argomento. Spero di essere chiaro. Le invio i miei complimenti per questa parte della rivista a noi dedicata, la ringrazio per il tempo, la gentilezza e la pazienza che ha per rispondere ai nostri quesiti ma soprattutto per la professionalità. So a chi sto rivolgendo queste domande. Complimenti ancora e distinti saluti.
Buongiorno a lei. Prima di tutto non bisogna assolutamente confondere la gestione della madre con l'attuale metodica denominata" tecnica delle fermentazione spontanee"; Chi lo fa, soprattutto tra i professionisti, penso che non abbia capito molto né di madre né di "spontanee" né di "microbiologia" né di vantaggi che apporta la madre al prodotto finale né di studi/letteratura scientifica di anni sulla madre/sourdough né... né.... soprattutto se ancora confonde il microbiota della madre con quello delle "spontanee" . In letteratura c'è moltissimo a proposito della madre soprattutto per quanto riguarda la stabilizzazione della coltura pre e post rinfresco, oppure che spiega e dettaglia le specie microbiche presenti nelle madri artigianali, utilizzando una importante casistica di anni relativa allo sviluppo e/o selezione naturale del microbiota che ricordo dipendere tra l'altro dal tempo necessario prima dell'utilizzo che, mediamente, partendo dallo sviluppo della coltura dalla sola farina ed acqua, senza aggiunta di starter, è circa di 20 giorni. Non parliamo poi della immensa letteratura scientifica che dettaglia i vantaggi sul prodotto finito in termini di IG, shelf life, ecc. ecc. Detto questo, ritornando al suo quesito, personalmente mi sono espressa in più di una occasione sottolineando la pericolosità per il consumatore, non solo attraverso le pagine della testata http://www.quotidiemagazine.it/archivio/2017/numero-5-maggio-2017/prodotto-finale-alterazioni-e-bombaggi-tutto-dipende-dai-microrganismi-simona-lauri-ota-milano (solamente l'ultimo maggio 2017), ma attraverso testate nazionali insieme all'ispettore Piero Nuciari https://www.spaziohoreca.it/edicola/qualitaly-giugno-luglio-2017/ . Ricordo a tutti i professionisti che tale tecnica è nata sull'onda mediatica falsa della disinformazione, delle fake e del marketing in cui si volevano proporre ai consumatori i prodotti come pane, pizza "senza lievito" , "senza lievito aggiunto" proprio perché qualche "luminare scientifico" aveva detto che i problemi legati al gonfiore gastrico e addominale erano causati dal lievito S. cerevisiae. A certi personaggi non è sembrato vero buttarsi spontaneamente in queste tecniche divulgando il falso dei prodotti realizzati senza lievito/senza lievito aggiunto come se non ci fosse sulle matrici usate. (la produzione di gas nelle bottiglie è la prova lampante, scientifica ed innegabile!) Gli OSA prima di tutto devono sottostare al Reg CE 852/04 e successive integrazioni/rettifiche, ma prima del 2004, tra l'altro, in Italia c'era il famoso D.Lgs 155/97. Le riporto quindi la casistica delle leggi violate non ultimi gli art. 8 DPR 502/98, gli art. 14 - 16 della Legge 580/67 dogma da 50 anni nel settore della panificazione di cui i citati articoli ancora in vigore. DL 206/05 art. 20 e 21, DL 145/07 art. 2 – 3, Reg Ue 1169/11 premessa 16, art. 3 – 4 – 7- 36, Reg. Ue 1924/06, non escludendo art. 439 , 444 e seg. del C.P. Le ricordo inoltre che l'attualissimo D. Lgs 231/17 riguarda proprio le discipline sanzionatorie per le violazioni degli articoli del Reg Ue 1169/11. Ogni panificatore, pizzaiolo artigiano si pone davanti alla legge come meglio crede. Grazie a lei e buona giornata
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Malto
Buongiorno Dott.ssa Lauri cosa ne pensa dell’aggiunta del malto all’interno dell' impasto? grazie
Buongiorno a lei. L'aggiunta di malto diastasico in un impasto (spero che lei si riferisca ad un impasto di pane e pizza!) a mio parere è importante, ma non conditio sine qua non e la quantità, in termini di valore espresso in grammi, è in funzione proprio del suo potere diastasico. Non si può assolutamente generalizzare ed esprimere una quantità unica fissa e sempre uguale per tutti gli impasti e tutte le situazioni,ma soprattutto l'azione del malto non deve essere confusa con l'azione di un qualsiasi disaccaride aggiunto. In linea di massima, quando si utilizza in panificazione, dipende da alcuni fattori tra i quali: Falling number della farina, cereale, prodotto finale che si vuole ottenere, lavorazione, temperatura di cottura ecc. Nel caso in cui lei si riferisca invece all'impasto della pizza (classica, pala, teglia) ritengo che sia più consigliabile, soprattutto se le lavorazioni sono indirette e prevedono uno stoccaggio dei panetti oltre le 24 ore a 4°C. Chiaramente deve usare il malto non diastasico se lavora con cereali che per loro natura hanno un bassissimo falling number o Indice di Hagberg o problematiche inerenti a un'intensa attività enzimatica. Spero di aver risposto esaurientemente e nel ringraziarla per aver posto il quesito, le auguro una buona giornata.
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Bagnetto
Buongiorno Dott.ssa avrei un quesito: Durante il bagnetto la pasta madre sale subito a galla è normale? Grazie per la sue gentilezza e per il servizio.
Buongiorno a lei. La tecnica del bagno non è una metodica di mantenimento che valuta l'attività metabolica di una madre per cui se non sale in un determinato periodo di tempo (ore) presenta difetti. Il bagno è una tecnica che si adotta unicamente in casi particolari, quando la madre presenta dei difetti e pertanto non deve essere adottata come metodica routinaria di gestione ma solo saltuaria. E' chiaro ed altrettanto normale che, se opero un bagno/lavaggio ad una madre che gode di ottima salute sia microbiologia sia reologica sia biochimica, nel momento in cui introduco le fette in acqua, queste galleggino. Caso opposto invece se la madre presenta problematiche reologiche e sensoriali. Questo è lo scopo del bagno: far si che il lievito di pasta acida naturale si possa riprendere quando le condizioni di conservazione, stoccaggio ecc. evidenziano problematiche sensoriali e reologiche. Spero di aver risposto esaurientemente al suo quesito. Grazie a lei per essersi rivolto al nostro servizio.
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Cosa capire dal bagnetto
Buongiorno,vorrei sapere cosa si può capire dal bagnetto della pasta madre.Come correggere i difetti calcolando il tempo che ci mette a risalire. Grazie
Buongiorno a lei. Grazie per il suo quesito che mi da la possibilità di correggere alcune disinformazioni (sempre dal mio personale punto di vista!) che circolano in rete. Prima di tutto il bagnetto è una tecnica di correzione che deve essere adottata solo ed unicamente se la madre presenta problematiche importanti di acidità pungente (valutabile sensorialmente come nota acetica molto marcata) abbinata a un colore non più tanto bianco o che non richiami il colore dello sfarinato utilizzato, sfaldamento di struttura ecc.e non come operazione routinaria come molti fanno e/o pensano. E' una operazione per correggere un difetto estremo che capita quando le madri non sono rinfrescate con regolarità e/o sono per cosi dire "dimenticate" con i conseguenti risvolti microbici e tecnologici negativi. Attraverso il bagno non si va a valutare il tempo di galleggiamento, ma solo ad operare una sorta di "rinvigorimento" metabolico in situazioni estreme cioè quando i microrganismi si trovano in una particolare fase di crescita che nella fattispecie è rappresentata dalla fase stazionaria/morte di alcune cellule. Parliamo invece di tempo di galleggiamento quando si adotta la tecnica di gestione della madre in acqua (una delle quattro tecniche che possono essere scelte come mantenimento oltre la legata, la liquida e la libera). In questo caso specifico di gestione in acqua, dopo il rinfresco, la madre è posta in un contenitore stretto e alto con una quantità di acqua pari a circa 3 volte il peso il suo peso; quando si introduce va sul fondo del contenitore poi in base alla produzione di gas operata dall'attività metabolica del microbiota si sposta verso l'altro e galleggia. Il tempo necessario al suo galleggiamento è valutato arbitrariamente e aleatoriamente come indice della "bontà" della madre. Grazie a lei per il quesito e per essersi rivolta al nostro servizio.
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Diffenze su impasti in funzione delle idratazioni
Salve dottoressa, vorrei porgerle una domanda in merito alle differenze che comporta l'aggiunta di più o meno acqua. Spesso mi è capitato di leggere pareri contrastanti al riguardo, alcuni sostengono che l'aggiunta di più acqua sia un beneficio e porti risultati superiori perché strettamente legata ad una migliore digeribilità del prodotto, grazie ad una maggiore attività degli enzimi, altri sostengono che invece essa comporti l'impossibilità di ottenere una corretta cottura, che sarebbe molto più controproducente in termini di digeribilità. Sono queste le uniche differenze? È quindi vero che con la maggiore aggiunta di acqua (e una cottura corretta) si otterranno risultati migliori che con un impasto
con scarsa idratazione? In che termini e perché (volume, shelf life, sapore)? La ringrazio, distinti saluti
Buongiorno a lei. Il quantitativo di acqua in un impasto determina non solo un incremento dell'idratazione totale ma, in base alla temperatura dell'acqua stessa, regola il processo reologico, metabolico, microbiologico, biochimico e chimico fisico della massa accelerandolo o diminuendolo in base alla temperatura. In ogni caso la digeribilità è un complesso di fenomeni che non può essere imputato al quantitativo di acqua o per lo meno la sua implicazione è marginale. E' implicito che lavorare impasti con % di acqua differenti sulla farina, implica metodiche produttive (tempi, riposi, ecc.) e tecniche manuali leggermente differenti che si ripercuotono anche sulle temperature e tempistiche di cottura. Questo non vuole dire assolutamente che si ottengono prodotti con caratteristiche peggiori/migliori. Ringraziandola per la stima, le invio i miei più cordiali saluti.
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Maturazione impasto pizza
Salve dottoressa...è risaputo che la maturazione avviene giá nel momento in cui acqua e farina sono in contatto,ma potrebbe spiegare in modo dettagliato...la differenza tra la maturazione che avviene avendo l impasto a temperatura ambiente e quando viene posto a temperatura controllata. La ringrazio in anticipo.
Buongiorno a lei. Con il termine "maturazione" si intendono tutte le azioni biochimiche che avvengono all'interno di una matrice , in questo caso farina, impasto ecc. L'insieme delle innumerevoli reazioni enzimatiche, chimiche, chimico - fisiche, fisiche, ecc. che avvengono, interessano tutti i macro e micro componenti la struttura ; temperatura, UR, presenza di ossigeno, ecc. svolgono un ruolo dominante nell'intero e molto complesso sistema delle reazioni. Tale processo parte dalla farina tal quale nel momento in cui è stoccata dopo la macinazione e prosegue quando nello sfarinato è aggiunta acqua, ecc. Nello sfarinato tal quale tale insieme di reazioni porta alle evidenti: variazione di colore, aumento attività enzimatica, variazione dell'acidità totale e del pH, modifiche a carico della componente lipidica, proteica e saccaridica, modifiche delle proprietà reologiche, ecc. E' un complesso di reazioni che avvengono indipendentemente dalla presenza dell'operatore e dalla presenza del lievito aggiunto proprio perché sono reazioni in cui sono implicati fattori interni ed esterni chimici, fisici ed enzimatici naturali ed insiti nella matrice. Le principali sono reazioni catabolizzate da proteine con funzione enzimatica e pertanto l'attività di detti enzimi è influenza da fattori come appunto la temperatura, il pH del mezzo, il grado di acidità totale, la presenza di microelementi ecc. Variando la temperatura, il processo, inteso come reazioni, resta lo stesso, ma la velocità in cui avvengono le reazioni è differente proprio per un discorso di chimica - fisica, energia di attivazione, biochimica ecc.; abbassando il valore di temperatura l'intero processo è rallentato cosi come è rallentato il processo metabolico dei microrganismi presenti nella massa. Spero di aver chiarito ogni suo dubbio. Grazie a lei e buona giornata.
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Idratazioni...infiniteeee
Dottoressa,salve. Avrei bisogno di sapere delle risposte , riguardo un argomento di cui si parla e si vede spesso sui social network. Vedo sempre più, nell'ambito dell'arte bianca, prodotti (esclusi i lievitati da ricorrenza ) con idratazioni nettamente superiori al 75-80% di idratazione totale. Da un punto di vista tecnico e scientifico, che utilità,bisogno o quant'altro si può ottenere in tal senso.Spero di essere chiaro con la domanda. Nell'attesa di una Sua risposta, porgo cordiali saluti e i miei complimenti per la Sua professionalità e competenza.
Buongiorno a lei. Grazie per il suo interessante quesito, per la stima e i complimenti che estendo a tutta la redazione. Io sarei un pochino più precisa, non è nell'intero settore dell'Arte bianca, ma unicamente tra alcuni pizzaioli professionisti. Mi spiego meglio; nell'ambito della panificazione, ogni tipologia, di pane ha una sua specifica idratazione totale e non è possibile modificarla apprezzabilmente, se non per un leggero differente assorbimento da parte di un lotto di farina rispetto ad un altro, perché si passerebbe da una specifica tipologia di pane ad un'altra, pezzature escluse, per esempio da un pasta dura (mantovano, crocetta ferrarese, miccone ecc.) a un pasta bastarda/molle (tartine, francese, ciabatta, pugliese ecc.). Non solo, ma a parità di tempo/temperatura di cottura, pezzatura, tipologia di ingredienti, ecc. l'art. 16 della Legge 580/67 fissa il limite massimo di umidità nel pane che a sua volta è funzione della quantità di acqua aggiunta nella ricetta. Per quanto riguarda i prodotti da forno dolci/salati sono tutte tipicizzazioni locali tradizionali e, anche per questa linea di prodotti, non è possibile far variare apprezzabilmente l'idratazione totale (sarebbe compromessa la shelf life a parità di prodotto, condizioni operative e pezzatura), così come per i grandi lievitati come panettoni, colombe, veneziane, ecc., in cui il Decreto 2005 e successivo aggiornamento del maggio 2017,impone i cosiddetti "limiti". Come dicevo, il problema riguarda solo alcuni (per fortuna!) pizzaioli professionisti che a mio avviso misurano la loro abilità tecnica/conoscenza specifica unicamente sulla "idro", confondendo inoltre, il valore dell'"idro totale" con la quantità di acqua aggiunta sulla farina. Ora, dal mio personalissimo punto di vista, è unicamente una guerra di social/mediatica e una vera e propria moda/competizione senza senso, assurda, senza offesa per nessuno, proprio perché la capacità di assorbimento di acqua di un impasto è funzione di tantissime variabili tra le quali, solo per citarne alcune: temperatura dell'acqua, tipologia di impastatrice, disegno della vasca, caratteristiche reologiche della farina, assorbimento di acqua dello sfarinato, presenza di sostanze grasse, percentuale di sale, velocità di impastamento ecc. e pertanto si possono ottenere ottimi risultati, a parità di impasto; sia che sia idratato all '80%, perché più di così tecnicamente non è possibile, sia che sia idratato al 90 - 95%. Se la competenza e le abilità di un professionista pizzaiolo si misurano unicamente sul valore dell'idratazione dell'impasto, beh... mi sa che... Un saluto cordiale
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Impasto con biga
Salve dottoressa vorrei chiederle un consiglio e magari se va bene il modo in cui opererò in un impasto dove utilizzerò circa il 30% di biga con una farina 00 W390 p/l 0,6, mentre nel rinfresco utilizzerò una tipo 1 W290 p/l 0,4-0,6. La biga sarà posta a 18°C per 22-24 ore. Dopo il rinfresco, l' impasto maturerà a 4 gradi per circa 72 ore per poi uscire a TA 5-6 ore prima del servizio. La mia domanda è: .l utilizzo del 1% di lievito in tal caso è buono ovvero utilizzerò 40g ?..è come mix ci siamo penso che in queste percentuali starò intorno ai 320 come W. In tal caso la espongo la ricetta che utilizzerò: sarà un 65% di idratazione con biga al 30%...è imposterò così nel rinfresco utilizzerò circa 1700g di farina a litro circa..ipotizzando che impasto 8 litri...farò cosí 5800g di biga, nel rinfresco utilizzero 9600 g di farina, 7 litri acqua..440g di sale e 390g di olio..cosa ne pensa?..la ringrazio in anticipo.
Buongiorno a lei. Una farina 390W per fare la biga è eccessiva usi al massimo un 320<W<330. Non mi è chiaro se subito dopo il rinfresco fa una puntata in massa di qualche ora a t.a. oppure se introduce immediatamente a t.c.Mi scusi, ma non riesco a comprendere assolutamente a cosa si riferisca l'1% di lievito: nella biga, nel rinfresco, sulla farina o sull'acqua? Cortesemente non ho fattori di calcolo per cui non posso sapere se sono giusti 40,0 g di lievito se non ho i dati precedenti soprattutto la quantità di farina. Non avendo riportato la quantità di farina 390W , mi è impossibile risalire ai valori di W della miscelazione. Non riesco a comprendere inoltre come ha calcolato il 30% di biga perchè 5800 g di biga su 9600g di farina di rinfresco sono circa 60%. Potrebbe cortesemente essere un pochino più chiaro nella specifica dei calcoli. Grazie a lei per la sua gentilezza e per essersi rivolto al nostro servizio. Un saluto cordiale e a disposizione.
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ancora "maturazione in frigo"
Salve Dott.ssa, la ringrazio per le importantissime delucidazioni che mi ha fornito circa il mio quesito sulla presenza di zuccheri in un impasto maturato in frigo in confronto ad uno lievitato a temperatura ambiente. La disturbo nuovamente perchè in realtà la mia principale curiosità era sul fatto che lei consiglia sempre una maturazione in frigo di 2-3 giorni per la pizza e volevo capire quali benefici potrebbe avere tale metodo in un impasto come il mio che, come le avevo spiegato, è realizzato con una tecnica più utilizzata in panificazione che non in pizzeria. Le riformulo quindi la mia domanda augurandomi di non abusare troppo della sua pazienza: Quali benefici può dare una ulteriore maturazione in frigo in un impasto per la pizza realizzato con 90% di biga classica (come da scuola Lauri, 24 ore a 20 gradi con farina non stabilizzata, tipo1 W320 + segale), oltre ad una migliore estensibilità del panetto? Ho sempre ritenuto il mio impasto eccezionale dal punto di vista della digeribilità, fragranza, sapore (che anche da freddo mantiene otimne caratteristiche), ma sono rimasto un po' spiazzato dal suo consiglio di fare SEMPRE una maturazione in frigo ed è per questo che vorrei prima di tutto capire se è possibile migliorarlo ulteriormente.
Grazie ancora per la sua disponibilità, Paolo
Buongiorno. Mi scuso per la non chiarezza e la ringrazio per la "scuola Lauri", ma non ritengo di aver fatto nessuna scuola ma di aver dato sempre e solo consigli sulla mia personale esperienza pratica e teorica. Proprio perché deriva dalla panificazione, deve adattare leggermente il metodo alle esigenze della pizzeria che sono orientate ad un prodotto con caratteristiche e tempistiche differenti. In ogni caso con 90% di biga (cultura con inoculo di 1% di S. cerevisiae) se non cerca di rallentare la fase della fermentazione a +4°C per ulteriori altre 24 - 48 ore rischia di avere un impasto "passato" rispetto allo stesso conservato a t.a. e per lo stesso tempo soprattutto se l'impasto contiene farina di segale per le motivazioni insite nelle caratteristiche identificative della specie botanica. Un saluto cordiale
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Maturazione in frigo sempre "Consigliabile per la pizza" ?
Salve Dottoressa,in passato abbiamo già avuto modo di confrontarci per alcuni problemi tecnici, la seguo sempre e ho letto un paio dei suoi splendidi libri. Sono un panificatore con un'esperienza trentennale e ritengo di avere una buona competenza in materia, anche se più pratica che non teorica. Da alcuni anni mi sono improvvisato pizzaiolo avviando una nuova attività dove ho trasferito le mie conoscenze nella lievitazione del pane anche negli impasti per pizza. Ho sempre lavorato con altissime percentuali di biga classica, dal 75 al 100% di biga realizzata con Farine rigorosamente naturali max 320W, 1% di lievito fresco, 45% idro - 24 ore di maturazione a 18-20 gradi, aggiungendo nel rinfresco anche piccole quantità di pasta acida e un poco di malto, per un totale di circa 30 ore di lievitazione. La soddisfazione personale data dal riscontro ottenuto dalla clientela è enorme ma leggendo una risposta che ha dato in questa rubrica mi sono sentito un po' spiazzato. Mi riferisco a quando ha detto che per gli impasti della pizza lei ritiene indispensabile una maturazione di 2-3 giorni in frigo. Ho sempre ritenuto la maturazione in frigo inutile (per il pane) e anche un po' dannosa per la salubrità del prodotto a causa di un maggiore apporto di zuccheri rapidamente assimilabili dall'organismo, una conclusione a cui sono giunto autonomamente, probabilmente sbagliando, notando come la crosta di un prodotto maturato in frigo fosse nettamente più scura (+ colore = + zuccheri). Quello che adesso vorrei capire è quali errori ci siano nelle mie convinzioni, perché un prodotto come il mio, che ritengo essere estremamente digeribile (uso farine tipo 1 a cui aggiungo anche una piccola percentuale di Segale integrale), debba necessitare di una maturazione in frigo? O forse lei si riferiva ad impasti per pizza con metodo diretto? Al di la di una migliore estensibilità del panetto, quali altri vantaggi può dare una lunga maturazione in frigo ad un impasto come il mio? Ringraziandola infinitamente per il suo impegno le porgo i miei più cordiali saluti
Buongiorno a lei. La tecnica del freddo (fermalievitazione) non è ASSOLUTAMENTE dannosa né da un punto di vista tecnico né da un punto di vista di salubrità per il consumatore. Questa rientra nelle informazioni/disinformazioni create appositamente dai fautori del "senza fermalievitazione" per sminuire/ contrastare questa tecnica, ma non vi è alcun supporto scientifico che avvalori tale affermazione. Occorre solo prestare attenzione alle temperature e ai tempi delle fasi, perché si può solo incorrere in difetti di crosta (vetrosità o formazione abbondante di microbolle sottopelle) se non si imposta correttamente ciascuna fase e si modifica leggermente la lavorazione. Il quantitativo di zuccheri che è utilizzato dai microrganismi è sempre lo stesso perché la concentrazione iniziale (senza aggiunta volontaria di altre sostanze zuccheri) deriva dalla frazione 9 - 11% di amidi danneggiati dal processo della macinazione e non aumenta man mano che si aumenta la fase della maturazione anzi la concentrazione diminuisce perché catabolizzato dai microrganismi. La maturazione (intesa come catabolismo enzimatico dei macronutrienti) avviene sempre sia che operi a t. a. oppure a +4°C e non dipende né da lei né dalla presenza del S. cerevisiae, altri microrganismi, metodica, ecc., ma unicamente dall'attività, che a sua volta è funzione di determinate condizioni chimico - fisiche, degli enzimi presenti ed avviene comunque. Inoltre, non confonda assolutamente le due tipologie di prodotto, pane e pizza, che in alcune fasi per esigenze produttive (forma, presenza di mollica e dimensioni) mostrano delle differenze, oltre al fatto che un prodotto che contiene farina di segale mostra una colorazione molto più marcata rispetto allo stesso prodotto senza segale in conseguenza della mancanza disattivazione del complesso delle amilasi presenti nella segale che agiscono sui granuli di amidi durante la cottura. Il freddo impartisce anche debolezza alla struttura (presenza di glutatione ecc.) e questo ha una implicazione sul colore oltre ai fattori appena citati. Grazie a lei e buona giornata
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Sale marino integrale o iodato
Buon giorno dottoressa e complimenti a lei e a tutto lo staff. In una sua recentissima risposta consiglia l'uso di sale marino integrale, ma leggendo sul sito del Ministero della Salute si consiglia invece l'uso del sale iodato. Mi interessava quindi capire la ragione di questa sua preferenza. La ringrazio anticipatamente e porgo distinti saluti.
Buongiorno a lei. Le rispondo da tecnologo alimentare che produce quotidianamente un alimento che deve essere consumato da tutti (patologie a parte!) e cerca di utilizzare un sale con un ridotto apporto di sodio e non da medico che deve avviare una campagna di sensibilizzazione contro la carenza di iodio. L'aggiunta di iodio nel sale è fatta unicamente per contrastare il fenomeno della iodiocarenza e del "gozzo endemico" in popolazioni o situazioni che si sono rivelate critiche per gli esseri umani impossibilitati ad assumere questo micronutriente con la dieta o perché, alcuni studi effettuati, in determinate localizzazioni geografiche anche italiane, hanno rilevato essere zone particolarmente a rischio di iodiocarenza. Torniamo al solito discorso, l'alimentazione deve essere molto varia, corretta, ricca di vegetali, frutta, legumi e in linea di massima rispettare quelli che sono i dettami della cosiddetta piramide alimentare. La sua domanda precedente era riferita al sale in arte bianca e pertanto la mia risposta verterà unicamente su questo punto di vista. Ribadisco che il programma FIPPA - Ministero della Salute 2010, denominato "mezzo sale", nacque per contrastare particolari patologie del benessere come l'ipertensione, ridurre il rischio dell'infarto del miocardio, ecc.e consigliava la riduzione dell'apporto di sale inteso come - sodio - nel pane, nel rispetto di una dieta iposodica. Il progetto non riguardava l'aggiunta di iodio, ma la riduzione del sodio; in ogni caso il quantitativo di sodio nel sale iodato è molto confrontabile con il valore rilevato nel sale di salgemma. In panificazione, unicamente nel pane, il quantitativo di sale è compreso tra 1.8 - 2.2 (sulla farina) come media nazionale tenendo conto della presenza di tipicizzazioni senza sale. Nella pizza invece, i pizzaioli lavorano con il 3,0 % di sale sulla farina oltre ad utilizzare topping molto sapidi. La scelta dell'utilizzo del sale marino integrale riguarda unicamente il naturale ridotto apporto di sodio rispetto al salgemma o allo iodato. Le ricordo che il pane è solo uno dei tanti alimenti e una dieta varia e consapevole impone di prestare attenzione al contenuto di sale, sodio, iodio, micro e macronutrienti, ecc. in tutti e ribadisco tutti i cibi, senza criminalizzazioni e/o esclusioni di sorta. Grazie e buona giornata.
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Test Chopin su farina integrale.
Buongiorno dott.ssa Lauri. Leggo nel web cose come "il W di un grano", "W 300 di una farina integrale", la mia domanda è la seguente: si può, ha senso eseguire il test di Chopin su una farina integrale, la presenza della crusca non falsa il risultato? Ringrazio Cordialmente.
Buongiorno a lei. Le frasi da lei riportate non hanno alcun senso, non solo ma sono ERRATE da un punto di vista scientifico. W, P/L, R/E sono parametri che valutano le caratteristiche reologiche di un corpo (non a caso la scienza in questione è la Reologia che studia la deformazione dei corpi per effetto di una sollecitazione meccanica) e mai e poi mai si applicano ad una "polvere" tal quale a meno che, a questa "polvere" (sfarinato) non si aggiunga acqua in proporzioni stabilite/fissate, si avvi il processo del mescolamento (impastamento) e si formi una struttura. Le caratteristiche meccaniche di tale massa sono poi valutate attraverso strumentazioni specifiche che rivelano il grado di deformazione,estensibilità, elasticità, tenacità dell'impasto in quanto massa soggetta alla deformazione. Ora, già di per sé, la strumentazione e la metodica adottate (alveografo, farinografo, estensografo) mostrano dei limiti da non trascurare uno su tutti la quantità ( in ml ) di acqua da aggiungere fissata e stabilita dalla procedura che non tiene conto, tra l'altro, dell'assorbimento variabile di acqua da parte dello sfarinato in questione; molti risultati in termini di P/L , R/E risultano "falsati"; se da un lato, la quantità di acqua è fissata, dall'altro l'assorbimento da parte della farina non è costante per cui, in parole povere, l'impasto può risultare tenace quando magari non lo è. Detto questo ... le lascio immaginare se utilizzassi nello stesso strumento, sempre con la stessa quantità di acqua fissata, con la stessa procedura standardizzata, relativa alla valutazione reologica di uno sfarinato tenero, una farina integrale o ancora peggio un macinato intero. Le scorrettezze scientifiche dette per business/marketing non hanno più limite, non solo, ma se ripetute e ripetute durante i corsi ed amplificate utilizzando i megafoni mediatici come i social, diventano molto presto verità. Grazie a lei e sempre a disposizione
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La colomba non vola.
Salve dottoressa Lauri, Sono un panificatore e posseggo un panificio da tre anni.
Per Natale e Pasqua ho sempre realizzato panettoni e colombe affinando le ricette nel corso del tempo con risultati più che soddisfacenti. Quest'anno, per motivi che dopo più di un mese di prove non riesco a capire, non riesco ad andare oltre il primo impasto, poiché, nonostante dopo il terzo rinfresco del lievito madre questo triplica nel tempo previsto e la sua acidità è superiore ai 4.8 di ph, il primo impasto non accenna a crescere se non dopo un notevole numero di ore in più previste dalla ricetta. Rispetto all'anno scorso non ho cambiato metodologia, farina, temperature, né ingredienti (uova, zucchero e burro), eppure nonostante ripetuti tentativi e seguendo con rigore ogni passaggio, il risultato rimane invariato. Elenco dettagliatamente ogni fase:
Farina 00 (W 390, p/l 55) a 20° circa
Acqua a 30°
- primo rinfresco:
Farina 00
Acqua 45 %
Triplica in 3 ore e mezzo
- bagnetto:
Acqua a 35°, 1g/l zucchero (10 minuti nonostante il lievito galleggi fin da subito)
- secondo rinfresco:
Farina 00
Acqua 40 %
Triplica in 3 ore e mezzo
- terzo rinfresco:
Farina 00
H2O 45 %
Triplica in 3 ore e mezzo
- primo impasto colomba:
1440 g Farina 00
360 g Acqua T° A, + 50 g
650 g zucchero
880 g burro
880 g tuorli di uova fresche
720 g pasta madre
Procedimento:
(Zucchero e acqua insieme, lievito a fette, farina, 700 g di tuorli)
15 minuti in planetaria con gancio a uncino, velocità medio/bassa.
(180 g di tuorli, 50 g acqua)
10 minuti per assorbire l'aggiunta di questi ultimi ingredienti, + altri 10 minuti per inglobare il burro in tre mandate.
Impasto chiuso a 28 °
5 minuti di fermo macchina.
Passaggio sul piano di lavoro, divisione spia e sosta di altri 10 minuti.
Pirlatura e passaggio in mastelli a 27° circa.
Ore previste dalla ricetta per triplicare 12-14.
-----> Ore effettive (punto critico/errore) 19-24 <-----
Nelle prime 12 ore l'impasto risulta pressoché immobile, e soltanto nelle successive 7-13 arriva a triplicare.
Mi auguro di averle dato tutti gli elementi per valutare la situazione e potermi suggerire una soluzione al problema.
La ringrazio in anticipo per il tempo.
Buongiorno a lei. Non entro nella specifica della ricetta perché ogni artigiano ha la sua anche se personalmente preferisco avere un "bianco" come primo impasto. In ogni caso leggendo e rileggendo più volte la sua email ho compreso che (a parte le classiche cantonate che si possono prendere in questo caso perché sono alla cieca e non vedo la madre) il suo problema potrebbe essere insito nella estrema debolezza della madre. La debolezza, a mio modesto parere, è dovuta al bagno che lei fa tra i rinfreschi e soprattutto alla temperatura dell'acqua. Prenda la sua madre e ne aumenti assolutamente la forza facendo un rinfresco (NO bagno!) 1:1 e aggiungendo 2g/Kg di saccarosio nel rinfresco. La leghi, la lasci a 22 - 25°C e il giorno dopo operi il primo dei tre rinfreschi (sempre 1:1 e con il 44% di acqua) distanziati di quattro ore l'uno dall'altro, senza operare assolutamente il bagno tra un rinfresco e l'altro mantenendo a cuore una temperatura di 28 - 30°C non oltre. Dopo il "bianco" che dovrebbe triplicare in 10 - 12 ore, operi l'impasto. Finito l'impastamento lasci riposare in massa a 30°C per circa un'ora, staglio e ulteriore riposo di circa 50 minuti a +30°C e poi lavorazione come di consueto. Un saluto cordiale e mi faccia sapere. Grazie a lei
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Temperatura finale impasto
Buongiorno Dott.ssa, le rinnovo i complimenti per la professionalità e la competenza, voleva sapere perché e' così importante chiudere gli impasti ad una certa temperatura, che succede se in un impasto ho una temperatura finale di 20-25-28 gradi?e se supero i 30 gradi?grazie
Buongiorno a lei. Prima di tutto grazie per i complimenti che estendo a tutta la redazione. Tornando al suo quesito, nel settore della panificazione, la temperatura finale dell'impasto, a fine impastamento, è determinante ed è funzione del quantitativo di acqua, che a sua volta determina la tipologia di impasto: pasta dura, bastarda o molle. E' consigliabile avere una temperatura non superiore ai 23°C per gli impasti di pasta dura in cui si deve ridurre al minimo il riscaldamento e i riposi (forza della massa) proprio per non incorrere in problematiche successive di strappi durante i passaggi in macchina. All'estremità opposta, troviamo gli "impasti molli" definiti tali quando la percentuale di acqua usata (calcolata sulla farina) è maggiore del 65 - 70%. Per tali tipologie, mi riferisco al pane, la temperatura a fine impastamento dovrebbe essere compresa tra i 27 e i 29°C, in quanto si avviano immediatamente i processi metabolici soprattutto fermentativi da parte del S. cerevisiae. La caratteristica positiva ed identificativa di detti prodotti è quella di avere una mollica con alveoli abbondanti e di grosse dimensioni; temperature di massa più fredde impartirebbero debolezza eccessiva alla struttura e causerebbero un rallentamento delle attività metaboliche nella stessa unità di tempo. Grazie a lei per il quesito e sempre a disposizione.
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Reazione di maillard
Gentile dottoressa se in un impasto indiretto con 30%di biga e 0,7% di estratto di malto calcolato sulla farina della biga, dopo 24 ore a TC mi caramellizza subito. Devo aumentare la maturazione, o la lievitazione ? mi spiego meglio, se sono gli zuccheri semplici a caratterizzare questo processo per ridurlo devo dare modo ai lieviti di consumare quei zuccheri che il processo di saccarificazione ha messo a loro disposizione. O sbaglio spero di essere stato chiaro un saluto con immensa stima .
Buongiorno a lei. Generalmente la percentuale di malto è calcolata sul totale della farina cioè sulla farina utilizzata per la preparazione della biga e su quella del rinfresco; non solo ma la sua quantità varia in base al fatto che sia malto in pasta o in farina (farina maltata) proprio per le differenti unità Pollach dello stesso. Più sono elevate più deve ridurre la quantità usata. Oltre a ciò tenga presente che gli stoccaggi della massa a +4°C per 24 ore hanno la tendenza a "colorare" maggiormente il prodotto proprio per l'azione diretta del freddo sulla massa stessa. Personalmente le consiglierei di prestare attenzione alle unità Pollach del malto ed eventualmente, se la metodica, le proprietà reologiche e la gestione lo permettono, aumenterei lo stoccaggio di altre 24 ore. Grazie a lei e buona giornata
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Senza lattosio
Buon giorno, avendo un intollerante al lattosio in casa, utilizzo spesso prodotti delattosati. A tale proposito volevo sapere se, oltre che alle differenze organolettiche, l'utilizzo di questi prodotti negli impasti (latte e burro in primis) può richiedere delle differenze sostanziali alle ricette eseguite con prodotti tradizionali. La ringrazio anticipatamente. Cordiali saluti.
Buongiorno a lei. Al suo quesito risponde direttamente la Dott.ssa Elsa Cugola maestro assaggiatore ONAF: "Gentile lettore, la delattosazione come processo comporta l’eliminazione dello zucchero lattosio, per additivazione dell’enzima lattasi. La conseguenza organolettica più vistosa è l’incremento della nota dolce. Per questa ragione eventuali formulazioni realizzate con prodotti delattosati devono tener presente di questo aspetto dovuto al processo. A titolo del tutto personale ritengo che i prodotti delattosati siano al gusto più stucchevoli: si nota una dolcezza intensa e duratura - se comparata con l’analogo prodotto con lattosio- a scapito della autenticità del prodotto e della nota lattica." Grazie per essersi rivolto al nostro servizio e restiamo a disposizione.
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conoscenza delle farine ai clienti
Buongiorno dottoressa. Ultimamente sto facendo uso dei cereali minori e vedo che la gente gli apprezza. Pero' mi piacerebbe far conoscere alla gente i valori di queste farine e cioè perché se consumate costantemente danno dei benefici. Il mio problema è che non riesco a trovare alcun documento o libro che spieghi in modo esaustivo quali sono i loro benefici. Potrebbe essere così gentile da potermi indirizzare su qualche tipo di documento o libro dove io possa trovare questo tipo conoscenza per far sapere alla clientela che cosa mangia? Grazie
Buongiorno a lei. In letteratura, anche su internet, può trovare diverse pubblicazioni scientifiche in proposito, ma si aspetti due filoni di pensiero molto netti; alcuni autori sono a favore delle varietà antiche/storiche, altri invece contrari. In ogni caso entrambi i filoni allegano, a supporto delle loro tesi, argomentazioni scientifiche, ma concordano sul fatto che la quantità di proteine di dette varietà antiche/storiche sia confrontabile con quella delle varietà moderne anche se il valore di W della massa si attesta indicativamente a valori inferiori a 100. Grazie a lei e buona giornata
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Pizza in teglia
Buonasera Dottoressa,complimenti per il suo lavoro é davvero brava.
io faccio una pizza in teglia preparando un poolish con farina 340 W per circa 16-18 ore. Passato questo tempo faccio l'impasto aggiungendo una farina 210-230 w. e con pochissimo lievito di birra ( 1 grammo) Faccio puntare per 40 minuti e metto in frigo a 4°gradi per 24 ore. Passato questo tempo tiro fuori l'impasto dal frigo, faccio le palline faccio riposare e dopo circa tre ore le stendo in teglia. faccio lievitare a 20° gradi per altre 24 ore e poi inforno con precottura. I risultati non mi convince perchè le pizze si presentano con delle bolle sia sotto la pasta ( tipo fori) che in superficie dove sono anche evidenti piccolissime bollicine di colore bianco. A cosa sono dovute queste piccole bolle? faccio presente che nell'impasto finale aggiungo anche il malto. L'idratazione e circa al 70%.Potrebbe darmi qualche consiglio per migliorare il mio impasto.Grazie Buon lavoro. Un saluto
Buongiorno a lei prima di tutto la formazione della microbolle superficiali è un problema che interessa unicamente gli impasti che subiscono uno stoccaggio a temperatura controllata, con una fermentazione lenta e duratura, un marcato abbassamento del valore del pH ( che non rappresenta il valore dell'acidità totale!) e una elevata idratazione proprio per la maggior solubilità dei gas in acqua fredda che, sottopelle, per effetto della coalescenza e dell'espansione in cottura creano le microbolle oltre chiaramente alla presenza di "abbondante" acqua fredda. Il suo prodotto rientra in queste caratteristiche e pertanto è un pochino difficoltoso risalire per email alla causa esatta. In ogni caso il primo punto sul quale focalizzerei l'attenzione è proprio sul tempo di maturazione del poolish che a mio parere è eccessivo anche se lei non ha riportato nella sua email nè il quantitativo di lievito nè il valore della temperatura di stoccaggio : massimo 12 ore di stoccaggio con una farina 310<W<330 con una percentuale di lievito fresco sulla farina dello 0,1% e stoccaggio 18°C. Rileggendo la sua email, lei riporta il valore in quantità di lievito aggiunto senza fare riferimento ai chili di farina o acqua; non trovo neanche la temperatura a fine impasto della massa perché è questo che, a mio avviso, regola tutto il processo successivo. Un poolish "passato", abbinato al freddo, alla debolezza della struttura, ad una attività metabolica rallentata, a bassi valori di pH, al quantitativo di acqua del 70% sulla farina, a riposi successivi troppo lunghi, possono decisamente influenzare il manifestarsi delle microbolle da freddo. Un saluto cordiale e mi faccia sapere. Grazie a lei per la stima e i complimenti
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Pane di segale
Buon giorno, un po’ in linea con uno degli ultimi quesiti, sono a chiederle alcuni chiarimenti in merito alle procedure da seguire per la realizzazione di un buon pane di segale. Ho analizzato, ed anche provato con abbastanza successo, diverse ricette di differenti autori e generalmente ho notato che con questo sfarinato si prediligono: 1) idratazioni piuttosto elevata 2) tempi di impasto brevi 3) temperature di gestione intorno ai 30° 4) quantità di lievito (di birra o madre) alte con tempi di esecuzione molto brevi. Volevo quindi sapere se questo modus operandi è quello più idoneo per questo sfarinato o se ne ha altri da consigliare. Inoltre, se fosse possibile, le chiederei se mi può indicare un buon testo di riferimento per la panificazione con segale (preferibilmente in italiano, ma anche in inglese o tedesco). La ringrazio anticipatamente e complimenti all’intera redazione.
P.S.: Volevo segnalare che le dimensioni del form di inserzione del testo dei quesiti è veramente ridotto rendendo difficile la rilettura di quanto scritto (unica soluzione il copia/incolla).
Buongiorno a lei. In linea con tutte le mie risposte, ritengo che la lavorazione con tempi brevi e le elevate percentuali di lievito di birra ldb, non siano le più indicate per questo tipo di sfarinato per le motivazioni tecnico scientifiche già espresse nei quesiti precedenti. In commercio ci sono pochissimi testi in proposito e quei pochi sono riferiti unicamente a una panificazione casalinga molto limitata. Per quanto riguarda invece il problema tecnico del form, inoltro le sue osservazioni al Web Master della testata. Ringraziandola a nome di tutta la redazione per la preferenza accordataci, i complimenti e la stima, le invio i miei più cordiali saluti.
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Il germe di grano fa veramente bene?
Buongiorno dottoressa, leggendo qua e là sono venuto a conoscenza di alcuni elementi presenti nel germe di grano, che sta facendo tanta moda ultimamente, che potrebbero essere nocivi per la nostra salute, come l'asparagina. Poi avrei una piccola curiosità sul glutatione, che effetti ha se inserito nell'impasto? Grazie come sempre per la sua disponibilità.
Buongiorno a lei. Di questo argomento mi sono occupata proprio a dicembre 2017 in questo articolo http://www.quotidiemagazine.it/archivio/2017/numero-12-dicembre-2017/facciamo-due-conti-e-ne-riparliamo-simona-lauri-ota-milano , nel quale ribadivo l'importanza di consumare il germe unicamente crudo per poter usufruire di tutti i suoi benefici e che l'utilizzo nell'impasto era inutile e ricadeva unicamente nel forte impatto di marketing/business delle aziende. Alle temperature di cottura sono disattivati tutti i principi nutritivi oltre al fatto che contiene moltissimi enzimi tra i quali proprio le lipasi che creano problemi di sfaldamento della struttura durante la lavorazione se si eccede oltre il 2% sulla farina. La dose di utilizzo inoltre le fa comprendere quale siano i grammi aggiunti in percentuale sulla farina (non sulla massa totale) e quale trascurabile sia il suo apporto nutrizionale nel prodotto finito pane, pizza, ecc. Da qui la necessità di disattivare tale enzimi da parte delle aziende con il processo tecnologico della "tostatura", ribadendone e sottolineando sempre l'apporto inalterato dei micronutrienti e vitamine (disattivate comunque dal processo termico relativo alla tostatura!). Ora in virtù proprio del Reg. CEE/UE 2158/17 tale operazione di tostatura aumenta considerevolmente il quantitativo di acrilammide nel prodotto in questione rispetto al fresco, non solo ma se aggiunto ad un impasto nel quale vi sono per esempio anche delle patate ed ulteriormente cotto, si assiste ad un ponderale incremento in termini di microgrammi/Kg di acrilammide nel prodotto finale. Ribadisco utilizzi il germe fresco e crudo alla mattina se vuole veramente godere dei benefici che detto alimento apporta, senza rischiare di introdurre nell'organismo una molecola come l'acrilammide. Il glutatione è un tripeptide la cui funzione è "indebolire" la struttura glutinica. Grazie a lei per la preferenza accordata e buona giornata.
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Rinfresco del lievito perché i rapporti variano
Salve Dottoressa Lauri,e grazie per le sue risposte sempre esaustive e risolutive ai dubbi. Vorrei chiederle una sua opinione riguardo al rinfresco del lievito madre; su diversi testi di maestri lievitisti leggo di rinfreschi quotidiani con rapporto madre:farina 1:2. Io uso abitualmente il rapporto indicativo di 1:1, senza lamentare problematiche. Mi chiedo e le chiedo se per caso quelle indicazioni comuni fra loro possono derivare da abitudini passate quando magari si usava farina meno forte e quindi in proporzioni maggiori, o forse temperature meno controllate durante il riposo del lievito. In sostanza mi chiedo se e cosa è cambiato dal passato ad ora nella gestione del lievito. Grazie ancora e sempre buon lavoro
Buongiorno a lei. La gestione della madre è molto variabile, nulla è disciplinato proprio perché il microbiota a livello artigianale professionale e/o amatoriale non professionale è estremamente vario; non è possibile standardizzare, uniformare la metodica né controllare da un punto di vista microbiologico la madre, se non a livello industriale. Industrialmente ogni fase, ripeto ogni fase, è sottoposta a verifica chimica/ chimico - fisica dei relativi parametri, identificazione microbiologica e valutazione della presenza o meno di altre specie contaminanti compresa; verifica che porta alla modifica dei parametri per incrementare le specie volute a scapito delle colture secondarie oppure contaminanti. Detto questo, ogni artigiano e/o appassionato non professionista è libero di gestire la madre come meglio crede in base alla sua esperienza, metodo di lavoro, conoscenze, contaminazioni, abilità, aromi, caratteristiche sensoriali dei prodotti finiti ecc., e tutte sono validissime a meno di errori di base di conoscenza scientifica palesi. Personalmente preferisco madre:farina = 1:1, ma ripeto è solo una scelta dettata da ciò che voglio che la mia madre abbia per quanto riguarda le mie esigenze produttive di forza e prodotti ottenuti. E' vero negli ultimi 100 anni sono cambiate le varietà di frumento e non escludo che per qualche artigiano questo possa essere motivo di variazione dei rapporti. Nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio, le porgo i miei più cordiali saluti.
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Età della farina
Gentile Dott.ssa Lauri,
spesso per i miei impasti mi trovo meglio con farine leggermente "datate" ovvero quelle che ho acquistato e poi utilizzato anche a distanza di due/tre mesi. Questo vale per le farine di supermercato cosi come per le farine di mulino.Esiste un metodo per "risalire" anche indicativamente al giorno di produzione/macinazione partendo dalla sola data di scadenza del prodotto? Oppure, esiste un test per valutare la qualità di un determinato lotto/sacco di farina prima ancora di inserirlo in produzione? Cordiali Saluti
Buongiorno a lei. Prima di tutto non c'è assolutamente nessun obbligo normativo che imponga di dichiarare la data di macinazione. Gli obblighi normativi sono quelli riportati nel Reg. UE 178/02 e nel Reg. UE 1169/2011 data di scadenza, lotto, tabella nutrizionale ecc. La data di scadenza di uno sfarinato è in funzione del TIPO (inteso come riferimento normativo DPR 187/01) e pertanto può essere compreso tra 6 mesi e 1 anno dalla data di macinazione. Sul sacco c'è la data di scadenza obbligatoria per cui si può risalire alla data di macinazione. Per quanto riguarda invece la sua osservazione sulla lavorabilità concordo sul fatto che la "panificabilità" è funzione diretta della “maturazione” dello sfarinato che a sua volta è influenzata da tempo/temperatura/ossigeno/tipologia di sfarinato ecc. Un saluto cordiale e grazie
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Idratazione totale dell'impasto
Salve dottoressa volevo farle una domanda riguardante l' idratazione e la percentuale esatta di acqua che si dovrebbe considerare al momento del impastamento. Supponendo di immettere su 1kg di farina 600 ml di acqua,l' idratazione totale quanto dovrebbe essere? Bisognerebbe considerare l'umiditá presente nella farina nel calcolo del idratazione e/o di qualche altro parametro? Aspetto una sua cortese risposta. Grazie.
Buongiorno a lei. Ha ragione moltissimi professionisti confondono la quantità di acqua aggiunta alla farina, la cui percentuale è calcolata unicamente sulla farina, con l'idratazione totale. Mi capita molto spesso di leggere: idro 90%, 100%, 85%, ma in realtà, a mio modestissimo parere, sono valori che non indicano assolutamente nulla e portano unicamente a competizioni inutili sui social che conducono quasi sempre a guerre mediatiche senza senso e a insulti, in quanto l'assorbimento di acqua (il vero parametro dal quale dipende l'idratazione e l'aw) a sua volta è influenzato da innumerevoli variabili. L'idratazione totale e la percentuale di acqua aggiunta sono due concetti completamenti differenti che non possono assolutamente essere confusi l'uno con l'altro in quanto dall'idratazione totale e dalla perdita di acqua in cottura dipendono: il valore di aw, la resa di produzione, la shelf life ecc. Da considerare inoltre che tutti i parametri legali di riferimento come: il limite minimo o massimo di una certo ingrediente, additivi compresi, sono espressi sul secco a meno che non sia diversamente specificato. Si parla sempre dell' idratazione totale di una massa e mai di % di acqua aggiunta, quando si redige una tabella nutrizionale, un QUID, ecc. e il settore della pizzeria non è escluso soprattutto quando si confeziona e si etichetta il prodotto. Nel suo caso 600 ml di acqua sono la quantità di acqua che è aggiunta alla massa e che rappresenta unicamente il 60% sul chilo di farina. Non esprimono assolutamente il quantitativo di acqua totale (idratazione totale) nella massa cruda, prima della cottura, poiché a detto valore, deve aggiungere i singoli apporti di acqua derivanti da tutti e dico tutti gli altri ingredienti. Se poi deve operare il calcolo dell'idratazione totale del prodotto dopo cottura deve considerare la perdita di acqua e sottrarre il valore. Non si avvalga dei valori tabulati relativi alle perdite di acqua in cottura, ma operi una campionatura ripetibile e il calcolo statistico in quanto sono innumerevoli i fattori che concorrono a detta perdita. Spero di esserle stata utile. Nel ringraziarla per la preferenza accordata al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
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Azione del glutatione negli impasti
Buongiorno dottoressa, ultimamente sto leggendo articoli riguardanti il glutatione e i suoi effetti sull'impasto ma, oltre a impartire elasticità ha altre caratteristiche? Incide in qualche modo sulla maturazione? Che percentuale si può utilizzare e in base a cosa decido il suo utilizzo? È possibile utilizzarlo per arrivare ad alte idratazioni più facilmente? La ringrazio come sempre della sua disponibilità.
Buongiorno a lei. L'argomento è molto dibattuto e la letteratura scientifica specifica in arte bianca non è abbondante in proposito. Il glutatione, nella sua forma attiva ridotta (GSH) è un tripeptide (acido glutammico, cisteina e glicina), mentre nella sua forma ossidata (GSSG) due molecole di glutatione sono unite da un ponte disolfuro. Tralasciando per ovvie ragioni biochimiche la biosintesi (catabolismo e anabolismo) enzimatica del glutatione e le sue funzioni di: antiossidante, inibitore sostanze tossiche, modulatore risposte immunitarie ecc.in ambito cellulare ma, rifacendomi unicamente all'implicazione con il S. cerevisiae e il settore dell'arte bianca, posso rispondere che in letteratura scientifica si trova che il GSH è inizialmente prodotto e consumato dal lievito , in qualità di cellula animale, nel corso della fermentazione alcolica per essere rilasciato successivamente in seguito alla lisi cellulare; mediamente il GSH costituisce 0.5% - 1% del peso secco della cellula. Durante l'apoptosi oppure la morte cellulare, in conseguenza a diversi fattori, di S. cerevisiae, o del LAB L. sanfranciscensis vi è rilascio di GSH ridotto nell'impasto. Il glutatione ridotto aumenta l'estensibilità, diminuisce la produzione di CO2 e migliora il gusto del pane. La presenza del glutatione endogeno nella forma ridotta, nella farina di frumento, fu evidenziata già nel 1936 da Sullivan; i suoi effetti sulla struttura glutinica e sulle qualità panificatorie di una farina sono studiate ancora oggi in particolar modo la sua azione “indebolente” sulla maglia glutinica che conferma le osservazioni sulla perdita di struttura con la conseguente estensibilità della maglia, dopo i processi di congelamento e scongelamento dell'impasto. I noti effetti dell’acido ascorbico sulla struttura glutinica, con molta probabilità, si manifestano anche sul glutatione sfruttando la capacità sia dell' E300 sia del E924 di ossidare i gruppi solfidrilici delle molecole endogene di GSH per ottenere la forma ridotta inattiva GSSG seconda la reazione 2GSH + glutatione perossidasi ---> GSSG (forma ossidata), mentre la reazione inversa GSSG + NADPH + H+ ---> 2GSH (forma ridotta) + NADP+ è catalizzata dalla glutatione reduttasi. L’ossidazione da GSH a GSSG impedirebbe la formazione dei ponti disolfuro glutine/glutatione evitando la cosiddetta “debolezza” della struttura. Qualsiasi fattore che comprometta lo sviluppo della rete del glutine influisce sulla capacità di ritenzione del gas e sulle prestazioni generali in cottura. Per quanto riguarda la risposta a tutti gli altri suoi quesiti in letteratura non ci sono reports specifici che leghino l'azione diretta del glutatione con la maturazione o con la capacità di idratare maggiormente. Qui le posso rispondere solo come opinione tecnica personale: il glutatione non è assolutamente un enzima come le proteasi ecc.,che si attiva con l'abbassamento del pH, valori soglia di Acidità totale, ecc., ma al massimo si può assistere al passaggio dalla forma red a quella ox in funzione della glutatione reduttasi/perossidasi, ecc. Per quanto riguarda la capacità di raggiungere elevate idratazioni in un impasto, questo dipende da diversi fattori e forse solo marginalmente dalla presenza del glutatione in quanto i gruppi SH del glutine sono impegnati in ponti S-S con il glutatione lasciando liberi altri gruppi funzionali del tripeptide ( -COOH, -NH ) che potrebbero a loro volta complessare molecole di H2O. Nel ringraziarla per aver posto il quesito, le invio i miei più cordiali saluti.
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Gelatinizzazione dell'amido e farina di segale
Vorrei sapere da lei, vera fonte di verità, come procedere in modo corretto alla gelatinizzazione dell'amido, per produrre pane, in particolare per la segale che adoro, e in quale percentuale và inserita nell'impasto, la ringrazio.
Buongiorno a lei. Prima di tutto grazie per la stima, ma non sono assolutamente "fonte di verità" . Cerco di trasmettere unicamente la scienza che ho studiato e continuo a studiare sui libri, la passione e la manualità che ho imparato dalla pratica attraverso altrettanti lunghissimi anni di lavoro. Studio costantemente sui testi universitari, sperimento e qualche volta (raramente!) noto delle discrepanze lievi imputabili unicamente alla sperimentazione universitaria adottata che, appunto non collima pienamente con le esigenze produttive di un laboratorio artigianale. Tornando al suo quesito iniziale, la gelatinizzazione è un processo che prende avvio dalla naturale struttura dei granuli di amido e dalla disposizione dei suoi componenti amilosio e amilopectina all'interno di detta struttura. Questo materiale, è caratterizzato da una spiccata insolubilità in acqua a freddo, ma cambia completamente il proprio comportamento se è sottoposto a un riscaldamento oltre i 50 - 60 gradi (la temperatura è variabile e dipende dal cereale dal quale prende origine l'amido). Quando la temperatura raggiunge i valori della temperatura di transizione vetrosa, le strutture (granuli di amido interi e rotti dal processo della macinazione) modificano la loro natura fisico - chimica portando a : rigonfiamento dei granuli, perdita della struttura ordinata originale, incremento della viscosità del sistema , rottura, fuoriuscita del materiale, formazione della salda e attacco delle amilasi. Nello specifico della farina di segale, occorre raggiungere temperature oltre gli 80°C, oppure valori di pH<4.5 per disattivare il complesso delle amilasi e attivare le pentosanasi in generale, in quanto le secaline hanno una ridotta capacità (se paragonate alla frazione insolubile del frumento) di formare il network glutinico e i pentosani assumono un ruolo importante nella formazione della struttura, addirittura con funzione opposte in base al fatto che sia implicata la loro frazione solubile (azione positiva) o insolubile. I pentosani solubili aumentano il volume del pane grazie all'elevata capacità di legare l'acqua e a quella di sottoporsi a gelificazione ossidativa. L'azione delle pentosanasi porta a una riduzione della frazione insolubile a favore di quella solubile aumentando l'estensibilità, la struttura della mollica, il volume ecc. Per quanto riguarda invece il quesito sulla percentuale, le rispondo che può lavorare benissimo la segale in purezza, purché si assicuri di raggiungere, con una lavorazione indiretta anche con madre di segale, valori di 4.0<pH<4.5 nell'impasto finale: Ringraziandola nuovamente per la stima, le invio i miei più cordiali saluti.
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Inserimento olio negli impasti.
Sono pizzaiolo di mestiere. Avrei una domanda tecnica da porle, in merito alla fase di inserimento dell'olio extra v. di oliva nell'impasto per pizza. (pizza tonda classica sottile, panetto 200 gr.) Io sono solito impastare aggiungendo prima acqua, lievito e poi farina e faccio girare in spirale quando ottengo una massa omogenea quindi dopo circa 5-7 min. aggiungo l'olio e un'altra piccola percentuale di farina faccio assorbire ed in fase finale aggiungo sale ed ancora un pizzico di farina. Altri ho visto che nel loro impasto aggiungo l'olio subito all'inizio mescolandolo con l'acqua e lievito versando poi la farina. Che differenze comporta l'aggiungere subito l'olio con l'acqua e aggiungerlo come faccio io circa a metà impastamento? Ci sono benefici in un modo rispetto all'altro? La ringrazio in anticipo per l'attenzione.
Buongiorno a lei. Il corretto modo per operare l'impastamento, da un punto di vista tecnico scientifico, non è partire ad impastare dall'acqua, ma dalla farina. Non è una opinione personale ne tanto meno dipende dal prodotto, sua percentuale di acqua, sua idratazione totale, ecc., ma è una certezza scientifica che trae le sue fondamenta dalle iterazioni idrofile e molecolari di tutti i componenti presenti nello sfarinato, non solo della parte proteica. In ogni caso la tecnologia di produzione e la scienza dell'impastamento prevede in presenza di acqua ed effetto meccanico, tra l'altro, il cambio di struttura molecolare della parte amilacea, della componente proteica, l'assorbimento di acqua e l'allineamento ordinato delle catene proteiche idrofobiche (insolubili in acqua) nella direzione dello sforzo meccanico con tutte le iterazioni molecolari che ne conseguono. Partendo ad impastare dalla farina si accorgerà che può arrivare fino ad un incremento del 20% di acqua assorbita, non solo, ma la temperatura della stessa acqua e la modalità di introduzione svolgono un ruolo determinante nell'assorbimento stesso. A parte la questione scientifica, non opinabile unicamente sul sentito dire, conoscenze personali, sul "ho sempre fatto così" " il mio maestro mi ha insegnato così" ecc., ma eventualmente con altrettanta argomentazione scientifica in proposito, ritorno al suo quesito sull'olio. Anche in questo caso, la pratica comune di molti pizzaioli, prevede l'introduzione della massa grassa o nell'acqua iniziale (ritorniamo al precedente problema che NON si parte dall'acqua) o alla fine della fase dell'impastamento cioè quando la massa si è completamente strutturata. A questo punto, l'aggiunta di olio determina l'immediato scivolamento (azione lubrificante tipica dell'olio) dell'impasto sul fondo della vasca, la rottura grossolana (azione lubrificante sui componenti molecolari) della struttura e un nuova ristrutturazione della massa con la conseguenza immediata dell'allungamento dei tempi di impastamento (l'impasto formato si disfa e poi si riforma). La tecnica corretta da un punto di vista scientifico prevede l'aggiunta dell'olio immediatamente all'inizio, o entro i primi secondi, insieme alla farina proprio per la struttura degli acidi grassi polinsaturi cis (nel caso di un olio EVO) che devono interagire con tutte le parti molecolari dei componenti dell'impasto e non, facilitando: l'azione lubrificante, l’espansione delle cellule di gas, la morbidezza della mollica, la riduzione della migrazione delle molecole di acqua, l’estensibilità della struttura, le proprietà sensoriali,ecc. Se poi un professionista vuole continuare a partire dall'acqua, con o senza olio, liberissimo: è una sua scelta personale, ma non una tecnica corretta e scientifica. Spero di esserle stata di aiuto. Nel ringraziarla per la stima , le invio i miei più cordiali saluti.
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Impasti a caldo
Buon giorno e complimenti per il vostro lavoro e per questa interessantissima rubrica, fonte di molti chiarimenti. Volevo sapere se vi sono delle differenze tra l'impasto a caldo classico, dove verso l'acqua bollente sulla farina, e il water roux. Grazie e buon lavoro.
Buongiorno a lei. No, nel senso che le modificazioni biochimiche sono le stesse a parità di temperatura; la differenza è solo forse (????) sulla quantità di impasto gelatinizzato utilizzato nell'impasto finale. Molto chiaramente e fuori dai denti; fa molto cult /moda/business chiamarla "Tecnica water roux" , ma in realtà è basata unicamente sulle reazioni biochimiche che avvengono all'interno delle molecole di amido intere quando si raggiunge la temperatura di transizione vetrosa variabile da cereale a cereale e che portano alla gelatinizzazione dell'amido e alla modifica della sua struttura. La preparazione della pasta choux è basata proprio su quel principio. Un saluto cordiale e grazie per essersi rivolto al nostro servizio. Sempre a disposizione.
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Farine "uguali" ma diverse!
Salve Dottoressa Lauri.Ho problemi nella gestione dei panetti quando sono obbligato a cambiare farina per mancanza della solita.Pur scegliendo farine apparentemente uguali in base alla scheda tecnica (W, p/l, stabilità ecc.) il comportamento dei panetti in appretto risulta differente in quanto a parità di temperatura, tempo di impasto, maturazione e appretto mi ritrovo a lavorare con panetti più o meno gestibili.
Il mio impasto è eseguito con farina w300, idratazione al 62%, 3% di sale e 0,1% di lievito, che chiudo in circa 20 minuti sempre tra i 22 e i 24 gradi e impasto con spirale in prima velocità. Lascio l’impasto a temperatura ambiente per un’ora/ora e mezza, lo trasferisco in frigo a 2°/3° per circa 38 ore e infine procedo allo staglio e lascio in appretto per 8/9 ore. Con la solita farina, dopo 8/9 ore di lievitazione ottengo dei panetti gestibilissimi e con i quali riesco a lavorare tranquillamente per le successive 4/5 ore mentre, con altre farine uguali sulla carta, dopo altrettante ore mi ritrovo panetti fin troppo rilassati, privi della giusta tenacità, e quindi molto delicati. Al punto che le pizze si assottigliano troppo al passaggio sulla pala e si bucano in forno quando uso il palino. Speranzoso nel suo aiuto, la saluto cordialmente e la ringrazio anticipatamente.
Buongiorno a lei. Prima di tutto richieda le analisi direttamente sul lotto che le consegnano e non si fidi assolutamente della scheda tecnica pubblicata sui siti dei molini e usata a scopo pubblicitario, perché quelle analisi possono essere state fatte anni prima e su lotti/campioni che non sono quelli che vengono consegnati. I dati saranno similari, ma con molto margine di errore in quanto il campione non è lo stesso non solo ma, essendo una materia prima vegetale, è soggetta ad estrema variabilità di condizioni (campo, stoccaggio, trasporto ecc.) Il secondo problema è quello che attualmente molti molini macinano su ordinazione e consegnano al cliente la farina il giorno dopo averla macinata per cui lo sfarinato non ha raggiunto l'ottimale delle sue caratteristiche reologiche (maturazione); in parole semplici non assorbe acqua e presenta i difetti da lei riscontrati. Lasci riposare la farina minimo 10 giorni prima di usarla cioè faccia l'ordine non quando ha finito le scorte, ma a circa metà, prevedendo il tempo necessario per la maturazione della farina nel suo magazzino. Un saluto cordiale e sempre a disposizione.
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Il lievito madre e il freddo
Buongiorno Simona, sono a rivolgerle l'ennesima domanda visto l'immensa stima che nutro nei suoi confronti e visto che la ritengo l'unica capace di dare risposte certe. Vorrei sapere cosa ne pensa dell'uso del frigo in prodotti con lievito madre e se può essere un sistema capace di dare prodotti qualitativamente migliori alla produzione fatta a temperatura ambiente. Grazie
Buongiorno a lei. La temperatura svolge un ruolo dominante sui differenti metabolismi operati dai LAB anzi direi che è IL fattore determinante nell'intero processo. Dai valori di temperatura dipendono tutte le modificazioni chimiche, biochimiche nonché dissociazioni degli acidi, valori di pH, acidità totale, ecc., oltre chiaramente alle iterazioni/ sinergie microbiche presenti nel microbiota specifico. L'azione della temperatura, soprattutto se riferita a valori di frigorifero +4°C rispetto alla standard condizione ambientale +18°C e se abbinata ad impasti asciutti, mantenuti in presenza di ossigeno e contenenti fruttosio, aumenta la produzione di acido acetico da parte dei LAB omo ed eterofermentanti presenti. Tale molecola è la responsabile della nota di testa prettamente acetica - pungente che domina in una valutazione sensoriale operata sulla madre e se molto persistente può influenzare negativamente il profilo aromatico/sensoriale dei prodotti finali quali pane, pizza, panettoni che siano. Tale nota, se presente, può risultare molto marcata sul prodotto finale se, per esempio, la madre è utilizzata in un impasto per pizza che subisce un ulteriore stoccaggio/maturazione di 24 - 48 ore a +4°C. In questo caso si devono adottare una serie di azioni atte a ridurre tale caratteristica. Personalmente preferisco gestire una madre a temperatura di 16 - 18°C e solo in condizioni estreme operare un mantenimento a +4°C in quanto molti consumatori non apprezzano una nota acida così persistente nei prodotti realizzati con farina di frumento e il prodotto, dal mio personale punto di vista, non è qualitativamente migliore rispetto all'equilibrio lattico/acetico. Un discorso a parte è quello riferito all'utilizzo della farina di segale in purezza, ma questo diventa un'esigenza tecnico produttiva specifica. Spero di aver risposto esaurientemente al suo quesito. Ringraziandola per l'immensa stima e la preferenza accordatami, le invio i miei più cordiali saluti.
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Attivita amilasica
Buonasera dottoressa, vorrei chiederle quali sono le tecniche migliori da usare in caso di una farina con una bassa attivita amilasica e una con un alta attivita amilasica. Ho due farine con queste diverse caratteristiche e vorrei riuscire ad ottenere in entrambi i casi lo stesso prodotto.
Grazie mille
Buongiorno a lei. Mi scusi, ma dalla sua email non capisco quale sia la specie botanica di riferimento e pertanto ipotizzo che si riferisca al frumento; in ogni caso il discorso non varia di molto! Se è in presenza di una farina con elevata attività enzimatica non può fare molto se non operare una "autolisi a caldo" (temperatura maggiori della temperatura di disattivazione enzimatica) su una frazione di detta farina e poi aggiungere la restante tal quale e lavorare con metodiche che prevedono un abbassamento dei valori di pH. Questo tipo di lavorazione è abbastanza rara nel frumento in quanto, generalmente, i valori di attività amilasica non sono così elevati da giustificare la tecnica adottata. Se invece si trova nelle condizioni opposte (farine con scarsa attività amilasi) può aggiungere malto (farina maltata o malto in pasta) in percentuale variabile, calcolata sulla farina, in base alle unità Pollack dello stesso. Grazie a lei per la stima e la preferenza. Cordialità
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Tostare la farina
Buonasera Simona ho avuto occasione in diversi corsi tenuti da professionisti sia italiani che stranieri di vedere l'utilizzo della farina tostata. Semplicemente posta su di una teglia e lasciata in forno, mescolando ogni tanto, sino a farle assumere una colorazione appena dorata. Ora volevo sapere se questa operazione viene fatta esclusivamente per avere una nota tostata nel prodotto finale oppure otteniamo anche altri risultati da un punto di vista più tecnico? Ed è una pratica utile? Grazie e complimenti per il lavoro svolto e per la rubrica che seguo sempre con molto piacere.
Buongiorno a lei. Generalmente la pratica di "tostare" la farina non si adotta se non nel caso specifico di farina di riso o similare ossia con sfarinati utilizzati nella realizzazione dei prodotti gluten free. In questo caso non si parla assolutamente di tostatura, ma di un trattamento prolungato per circa 3 - 4 ore a +90°C per modificare la struttura proteica (denaturazione) ed aumentare l'assorbimento di acqua da parte proprio della componente proteica. Personalmente penso sia fatto unicamente a scopo sensoriale, ma non nascondo una certa perplessità sulla tecnica proprio perché il pantone del colore "tostato" è molto vario ed altrettanto vario il quantitativo crescente di acrilammide nel suo interno. Possiamo arrivare anche a valori importanti di acrilammide in base alla crescente tonalità di colore. Grazie a lei per l'apprezzamento e la stima. Buona giornata
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Temperatura acqua bagnetto della madre
Buongiorno Dott.ssa, mi scusi se approfitto della sua competenza e disponibilità. Vorrei conoscere se possibile, il comportamento dei lieviti e dei batteri a temperature diverse dell'acqua del bagnetto, ipotizzando di avere un lievito maturo leggermente forte, quindi che matura in tempi più brevi, mantenuto con il sistema in sacco o legato. Le temperature ipotizzate sono 20° 30° 38° e 40°C. Grazie, cordiali saluti.
Buongiorno a lei. Grazie per aver posto questo interessantissimo quesito e mi scuso se per rispondere devo usare concetti di chimica - fisica. Il problema prima ancora di essere microbiologico é di chimica - fisica basilare. L’acqua rappresenta il solvente ideale per solubilizzare una straordinaria quantità di sostanze chimiche, solide, liquide e gassose: dalle molecole polari come ad esempio i carboidrati, le ammine, gli acidi, gli alcaloidi, fino alle specie ioniche come ad esempio i sali inorganici. In acqua si sciolgono quindi sia le specie chimiche in grado di dissociarsi in essa in ioni, comportandosi cioè da elettroliti, che le specie molecolari, indissociabili: in entrambi i casi il fattore chiave che permette al soluto di restare in soluzione sono i legami idrogeno che permettono l’isolamento (solvatazione) molecola per molecola o ione per ione, della specie chimica che resta circondata dal solvente acquoso. Le molecole che mostrano la minore solubilità in acqua sono quelle incapaci di formare legami idrogeno, in altre parole delle sostanze cosiddette “apolari”. Proprio in virtù degli innumerevoli legami idrogeno che si instaurano/rompono all'interno delle molecole di acqua allo stato liquido, solido, gassoso, tale soluto si comporta in maniera anomala rispetto a tutte le altre sostanze chimiche. Detto questo, prima di tutto il solvente è polare e pertanto tutte le sue proprietà chimico - fisiche sono funzione della temperatura, del gradiente di velocità e dalla quantità di moto delle molecole in base alla relazione F/A=ή(dvx/dz) dove A è la superficie e ή il coefficiente di viscosità dinamica che dipende dal fluido e dalla temperatura. A ciò si aggiunga che aumenta il suo volume se riscaldata e pertanto la sua densità diminuisce, creando un flusso di molecole in funzione del gradiente di temperatura. Inoltre la temperatura influenza la solubilità dei gas secondo la Legge di Fick, di Henry, di Dalton, il grado di dissociazione degli acidi, la gelatinizzazione dell'amido, l'attività microbica ed enzimatica, la solubilizzazione degli ioni, ecc, oltre al fatto che si assiste, inizialmente, al processo dell'osmosi attraverso membrane semipermeabili fino a quando la struttura reticolata non si sfalda per effetto della temperatura. A questo punto, c'è libero passaggio di solvente e soluti. Leggi chimico fisiche alla mano, è quindi innegabile il fatto che, se una madre è posta in un bagno con acqua a 38 - 40°C, il flusso delle molecole sarà sia per gradiente di temperatura che di osmosi, dall'esterno verso l'interno; da ciò si può dedurre, per tutte le leggi citate, il comportamento dei soluti e dei gas e l'azione diretta immediata dell'acqua sui complessi sistemi biochimici come granuli di amido, network glutinico, microrganismi ecc. Un saluto cordiale e a disposizione
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Tipologie di pizza
Gentilissima Dottoressa, intanto grazie per aver risposto esaurientemente al mio ultimo quesito. Come sa, la stimo moltissimo e sono qui a porgliene un altro confidando sempre nella sua cortese attenzione. Il mondo della pizza è vasto come tutta l'arte bianca. Alberga in me molta confusione. Mi piacerebbe conoscere la differenza tra:
Pizza al piatto (romana - napoletana)
Pizza in teglia (romana - napoletana)
Pizza alla pala (romana - napoletana)
Sono consapevole che la pizza ha origini remote e che ogni regione o località nel mondo ha sviluppato una propria tecnica così come sono consapevole che esistono disciplinari che la regolamentano e che si dovrebbe parlare per giorni. Tuttavia vorrei sentire comunque un suo parere (anche spicciolo) sulle differenze tra pizze, vista la SUA competenza. Per ogni tipologia di pizza inoltre, è possibile o lecito variare la metodica di lavoro (impasto diretto, indiretto) oppure ci sono delle regole prefissate per ogni tipologia di pizza? Spero di non tediarla e grazie per risposta che vorrà darmi.
Buongiorno a lei. L'unica tipologia di pizza che è "disciplinata" da regole prefissate è la Verace Pizza Napoletana STG (Specialità Tradizionale Garantita) nel cui disciplinare di produzione si riporta il dettaglio degli ingredienti e della metodica di produzione da adottare. Per tutti gli altri tipi, la scelta del metodo produttivo (diretto lungo, indiretto ecc.) è lasciata all'abilità tecnica, conoscenza, fantasia del pizzaiolo in base a ciò che desidera ottenere; non ci sono vincoli di sorta cosi come non ci sono vincoli per la pezzatura della classica, variabile da regione a regione, da 180g fino a 300g. Per ogni tipologia di pizza, a parte ripeto la STG, è lecito variare tecnica, idratazione (che non sia però il fenomeno "social" al quale si sta assistendo!) ecc., e adottare quella che più risponde alla logistica della pizzeria/pizzaiolo. Per esempio, si può dallo stesso impasto ricavare sia l'impasto per la pizza classica sia quello per la pala o la teglia aumentando unicamente il quantitativo di acqua da aggiungere, incrementando i tempi di impastamento e chiaramente la pezzatura (anche per questo punto non c'è un peso standard uniformato e universalmente riconosciuto). L'arte della pizza, cosi come quella del pane, è proprio questa. Spero di averle risposto esaurientemente. Un saluto cordiale e a disposizione.
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Autolisi sì o no
Buongiorno dottoressa, da tanto che mi pongo un dubbio che in realtà è stato già trattato molte volte. L'autolisi a freddo in teoria va applicata su farine con livelli di P/L irregolari per migliorarne le caratteristiche, ma spesso nei miei esperimenti mi ritrovo ad usarla su farine già abbastanza equilibrate con risultati comunque più soddisfacenti di un semplice diretto. Maggiore alveolatura, possibilità di idratare di più, buon profumo e sapore. La mia domanda quindi è: Perché sconsigliate l'utilizzo di questa tecnica su farine equilibrate? Grazie tante e buona giornata.
Buongiorno a lei. Come già anticipato da lei ,la tecnica di lavoro dell'autolisi (che già implica nella metodica stessa una prima sosta dell'impasto farina - acqua per un tempo variabile da 10 minuti a 12 ore ed una eventuale aggiunta di sale) è adottata per migliorare e rendere panificabili farine che presentano problematiche reologiche varie come per esempio: valori di P/L >1.5 abbinati a elevati valori di W e R/E, falling number oltre 350 sec ecc., oppure in presenza di macinati interi oppure farine integrali. In parole semplici, è una tecnica da adottare per correggere situazioni specifiche e migliorare notevolmente: l'idratazione, la panificabilità non ottimale di sfarinati particolari, ridurre i tempi di lavoro quando si utilizzano farine troppo forti rispetto alle ridotte ore di lavoro. Premesso questo, è anche vero che molti professionisti pizzaioli la utilizzano sempre, a prescindere, con tutte le farine, senza sapere come agisce da un punto di vista biochimico e chimico - fisico. Ritengo pertanto che se una farina di frumento (purché non farina di tipo integrale, macinato intero ecc.) risulti equilibrata reologicamente e sia stata scelta opportunamente in base alla metodica utilizzata, non ci sia questa particolare esigenza. Se lei utilizza una farina con W>250 (valore di W ottimale per le lavorazioni dirette corte) e ha l'esigenza di renderla panificabile nel tempo di lavoro specifico del diretto corto, deve ricorrere alla tecnica dell'autolisi che, tra l'altro, non avrebbe alcun senso con 220<W<250 ottimali per la specifica metodica diretta corta. Conoscendo nei dettagli la scienza, le reazioni chimico fisiche e la tecnologia di processo, ogni tecnica può essere utilizzata a proprio piacere. Cordialità
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Congelamento della farina
Gentile Dottoressa, cercavo (ma non ho trovato) della documentazione per sapere se la farina congelata a -18°C e ben chiusa e protetta, perde in proprietà, relativamente a qualità reologiche (enzimatiche o proteiche). Grazie per la sua cortese disponibilità.
Buongiorno a lei. Bellissima domanda! Da quello che posso sapere io, in letteratura come dati scientifici, non c'è nulla che tratti le modifiche reologiche ecc., della farina quando quest'ultima è posta per un certo periodo a -18°C. Per cui mi perdonerà se faccio unicamente delle considerazioni personali senza avere pezze giustificative che comprovino le mie affermazioni; sono quindi opinioni personali che possono essere pertanto smentite da altrettanti opinioni personali purché scientifiche. Ritengo pertanto che la conservazione della farina a -18°C possa avere un sua "giustificazione" unicamente a livello casalingo (ridotte quantità) quando magari la stagione, la quantità acquistata o le esigenze personali portano a tale scelta. Tale decisione suppongo sia dovuta a una miglior conservazione atta ad evitare lo sviluppo di artropodi (acari, lepidotteri, blatte, coleotteri ecc.) presenti naturalmente in tutti gli sfarinati in quanto presenti nei campi, ambienti, ecc. Oltre a ciò si aggiungano spore di forme microbiche. forme vegetative tal quali di differenti specie ecc. A tal proposito ricordo che nessun e ribadisco nessun sfarinato è "sterile" nel senso microbiologico del termine, ma contiene impurità solide e il grado di contaminazione determina il livello di infestazione entomatica. La commercializzazione degli sfarinati avviene quando tale livello di contaminazione si mantiene sotto una certa soglia verificata con il Filth-Test. Pertanto, quando le condizioni di stoccaggio dello sfarinato (temperatura ambientale, tempo e UR, ecc.) risultano favorevoli a detti organismi, inizia la metamorfosi ossia il passaggio dallo stato di uova allo stato adulto. La conservazione a -18°C consente quindi una sorta di "bonifica sanificatrice" che uccide tali forme, quando le condizioni esterne, di contro, avrebbero causato invece l'infestazione e/o lo sviluppo di forme vegetative microbiche. Un modo quindi efficace per conservare e nel contempo "sanificare" lo sfarinato da un punto di vista entomologico e microbiologico. Resta pertanto aperta la questione chimico - fisica legata alle implicazioni tecnologiche. Posso dedurre che, come tutti gli alimenti che subiscono uno stoccaggio a -18°C, perda acqua per sublimazione (inizialmente il contenuto legale di acqua nello sfarinato è compreso tra 14,5 e 15,5%) e l'ossigeno ossidi maggiormente lo sfarinato modificando sia il colore sia indirettamente le caratteristiche reologiche soprattutto se macinato intero. Per quanto riguarda invece la denaturazione proteica per effetto della temperatura, generalmente, le proteine che subiscono uno stress da freddo, subiscono una denaturazione reversibile cioè innalzando la temperatura, riacquistano la struttura nativa (rinaturazione) mantenendo le loro proprietà, ma questo potrebbe non essere propriamente verificato in una struttura complessa in cui interagiscono in simultanea altre macromolecole e prevedere una leggera diminuzione delle proprietà reologiche. Torno a ripetere, le mie sono deduzioni scientifiche non verificate attualmente da nessun dato in bibliografia pertanto le prenda per quelle che sono: opinioni personali. Buona giornata e a disposizione
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Pasta di riporto e suo corretto uso
Buongiorno intanto le rinnovo i miei complimenti per la sua splendida rivista e il suo sito,
Sono un appassionato di panificazione casalinga ed ultimamente mi sono incuriosito sull'uso della pasta di riporto nella produzione di pane, di solito il pezzo avanzato di impasto lo tengo nel frigorifero per 20 ore circa e poi lo metto a temp ambiente 24 gradi circa per 8 ore fino alla sua massima lievitazione.
Ora vorrei sapere, in quanto ho letto vari pareri, se è più corretto usarla al raddoppio e quindi alla sua giusta lievitazione oppure portarla a sovra maturare per far si che produca più acidità con apporto di maggiori profumi e sapori nel risultato finale. Inoltre vorrei sapere in quale tipologia di pane è più corretto utilizzarla.La ringrazio in anticipo per la risposta e le porgo i miei più cordiali saluti.
Buongiorno a lei. Grazie per i suoi complimenti che estenderò a tutti i ragazzi della redazione e felice che possa trovare interessanti sia la testata sia il mio sito personale. Tornando al suo quesito, a livello professionale artigianale non ci si cura del raddoppio, della volta e mezzo il volume iniziale ecc. della pasta di riporto. Come dice il nome è un pezzo di pasta che si utilizzerà il giorno dopo come riporto negli impasti successivi. E' un pezzo di pasta (anche di diversi chili!) di esubero/avanzo/scarto di una o più lavorazioni (filone avvolto male, pezzo che non ha il peso esatto per la lavorazione, scarto dei tagli ecc.) che è raccolta a più riprese in un contenitore nell'arco della giornata/nottata lavorativa, coperta e lasciata fermentare senza badare a nessuno dei parametri che lei mi ha citato; in una realtà produttiva non c'è tempo per tutte queste considerazioni! In estate si mette a stoccare a +4°C o a +16°C; si estrae dal frigorifero, si lascia termostatare all'ambiente di lavoro (2 - 3 ore) e si usa in percentuali variabili in qualsiasi prodotto dolce o salato ad esclusione del soffiato. La quantità è molto variabile, dipende da quanta pasta era avanzata il giorno prima in ogni modo si può arrivare anche al 40 - 50% sulla farina. Non è mai usata fredda e comunque non va quasi mai oltre le 24 ore di stoccaggio. Grazie per essersi rivolto al nostro servizio e a disposizione.
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Solo Complimenti ed una preghiera...
Da parte mia solo complimenti ed una preghiera. A quando un corso tenuto da Lei?
Buongiorno a lei. A questo link ne trova uno http://www.quotidiemagazine.it/events/metodiche-indirette-biga-poolish-e-lievito-madre , ma nella sezione EVENTI (in alto di fianco ad ARCHIVIO e sotto la scritta Quotidie Magazine) della testata troverà a brevissimo un elenco molto dettagliato che comprende corsi di Analisi sensoriale, lavorazioni con frumenti antichi, prodotti senza glutine ecc. Ne ho tenuti diversi e tutti pubblicati in quella sezione. Grazie ancora per la stima e buona giornata.
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Panettoni con semilavorati o con madre?
Buon giorno e buon anno.
Volevo porle una domanda: è giusto,non dico legale,che se un lievitato,panettone o altro,è fatto con un preparato si possa sempre definire "fatto con lievito madre"?
So che la legge lo acconsente, ma vorrei sapere Lei cosa ne pensa,anche perché questi prodotti vengono venduti allo stesso prezzo di un lievitato fatto con la vera Pasta Madre dove,oltre a nutrirla tutti i giorni quindi consumare farina per i rinfreschi,si deve avere anche un minimo di conoscenza ed occhio sul come gestirla al meglio. Grazie
Buongiorno a lei. La panificazione artigianale può "purtroppo" avere diverse interpretazioni: Chi la interpreta come ARTE e si comporta di conseguenza, Chi invece un semplice MESTIERE come tanti pensando di fare soldi, tanti e subito. Nel primo caso si assisterà a prodotti che sono opere d'arte ossia realizzati con tecniche in cui non si conta né tempo né sacrificio né preparazione tecnica né passione, nel secondo invece a prodotti intesi come "merce" da vendere al prezzo più caro possibile, frutto di una pseudo "furbizia" professionale e creando tra l'altro, non pochi problemi all'intera categoria. Ognuno è libero di intendere la panificazione come meglio crede purché lo faccia nel rispetto sia dei consumatori sia del lavoro e dei sacrifici degli altri colleghi. Da parte sua il Reg. UE 1169/2011 ecc. , impone di dichiarare tutto in etichetta (semilavorati compresi) e pertanto nella lista degli ingredienti devono essere citati tutti gli ingredienti soprattutto gli additivi con le E davanti a un numero ecc. presenti nei semilavorati. Più E ci sono, più il prodotto non è ARTE. Se davanti alla legge, i prodotti sono tutti uguali, la scelta finale di acquisto è e resta del consumatore che pertanto resta "sovrano", purché legga l'etichetta e si assicuri che ci siano tutte le indicazioni obbligatorie. La "sovranità del consumatore" (cioè è il consumatore che decide cosa comperare) è la prima legge che deve combattere il marketing; se cosi non fosse non ci sarebbero tutte le tecniche pubblicitarie, persuasive e/o di marketing (bufale comprese!) che vengono adottate dai pubblicitari ecc., per convincere il consumatore all'acquisto di un bene rispetto a un altro. Grazie a lei per avermi contatto. Un saluto cordiale e sempre a disposizione
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Contaminazioni lievito madre
Salve ho un laboratorio di panificazione che ha introdotto da poco l'uso del lievito madre, il grosso della lavorazione viene fatto comunque con lievito di birra quindi i piani di lavoro, macchinari, attrezzature,i frigo ecc., sono sempre a contatto con esso. Quando rinfresco la madre pulisco sempre tutto con alcool, ma mi viene sempre il dubbio di un eventuale contaminazione, specie con le spore presenti in ambiente o in frigo. È possibile che avvenga? Ci potrebbero essere problemi? Come me ne accorgo? Potrebbe influire sul prodotto finito? Grazie e Buon Anno.
Buongiorno a lei. La contaminazione con S. cerevisiae è inevitabile e non si limita solo al contatto con le superfici, attrezzature, ecc. D'altra parte occorre dire che, contrariamente a quello che si pensi, è fondamentale che tale contaminazione ci sia per le iterazioni microbiche e i rapporti di simbiosi lieviti - LAB che si devono creare all'interno del microbiota tipico della madre per garantire l'ottimale funzione tecnologica e microbica. Non è un danno la contaminazione anzi è solo un beneficio per la madre stessa. In letteratura scientifica ci sono diversi studi che attestano l'importanza delle relazioni mutualistiche simbiotiche tra lieviti S. exigus e batteri lattici L. sanfranciscensis oppure S. cerevisiae e L. plantarum; inoltre non è un caso che altrettanti riferimenti bibliografici riportino un rapporto LAB: lieviti di 100:1. L'importanza di pulire tutto, soprattutto in ambienti esterni al locale di produzione, è basilare non per evitare la contaminazione da S. cerevisiae, ma per evitare la contaminazione di altre forme microbiche (spore comprese!) non appartenenti ai generi interessati che potrebbero a lungo andare contaminare e alterare il microbiota naturale della madre stessa. Questo per dire che una delle fake news che attualmente spopolano sul web e non solo (bufale colossali!) del settore è proprio quella che riporta la non presenza del S. cerevisiae nella madre; informazione smentita, da diversi autori, nei loro innumerevoli studi scientifici del settore e condotti su più madri a livello artigianale. Questo mi da l'occasione per ribadire chiaramente con dati scientifici microbiologici alla mano e verificati che nella madre è presente il S. cerevisiae e pertanto NON è assolutamente vero che la madre NON contenga S. cerevisiae come sostenuto da qualche professionista o dai puristi (???) della madre. Coloro i quali presentano problematiche di allergia (NON intolleranza!!!!!!) verificata al S. cerevisiae , non possono consumare nessun lievitato ottenuto con la madre soprattutto se gestita, mantenuta all'interno di laboratori professionali artigianali. Questo DEVE essere chiaro per tutti, medici nutrizionisti compresi. Nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio di consulenza online, le auguro una buona giornata.
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Rinfresco LICOLI aggiunta miele
Buongiorno Dott.ssa Lauri. Mi permetta di augurarle un Buon Anno 2018. La mia domanda è la seguente: Ho avviato la mia pasta madre in forma liquida, LICOLI, sono più di 5 anni, siccome la uso non molto frequentemente, ogni 10 giorni, e la tengo sempre in frigo a 4°C, prima di impiegarla la preparo con due rinfreschi consecutivi, che faccio a parte usando una piccola quantità di LICOLI e poi dopo 4-5 ore di maturazione, ripeto il rinfresco e dopo altra maturazione la ripongo in frigo per la notte, il giorno successivo la riporto alla temperatura di 28°C e la uso nell'impasto.
Volevo chiederle questo, nella preparazione della qta di LICOLI da usare nell'impasto, metto 1/2 cucchiaino di MIELE, perché ho letto che il miele è molto simile alla farina, contiene batteri LAB, enzimi di vario tipo, molti zuccheri fermentescibili, GLUCOSIO, MALTOSIO, SACCAROSIO, FRUTTOSIO, ecc. tutti pronti all'uso, sostanze antibatteriche, antimuffa, quindi doverbbe essere perfettamente compatibile con la flora batterica della pasta madre e dovrebbe aiutare a mantenerla efficiente ed in buona salute.
Gradirei la sua opinione in merito all'impiego del MIELE e se ci sono controindicazioni, quali e se possibile le motivazioni.
La ringrazio anticipatamente per la risposta e porgo
Cordiali Saluti.
Buongiorno a lei. Ricambio gli auguri per il 2018. Prima di tutto mi permetto di correggerla leggermente sulla gestione della madre liquida (semplicissimo consiglio tecnico) conservata a +4°C. Quando decide di utilizzarla la porti a t.a. 48 ore prima e operi un rinfresco 1:1. Dopo di che la conservi a t.a. e non a +4°C fino al giorno dopo. A questo punto operi un altro rinfresco 1:1 e la conservi sempre a t.a.. In base alle caratteristiche reologiche della farina utilizzata (può usare anche una semplicissima "biscotto") può utilizzare la madre dopo 4 - 6 ore. La temperatura è uno dei fattori determinanti sul metabolismo degli LAB eterofermentanti da cui dipende la min/maggior produzione di acido acetico/lattico da cui le note "acetiche" più o meno marcate. Detto questo rispondo al reale quesito sul miele. Prima di tutto sono in disaccordo sul fatto che il miele sia come la farina e che la sua microflora sia compatibile con quella dello sfarinato e/o della madre. Inoltre occorre distinguere se è miele di nettare o di melata (escrezioni zuccherine di alcuni insetti). Da un punto di vista strettamente microbiologico il miele 3.2< pH <4.2 (farina 5.8<pH<6.2) ha una composizione zuccherina estremamente variabile (circa venti zuccheri differenti) e varia (dipende dal tipo, periodo, ecc.) in cui dominano glucosio e fruttosio, ha una microflora rappresentata da microrganismi veicolati dalle api e presenti nel nettare dei fiori e permetterà lo sviluppo solo degli osmofili e a quei valori di pH. Contiene inoltre lisozima come difesa naturale contro i batteri Gram + e tracce di neomicina e streptomicina antibiotici prodotti proprio dalle api, enzimi, proteine, acidi, acqua, minerali ecc.. Possono essere presenti: spore di sporigeni, gen. Acetobacter , Lactobacillus, Saccharomyces e bacilli patogeni per le api stesse come B.larvae. Il miele lo utilizzano unicamente perché apporta saccaridi differenti utilizzati come nutrienti per la microflora e non solo glucosio, maltosio, ecc., prodotto dalla degradazione enzimatica dei componenti dello sfarinato anche se personalmente sono molto dubitante per quanto riguarda il suo utilizzo nel rinfresco della madre proprio perché contiene antibiotici naturali che potrebbero danneggiare i lattici, essendo la maggior parte di essi proprio Gram +, acido gluconico e acqua ossigenata prodotta dall'azione della glucoso - ossidasi. A questo punto ci tengo a fare un'altra precisazione che ribadisce ancora una volta che nella microflora della madre vi è S. cerevisiae e che è aggiunto insieme ad altre specie nel momento in cui si usa, per esempio proprio il miele nel rinfresco. Grazie a lei. Un saluto cordiale
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Mantenimento della pasta madre legata
Buongiorno Dott.ssa, vorrei conservare la mia pasta madre con il metodo "legata". Ho letto su vari libri che l'ideale è mantenerla a 18° per diverse ore. Purtroppo ogni Maestro indica un tempo di stazionamento del lievito legato a 18° diverso, chi 8h max, chi 12h chi addirittura 16h-24h. Preciso sempre con rinfresco 1:1 e 45% di acqua sulla farina. Mi potrebbe indicare il tempo ideale di stazionamento del lievito a 18°C, presupponendo ovviamente di avere un lievito maturo e con rinfresco 1:1. Grazie e saluti.
Buongiorno a lei. Come ha già anticipato, non c'è una metodica standard disciplinata, universale che vada bene sempre, in ogni situazione, per tutte le madri e per tutti. Ogni artigiano mantiene la madre in base alle proprie esigenze, tecnica tramandata o imparata, conoscenze, aromi che vuole ottenere, ecc. La gestione non potrà mai essere uguale per tutti, perché il microbiota delle madri artigianali/ casalinghe, con le relative iterazioni microbiche, è differente e di conseguenza gli aromi che svilupperà saranno completamente differenti. Personalmente non amo le note acetiche pungenti per cui mi affido ad una gestione che mi permetta di avere note di testa molto più lattiche. Per ottenere questo, rinfresco la madre con farina 350<W<380 e acqua 44% sulla farina mantenendo farina:madre = 1:1. A quel punto, dopo legata, la lascio a +18°C per 24 ore. Lo stoccaggio per qualche ora a +4°C lo utilizzo in situazioni estreme di temperatura elevata o nell'eventualità in cui non possa avere costanti i +18°C. In questo caso, appena le corde iniziano a tendere, conservo la madre a +4°C. La porto a temperatura ambiente circa 1 - 1.5 ora prima del rinfresco che generalmente opero quotidianamente. Nella speranza di esserle stata di aiuto e di non averle confuso ulteriormente le idee, le invio i miei più cordiali saluti.
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Panettoni: perché si capovolgono?
Gentile dottoressa Simona, porgo l'occasione per congratularmi con lei per la rivista che leggo sempre appassionatamente e per lo spazio SOS a noi riservato.
Avrei due domande da porle :
- Ho letto da precedenti domande sui panettoni che lei definisce corretta, o più corretta la temperatura di sfornamento di 102-103 al cuore del prodotto, rispetto ai 94-96 gradi che usano altri docenti.
Che differenza c'è da un punto di vista tecnico e scientifico?
- Da un punto di vista tecnico e scientifico qual'è il reale motivo del capovolgimento dei panettoni appena sfornati.
Spero di essere stato chiaro e lineare nelle domande e approfitto ancora per porgere i miei personali complimenti a lei e a tutta la testata giornalistica e grazie mille per la Sua disponibilità. Un caro abbraccio.
Buongiorno a lei. Come ogni valore, anche la temperatura riportata in qualsiasi ricettario è sempre molto indicativa, perché dipende prima di tutto dalla tipologia di cottura (convezione, conduzione, irraggiamento) dalla tipologia di forno, dalla propagazione di calore all'interno della stessa camera di cottura, ecc. Molto spesso si fa solo riferimento alla temperatura a cuore senza specificare se il panettone è ricoperto dalla ghiaccia, se è cotto all'interno di un forno a conduzione/convezione, se è "alto" o "basso", ecc. Personalmente preferisco, nei panettoni ghiacciati, una temperatura a cuore intorno a 100°C rispetto a 94 - 96°C (equivalente indicativamente a 5 - 7 minuti in più di infornamento a 180°C) con cottura statica, a parità di tipologia di prodotto e condizioni operative, in quanto la presenza della ghiaccia superficiale limita notevolmente l'evaporazione d'acqua creando un prodotto con UR interna maggiore. Su produzioni limitate casalinghe questo non ha molta importanza in quanto i prodotti sono consumati in brevissimo tempo, ma su scala artigianale potrebbe essere un problema per la shelf life soprattutto se i prodotti sono anche farciti. Per quanto riguarda il suo secondo quesito , l'aumento di volume di un prodotto in funzione della temperatura è legato soprattutto a una legge chimico - fisica (1 legge di Gay - Lussac) in cui i due parametri sono in relazione lineare tra di loro. Le microbolle di anidride carbonica intrappolate nell’ impasto, prodotte dai microrganismi lieviti - LAB, forniscono a loro volta il luogo dove il vapore acqueo, formatosi per innalzamento termico, si raccoglie e si espande, operando una lievitazione fisica tipica del prodotto in cottura. Se la struttura è rigida (per esempio nel pane) le bolle restano inglobate in essa e, nonostante resti valida la legge in questione, la struttura stessa del prodotto evita il classico "collasso strutturale" per riduzione del volume. La struttura di un panettone o più in generale di un grande lievitato è molto morbida nella quale sono oltretutto inglobati ingredienti con massa, volume, peso specifico e densità maggiore. L'abbassamento repentino della temperatura durante lo sfornamento abbinato al semplice movimento durante lo spostamento in cottura, creano delle microfratture superficiali attraverso le quali può fuoriuscire (perdita) parte del vapore acqueo, gas ecc. L'abbassamento della temperatura, in una struttura morbida, coincide quindi con la riduzione del volume (effetto "souffle"). Capovolgendo il prodotto, si sfrutta l'azione attrativa della forza di gravità che impedisce il collasso strutturale per riduzione della temperatura. Spero di esserle stata utile. Nel ringraziarla per la stima e per essersi rivolto al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
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Zucchero nel bagno per la madre
Gentilissima Dott.ssa Lauri volevo porle una domanda: lo zucchero nel bagnetto del lievito madre è utile? Se SI/NO per quale motivo? Grazie come sempre.
Buongiorno a lei. Prima di rispondere direttamente al suo quesito, gradirei fare un a semplicissima precisazione. Contrariamente a quanto si pensi, il "bagno" non è una tecnica routinaria, anzi esattamente il contrario e da adottare solo all'occorrenza cioè quanto la madre presenta caratteristica tecniche, sensoriali e microbiologiche che la richiedono. In linea di massima si procede o quando la madre è "troppo forte" o è "troppo acida" e comunque mai quando si presenta "debole". Una madre che gode di ottima salute, rinfrescata quotidianamente, conservata a temperatura adeguata, che "lavora" bene, non ha alcuna necessità di essere lavata o messa a bagno. Premesso questo, ritorno al suo quesito iniziale. Il saccarosio (disaccaride glucosio+fruttosio) è aggiunto in quantità pari a 1,0 - 2,0 g/l di acqua in quelle situazioni estreme in cui la madre si trova in condizioni di ridotta sopravvivenza cellulare per situazioni chimico - fisiche interne che ne hanno limitato/ridotto lo sviluppo/attività metabolica. I lieviti mostrano attività invertasica (attività enzima invertasi) in corrispondenza della membrana per cui determinano un aumento della disponibilità di carboidrati fermentescibili (glucosio e fruttosio) utile per quei LAB che non fermentano o fermentano molto lentamente il saccarosio (Gobetti e al. 1994b). Alcune iterazioni tra LAB e lieviti si basano su fenomeni di non competitività per la fonte di carbonio. L’utilizzazione dei carboidrati solubili da parte dei LAB, di conseguenza, la loro produzione di acidi, è largamente influenzata dal lievito associato. La mancanza di competizione per la principale fonte di carbonio è essenziale per la stabilità dell’associazione LAB-lieviti, per esempio: il lievito S. exigus usa glucosio e fruttosio non competendo quindi con il LAB L. sanfranciscensis per il maltosio. L. sanfranciscensis idrolizza il maltosio e accumula nel mezzo glucosio, che può essere utilizzato dai lieviti maltosio negativi come S. exigus o può prevenire competitori per il maltosio attraverso la repressione da glucosio, dando così vantaggio a L. sanfranciscensis. La crescita batterica e la produzione di acido lattico e acetico decrescono per il veloce consumo di maltosio e specialmente di glucosio da parte di S. cerevisiae quando associato con L. sanfranciscensis contenente queste fonti di carbonio. Quando L. plantarum è associato invece con S. cerevisiae in presenza di saccarosio come fonte di carbonio, aumenta la resa cellulare e la produzione di acido lattico per idrolisi del saccarosio in glucosio e fruttosio (maggiormente utilizzabili) ad opera del lievito. Mediante la fermentazione degli zuccheri i batteri lattici producono l’energia necessaria (ATP) per i loro processi biosintetici. Gli esosi (glucosio, mannosio, fruttosio) sono fermentati secondo due vie principali, la via glicolitica di Embden-Meyerhof (EM) e la via del 6- fosfogluconato-fosfochetolasi. Gli zuccheri possono essere trasportati all’interno della cellula microbica sia come zuccheri liberi che come derivati fosforilati. Nel primo caso lo zucchero passa usando semplicissimi trasportatori di membrana; nel secondo caso invece è trasportato mediante l’intervento di una fosfotrasferasi (enzima) dipendente dal fosfoenolpiruvato accumulato nel corso della fermentazione e che funge da donatore di fosfato. Mi scuso immensamente se ho usato un linguaggio molto tecnico,ma le complesse iterazioni LAB - lieviti in una madre sono così complesse e in continua evoluzione, che è quasi impossibile semplificare i termini. Gli stessi Autori microbiologici specifici che studiano, ogni giorno le madri, faticano a comprendere pienamente tali complessità biochimiche e cellulari di sistema. Un saluto cordiale e a disposizione
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Pasta e addittivi
Buongiorno scusate se oso importunarvi ma non riesco a trovare risposta a due dubbi che mi assillano da tempo e chiedo il vostro aiuto.
Primo dubbio
In commercio è possibile trovare pasta senza glutine, pasta di riso, pasta di farro e orzo, di grano saraceno, ecc.
Domanda:
La dicitura “pasta” sulla confezione non è quindi limitata ai prodotti ottenuti esclusivamente da semola di grano duro ma può essere prodotta anche partendo da altri vegetali?
Secondo dubbio
Per migliorare le caratteristiche tecnologiche degli sfarinati è possibile l’uso di una serie di addittivi, compreso il glutine secco.
Domanda:
Tale impiego è ammesso anche per gli sfarinati di grano duro? Anche per la semola per la produzione di pasta?
Scusate ancora e vi ringrazio
Buongiorno a lei. In risposta al suo primo quesito, le riporto la legislazione in proposito che, per lo specifico settore della pasta, è il DPR 187/2001 nonché il successivo aggiornamento DPR 41/2013 oltre chiaramente al Reg. Ue 1169/2011, per quanto riguarda la corretta etichettatura. Per quanto riguarda invece il suo secondo dubbio, faccio sempre riferimento all'attuale normativa. L'aggiunta di glutine secco è regolamentata dal DM 351/94 e precisamente l'art.1 che cosi recita: " E' consentito aggiungere glutine di frumento alle farina di grano tenero" nonché l'art. 4 che ne disciplina l'obbligo della dichiarazione in etichetta oltre al rispetto del Reg. Ue 1169/2011 per quanto riguarda gli ulteriori obblighi. A sua volta, invece, il Reg. 1129/2011 Parte E regolamenta gli additivi consentiti e la loro dosi di impiego nello specifico, non ammettendo (Tab.2) l'aggiunta volontaria degli additivi coloranti. Nella speranza di aver risposto esaurientemente al suo quesito, le invio i miei più cordiali saluti.
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Rinfresco lievito madre dopo conservazione on frigo
Salve ,dopo aver conservato il lievito madre nella forma solida in frigorifero decido di utilizzarlo per panificare. Come procedo ? Lo esco dal frigo e aspetto che triplichi di volume prima di procedere con il rinfresco o posso rinfrescare direttamente. Grazie a lei
Buongiorno a lei. Rileggendo la sua email non riesco a comprendere da quanto tempo la sua madre sia in frigorifero senza rinfresco. Questa è una informazione molto importante perché l'utilizzo della stessa è proprio in funzione del tempo di stoccaggio. Mi spiego meglio; se è a +4°C da una settimana senza rinfresco occorre non solo rinfrescarla, ma portarla nelle condizioni "di forza" come attività metabolica per cui occorrono mediamente due rinfreschi in cui la sosta tra il primo e il secondo rinfresco (24 ore) avviene a temperatura ambiente e non più a +4°C. Se invece è stoccata in frigorifero da solo uno/due giorni è necessario solamente farla sostare un paio d'ore a temperatura ambiente prima del rinfresco. Di questa massa rinfrescata, una parte sarà nuovamente legata e conservata a temperatura ambiente (siamo in autunno inoltrato e andiamo verso l'inverno) per 24 ore cioè fino al successivo rinfresco (mediamente il rinfresco avviene ogni 24 ore oppure ogni 48 ore), mentre la parte che decide di utilizzare è avvolta a palla, tagliata in superficie e utilizzata dopo uno stoccaggio di 4 ore a temperatura ambiente (18 - 20°C). Spero di aver risposto esaurientemente al suo quesito. Nel ringraziarla, le invio i miei più cordiali saluti
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Problemi con panetti per la pizza
Dott.Lauri buongiorno.
Vorrei cortesemente una sua opinione. I panetti della pizza, dopo 3/4 giorni di maturazione e dopo cottura escono con bolle nere e la pizza molto croccante,quasi biscottata. Uso farina 270 W. Ho già consigliato al titolare di impastare meno quantità, ma non sono riuscito a convincere. Coso posso fare, utilizzare farina con W più forte? Uso impasto diretto, formo panetti e lascio sostare 3 ore poi metto in frigo e inizio ad utilizzo all'indomani, panetti che servono, metto fuori dal frigo un ora prima di stenderli. Utilizzo cottura ad alte temperature 400/450 forno Gas/legna. Grazie come sempre per la sua attenzione. Saluti
Buongiorno a lei. Il problema da lei descritto non penso si presenti tutti i giorni in quanto, come riesco a capire dalla sua email, gli stessi panetti subiscono uno stoccaggio variabile; alcuni li utilizza subito dopo 24 ore altri invece addirittura dopo 3/4 giorni e il problema si presenterà su quelli dopo le 24/36 ore di stoccaggio. Sulla carta, in teoria, il valore di W della farina utilizzata, non permette uno stoccaggio cosi lungo dei panetti, ma come dicevo, non è l'unico parametro da considerare. L'effetto biscottato unito a una mancanza di colorazione è una conseguenza dell'eccessivo stoccaggio e diminuzione della concentrazione zuccherina all'interno dell'impasto, mentre le bolle da una temperatura di infornata eccessiva oppure di una non corretta valutazione del momento di infornamento relativa alla tipologia dei panetti in questione. Le ricordo che la parte di monosaccaridi necessari alla tecnologia di processo derivano unicamente dal 9 - 11% di granuli di amido danneggiati (sulla totalità dei granuli presenti) durante il processo della molitura. La restante parte non ha implicazioni alcuna nel processo a meno che non si raggiunga la temperatura di transizione vetrosa (temperatura di gelatinizzazione dei granuli di amido) in cui anche i granuli interi non rotti, assorbono acqua e subiscono la degradazione enzimatica, ma a quel punto siamo nel forno. Sicuramente un miglioramento dello stato sarebbe possibile se si potesse utilizzare o una farina con min 330<W<350 oppure, come giustamente ha consigliato lei, operare più impasti settimanali di quantità inferiore. Grazie a lei e un saluto cordiale. Sempre a disposizione
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Capovolgimento panettoni 2
Dottoressa Lauri, grazie mille per la sua risposta.
Ecco nei dettagli la lavorazione: sto procedendo con una ricetta che prevede tutta la farina nel primo impasto e le solite aggiunte di burro, zucchero e lievito madre. L’impasto lo chiudo intorno ai 25/26 gradi e lo lascio lievitare fino al triplicare della massa, ci vogliono circa 12 ore…una volta pronto lo faccio incordare per bene ed inizio ad aggiungere il resto degli ingredienti: zucchero, uova, burro, miele ed aromi. Sono sempre molto attento a non superare I 26 gradi durante la lavorazione altrimenti, da come ho constatato da diverse esperienze, la maglia glutinica si sfalda…diventa come un impasto per plumcake…
Una volta terminato lo faccio riposare un oretta sul bancone, lo peso e do una preforma, dopo un altra mezzora formo ed inserisco nel pirottino. Lascio lievitare per 6 ore, a volte un po di più, fino a quando arriva almeno ai tre quarti del pirottino. Incido, noce di burro e via in forno. Devo dire che ho anche provato la ricetta che prevede l’inserimento di una parte di farina nel secondo impasto con il solito risultato della massa a terra una volta capovolto. Solitamente lo cucino per 45 minuti per pezzature da 750 grammi.Comunque devo ammettere che non sviluppa molto in cottura, forse due volte.Non ho mai controllato la temperature interna ma sicuramente lo farò la prossima volta. Il gusto non è nemmeno male, non percepisco sentori di acido, a volte però in passato mi capitava eccome.
Dalla sua risposta penso di aver capito che forse il mio problema è il lievito madre. Ho sempre utilizzato la stessa farina da quando ho creato la coltura(vivo in Australia ed ho acquistato da un mulino locale una farina con proteine maggiori a 14%(premium baker white flour), pero non saprei dirle le specifiche, nemmeno nel sito le scrivono.
Il lievito l’ho realizzato utilizzando yogurt , senza frutta macerata e lo tengo libero. In base alle mie esigenze lo tengo con una idratazione del 60/70% altrimenti in vista del panettone del 45/50%. Nei gg che precedono l’impasto solitamente rinfresco il lievito due volte al gg ad orari precisi con un intervallo di 12 ore da un rinfresco all'altro, tenendolo sempre libero. Il giorno dei 3 rinfreschi che precedono il primo impasto, faccio il bagnetto con diluito un grammo di zucchero per litro d’acqua. Solitamente viene a galla dopo una ventina/trentina di minuti. E da li procedo. Non mi pare ci siano problemi nel triplicare durante le 3 ore e mezzo da un rinfresco e l’altro. Se il mio lievito fosse il problema sono contento di creare una nuova coltura e questa volta tenerla a bassa idratazione e legato. Questo è quanto.La ringrazio per il suo grande aiuto, e spero di venire presto in italia e poter partecipare ad un corso sui grandi lievitati.
Buongiorno a lei. Mi scusi ma per email è estremamente difficoltoso capire nei dettagli una problematica come questa legata allo sfaldamento della struttura glutinica. In ogni caso confermo la mia prima ipotesi: potrebbe essere un problema di farina e il 14% di proteine totali non mi dice assolutamente nulla per quanto riguarda le sue caratteristiche reologiche né tanto meno la caratteristica enzimatica (proteasi aggiunte che in presenza di tempi lunghi e bassi valori di pH incidono sulla struttura glutinica). Inoltre non è implicito che un elevato valore di proteine totali corrisponda a valori di W e P/L adeguati per quel tipo di lavorazione. Purtroppo non riesco a valutare neanche il lievito da un punto di vista sensoriale. Non sempre quello che è corretto sulla carta (teoria) corrisponde alla correttezza da adottare per la specifica della madre in questione. Magari basta allungare i rapporti, valutando la modalità di apertura delle orecchie, ma andrei solo per tentativi e rischio i classici abbagli. Provi, se è possibile, a cambiare farina e a usarne un'altra con una % inferiore. Un saluto cordiale e a disposizione.
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Pane, farina integrale e inulina.
Dottoressa, non sono riuscita a utilizzare il link, ma conosco la sua posizione per averLa sempre seguita. Quello che mi incuriosiva era sapere da un'esperta come Lei se, ammesso e non concesso che sia preferibile consumare una pizza 100% integrale, si riesce poi a trovare una farina adatta alle lunghe maturazioni che Lei consiglia di effettuare con tutte le farine, ma in special modo con quelle integrali. Mi pare di aver capito di no, e questa è una conferma ai miei sospetti, per cui le pizze integrali buonissime che qualcuno dice di mangiare, o non sono buonissime o... non sono integrali. Come le avevo detto si trattava di curiosità, io non intendo affatto preparare pane o pizza 100% integrale, ma sono seccata che un nutrizionista che stimo, e con un vasto seguito su YouTube, su pane e pizza abbia scantonato. Per fortuna Lei non è la sola a metterci in guardia nell'utilizzare correttamente le farine integrali, tant'è che in un sito abbastanza autorevole si dicevano le stesse cose, per concludere come semmai potesse essere utile aggiungere delle fibre alla farina. Mi riferisco in particolare all'inulina, di cui ho cercato di comprendere pregi e difetti perché la utilizzo come integratore dei solidi nella preparazione dei gelati casalinghi. Se posso permettermi una nuova domanda, le chiedo se ha esperienza di un suo uso in panificazione, o qual è il suo parere sul suo uso. È vero che migliora il pane e, se si, come? Grazie per la sua pazienza e competenza. Un peccato che non abbia un suo canale su YouTube.
Buongiorno a lei. Un canale su YouTube sarà sicuramente il mio prossimo obbiettivo e sogno nel cassetto! Per ora mi limito a dirigere questa testata giornalistica di cui mi vanto di essere stata anche il fondatore tre anni fa. Grazie comunque per la stima e per essere una nostra assidua lettrice. Ribadisco che il pane per sua natura non è un alimento che possa apportare significativamente "fibra" e "vitamine" al nostro organismo anche se realizzato con 100% farina integrale in quanto a 220°C tutte le vitamine lipo e idrosolubili si disattivano e l'apporto di fibra è comunque limitato. Basta consultare un qualsiasi sito ufficiale scientifico per averne la certezza (http://nut.entecra.it/646/tabelle_di_composizione_degli_alimenti.html?alimento&nutriente=tutti&categoria=tutte&quant=100&submitted1=TRUE&sendbutton=Cerca)
In ogni modo ricordo che tutti i panificatori artigiani, pasticceri, pizzaioli, ecc. sono tenuti obbligatoriamente a rispettare norme nazionali e comunitarie i cui contenuti, molte volte, sono in contrasto con quello che i nutrizionisti dicono e gli artigiani non possono violare le leggi, pena sanzioni amministrative anche pesanti, solo perché un nutrizionista ha consigliato questo o quest'altro alimento. (vedasi per esempio claim: "senza lievito", uso additivo colorante E153, o come in questo caso utilizzo 100% farina integrale ecc.) A tale proposito riporto il Reg. Ce 1924/06 per quanto riguarda l'uso specifico in etichetta di alcuni claims valevoli per tutti gli alimenti non solo per il pane, prodotti da forno ecc., tra i quali proprio: FONTE DI FIBRE "L'indicazione che un alimento è fonte di fibre e ogni altra indicazione che può avere lo stesso significato per il consumatore sono consentite solo se il prodotto contiene almeno 3 g di fibre per 100 g o almeno 1,5 g di fibre per 100 kcal." o il successivo AD ALTO CONTENUTO DI FIBRE "L'indicazione che un alimento è ad alto contenuto di fibre e ogni altra indicazione che può avere lo stesso significato per il consumatore sono consentite solo se il prodotto contiene almeno 6 g di fibre per 100 g o almeno 3 g di fibre per 100 kcal". Da parte sua la farina di frumento integrale (cosi come definita nel DPR 187/01) può già usufruire del claim "Fonte di fibre".
Per quanto riguarda invece l'utilizzo dell'aggettivo qualificativo INTEGRALE, nello specifico settore dell'Arte Bianca, ricordo che la Circolare MAP n. 168/2003 G.U. n. 4/2004 riporta: "L'uso, poi, del qualificativo «integrale» nella denominazione di vendita (esempio: biscotti integrali) risulta coerente sia nel caso di utilizzo di farina di frumento integrale acquistata come tale da aziende molitorie, sia nel caso in cui si ottenga tale prodotto, con le medesime caratteristiche, nell'ambito dello stesso opificio, ove viene utilizzata, aggiungendo crusca e/o cruschello alla farina di grano tenero. Il termine «integrale», infatti, implica la presenza di crusca e/o di cruschello in quantità tale da assicurare un significativo apporto nutrizionale di fibre nel prodotto finito...."
Tornando al suo quesito non c'è, a mio modestissimo parere, una farina 100% integrale adatta, unica e specifica per prodotti realizzati con metodiche indirette lunghe (max 28 - 30 ore di cui 24 ore in biga!) E' un obbligo tecnico lavorare cosi le farine integrali per le motivazioni già espresse; alcune reggono, altre invece no. Per quanto riguarda invece l'uso dell' inulina nel pane, prodotti da forno in generale, non ho né esperienza personale né documentazione mia se non ciò che è citato in letteratura per lo più riferito alla sola e specifica linea gluten free. Vorrei inoltre focalizzare la sua attenzione anche sul fatto che l'inulina in quanto FODMAP (acronimo di Fermentable, Oligo-, Di-, Mono-saccharides And Polyols), in soggetti sensibili a questo assorbimento, può creare sintomatologia associata alla Sindrome da Colon Irritabile e Sensibilità al glutine NON celiaca e molto spesso confusa proprio con celiachia o altre patologie legate alla presenza del glutine. Un saluto cordiale e grazie per il quesito. A disposizione
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Capovolgimento panettoni
Salve Signora Lauri, la seguo da sempre e da un paio d'anni cerco di riuscire nell'impresa del panettone a casa. Ho sempre un problema che mi perseguita: dopo aver capovolto il panettone quest'ultimo si stacca e cade a terra. Non riesco a capire cosa e dove sto sbagliando. Il lievito? La farina? Il metodo di lavorazione? Potrei scriverle come tengo il lievito madre, come lo rinfresco, farina, ricetta ecc. se le fosse d'aiuto. Ho rifatto anche nuovamente il lievito madre perché pensavo fosse la causa del mio problema. Non so cosa fare, se può darmi qualche dritta sarebbe un ottimo aiuto. Grazie mille
Buongiorno a lei. Il problema del "distacco" generalmente interessa la ghiaccia quando i panettone/colomba/veneziana/ecc. sono infornati troppo presto. Questa si rompe in cottura e quando capovolge si stacca. Il distacco invece della massa può dipendere da alcuni fattori tra i quali: una madre troppo "forte", acida e con valori di pH bassi, utilizzo di una farina troppo debole per quel tipo di lavorazione, sfornamento precoce e non raggiungimento a cuore di 102 - 3°C, mancata asciugatura interna, temperatura del forno troppo alta ecc. Cortesemente mi descriva nei dettagli la lavorazione riportando tempi e temperature. Grazie a lei. Un saluto cordiale
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