Hai un problema tecnico di produzione nel settore dell'arte bianca (pane, pizza, grandi lievitati, prodotti da forno in generale)? Il tuo prodotto ha un difetto? Hai bisogno di consigli? Esponi il tuo problema e Simona Lauri ti risponderà nel più breve tempo possibile.
Pane e impostazione forno
Buongiorno dottoressa vorrei realizzare qualsiasi tipo di pane nel forno a legna.partendo dal presupposto che realizziamo tutto con criterio dall impasto alle varie temperature volevo sapere come
Devo impostare il forno? Grazie e buona giornata
Buongiorno a lei. Acceda il forno e mantenga la fiamma fin a quando la volta non diventi bianca. A questo punto tolga la fiamma, pulisca bene la platea, chiuda la bocca e attenda che il forno si stabilizzi alla temperatura di infornamento in base alla pezzatura. Può anche fare più infornate. Grazie a lei e buona giornata
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Corretta percentuale di lievito nei lievitati dolci
Gentile dottoressa, di recente le ho posto un quesito, certamente mal formulato o fuori tema, per cui non ho ricevuto risposta. Spero che questa volta il mio quesito sia pertinente. Mi piacerebbe poter approfondire le problematiche inerenti ai lievitati, ma non conosco testi adatti a me, ovvero a una semplice casalinga, che non potrebbe neppure comprendere un manuale dedicato ai professionisti del settore. Avrebbe qualche testo da consigliarmi, non solo sul pane, ma in generale sui lievitati? Sarebbe fantastico se potesse scriverlo Lei! Vengo ora al mio quesito: ricordo di aver letto, qui sul magazine, che nella preparazione di una pasta grassa come quella brioche, sarebbe giustificata una percentuale di lievito del 4% sulla farina. Non ho però compreso se è sbagliato, o che rischi si corrono utilizzando una percentuale di lievito minore di questa. Per fare un esempio, la ricetta di famiglia dei "frati fritti", che contiene il 10% di burro o strutto, il 20% di uova, il 50% di latte e il 10% di zucchero (percentuali riferite al peso della farina), prevedeva il 6,5% di lievito, ma io ne utilizzo il 2%, allungando così i tempi della lievitazione e scegliendo una farina un po' forte, circa 330W. Uguale percentuale di lievito e tipo di farina, utilizzo quando preparo i croissant, pasta ancora più magra in quanto nell'impasto non utilizzo burro , ma solo il 10 % sia di uova che di zucchero, e latte e acqua in percentuale del 48%. Aggiungo che in entrambi i casi faccio riposare la massa in frigorifero a 4 gradi per circa 12 ore, ma non faccio alcun preimpasto. Quale percentuale di lievito consiglia di utilizzare nei due casi e nel caso di una pasta brioche, con percentuali di grasso maggiori di queste? Grazie per l'attenzione ed un'eventuale risposta.
Buongiorno a lei. Mi scusi, ma ricevo tantissime email e sono l'unica in redazione a rispondere, il servizio è gratuito per cui chiedo cortesemente di avere un pochino di pazienza se non riesco a evadere in tempi brevi le vostre domande. A meno di errori di server a tutti do risposta, il ritardo è dato solo dai miei personali tempi tecnici e non dalla pertinenza degli argomenti, perché tutti sono pertinenti e tutti sono leciti. L'unico caso in cui le domande non sono evase è quando i lettori chiedono le ricette perché esula dall'obbiettivo del servizio tecnico SOS online della testata. Tornando al suo quesito, purtroppo non riesco a consigliarle altri testi sui lievitati se non quelli scritti dai professionisti artigiani. Sul pane,pizza, prodotti da forno, lievitati, personalmente ne ho scritti quattro, ma può trovare molte info anche su questa testata all'interno di più rubriche, dalla scienza alle ricette spiegate dettagliatamente; sono a disposizione per qualsiasi chiarimento. Per quanto riguarda la percentuale di lievito fresco, è vero, se si aumentano le dosi di tuorli, burro, zucchero occorre aumentare la percentuale di lievito. Personalmente non ho mai usato il 6,5% di lievito al massimo, nei casi estremi di "fretta", sono arrivata per impasti così "difficili" per l'attività metabolica al 5,0%. E' corretto comunque abbassare il lievito, aumentare leggermente il W della farina (300 - 310W) ed allungare i tempi. Personalmente, per impasti un pochino più magri rispetto alla pasta brioche, come appunto i croissant, al posto del 2% utilizzerei anche l'1 - 1,5% sempre per lavorazioni oltre le 24 ore e stoccaggio a +4°C. Dopo il freddo dia sempre pieghe di rinforzo prima di iniziare la lavorazione e poi proceda con la fermentazione. Scusandomi nuovamente per il ritardo, le auguro una buona giornata.
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Farina integrale brucia ferro
Ciao Simona vengo a riproporti un commento di una mia cliente ad un mio post sulle Farine semintegrali: A me hanno detto che l'impasti semintegrale brucia ferro nel nostro organismo, o mangiare integrale o bianco ne avete sentito parlare o come sempre una bufala per non farci capire più niente. Grazie infinite per la cortese risposta... ed a presto !!
Buongiorno a lei. Mi scusi ma cosa intende per farine semintegrali? Questa denominazione di vendita non è lecita perché non rientra nelle tipologie di sfarinati da DPR 187/01 per cui non riesco a comprendere a quale Tipo si riferisca. Indipendentemente da questo, per commentare da panificatore, tecnologo alimentare, dovrei sapere esattamente il contesto nel quale è stata detta la frase e il motivo. In ogni caso di bufale, fake in arte bianca ce ne sono veramente troppe e ogni giorno ne sento una nuova. Traggo spunto da questa sua email e le chiedo scusa per questo, per invitare più persone possibile a questo convegno http://www.quotidiemagazine.it/events/arte-bianca-fake-news-disinformazione-reati-e-sanzioni dove, in qualità di professionisti del settore con il supporto fondamentale di medici, ispettori e carabinieri del NAS cercheremo di limitare lo tzunami delle fake e dei reati. Grazie a lei e buona giornata
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Formazione del glutine senza impastare
Gentile Dott. C’è chi dice che se si mette un’impasto appena impastato a fermentare nel frigo il glutine si forma da solo grazie alla fermentazione di se stesso. È possibile? Secondo ho studiato se non si mette energia mecanica sull’ impasto la maglia glutinica non si forma
Buongiorno a lei. Il glutine non si forma assolutamente per fermentazione ma per iterazione chimica tra le proteine insolubili e l'acqua. In conseguenza alla variazione di temperatura, si modifica il punto isoelettrico dei residui amminoacidici, che a sua volta modifica il comportamento acido/base portando alla formazione di legami intra e inter molecolari oltre a legami con le molecole di acqua. L'agitazione meccanica contribuisce inoltre alla modifica della struttura nativa proteica (da disordinata a ordinata) portando proprio alla configurazione del network glutinico. E' a questo punto che possiamo parlare di glutine non prima. Prima si parlerà di sfarinati che contengono gliadine e glutenine che daranno con acqua e agitazione meccanica il glutine. Detto questo, è chiaro che mediante agitazione meccanica (impastamento) l'azione della modifica della struttura e dei legami tra le proteine insolubili sarà molto veloce, giusto il tempo dell'impastamento circa dieci - quindici minuti, nel caso di impasti per pane e pizza. Se invece sia procede solo con la miscelazione degli ingredienti, la formazione del glutine sarà molto rallentata a tal punto che si dovrà intervenire con una serie di pieghe di rinforzo. Nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio le invio cordiali saluti
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Maturazione impasti con diverse farine
Gentile dott.ssa Lauri,
consideriamo due impasti. Nel primo si utilizza una farina debole e, con una certa quantità di lievito e ad una certa temperatura, si porta la lievitazione a coincidere con la maturazione.
Nel secondo impasto invece si utilizza una farina forte, ma rispetto al primo impasto, si riduce la quantità di lievito e la temperatura (ad es. 4°C) e si allungano i tempi di lievitazione/maturazione a 24, 48 e 72 ore in modo che l'amilolisi e la proteolisi possano completarsi.
In cosa si differenzieranno qualitativamente i due impasti al termine della lievitazione/maturazione? Grazie della disponibilità.
Buongiorno a lei. Il problema attuale di tutti i pizzaioli è quello di fare a gara a chi fa "maturare"l'impasto per più tempo. Questa gara porta a "chiedere" farine in grado di supportare questa lungaggine folle ed esagerata e arrivando addirittura a chiedere circa 500W (neanche fosse l'ultimo modello di autoveicolo!) e pertanto davanti a tale richiesta assurda, ecco ...lo sfarinato "magico", creato apposta per l'occasione! Della W naturale di partenza di quella/e cultivar però, a quel punto, non c'è più nulla. Il problema è che ogni farina si comporta diversamente proprio perché ha determinate e ben specifiche caratteristiche reologiche date dal naturale rapporto gliadine/glutenine ecc.specifico della varietà e/o delle cultivar miscelate tra loro da parte del mugnaio per ottenere lo sfarinato finale dalle caratteristiche reologiche ben definite. Chiaramente, essendo una matrice vegetale e costantemente soggetta a modifiche naturali (clima, concimazione, cultivar, ecc.), non ci si può riferire alle analisi riportate sulle schede tecniche pubblicate su internet ed eseguite su campioni differenti, magari uno/due anni prima o per lo meno questi valori devono essere presi solo come parametri molto, molto, molto indicativi proprio perché non eseguite sul lotto in consegna. Più una farina ha valori di S e W (massimo 350!!!) elevati, purché 0,40<P/L<0,60, più è in grado di sopportare tempi lunghi di impastamento, lavorazione, fermentazione ecc. Si possono ottenere gli stessi risultati lavorando una 220<W<250 per tempi corti o una 300<W<330 per tempi di 48 ore a parità di concentrazione di sale, lievito, zucchero, ecc. e/o parametri come temperatura ecc. Non c'è differenza, l'importante è avere la consapevolezza di quello che si sta facendo in termini di temperature, tempi, ecc. La maggior parte dei pizzaioli lavora con farine che possiedono proprietà reologiche non adeguate ai tempi/temperature di lavoro per cui, molto spesso, il prodotto è gommoso, tenace e l'impasto non si "sfibra" o è "rigido". In base alle ore totali della lavorazione, si dovrà scegliere obbligatoriamente una farina con caratteristiche adeguate. In termini di risultati, a parità di parametri operativi, si possono ottenere due prodotti ottimi in entrambi i casi. Sfatiamo il mito ... più è lunga la lavorazione, migliore è il risultato. Diciamo che buona parte dei pizzaioli non è abituata a lavorare con farine medio/deboli in termini di W. Grazie per essersi rivolto al nostro servizio. Un saluto cordiale.
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Fermentazione lattica
Buonasera dottoressa, ho sentito spesso, da parte di alcuni pizzaioli, che è possibile fare una biga modificata per avere una maggiore carica lattica. Quali vantaggi avrebbe sul prodotto finale? Come si ottiene? Grazie e complimenti per la rubrica
Buongiorno a lei. Prima di tutto mi preme sottolineare che per essere definita "biga" nel senso corretto del termine l'impasto deve essere realizzato con: farina, 45% di acqua e 1,0% di lievito di birra fresco o conosciuto con la sua corretta denominazione scientifica S. cerevisiae. Ora, se non faccio un inoculo di batteri lattici specifici, la "carica lattica" e/o la fermentazione lattica, nelle ore/temperatura standard di gestione di una biga, non prenderà il sopravvento sulla fermentazione alcoolica. Il lievito di suo produce anche acidi ma non in concentrazione tale da essere superiore ai prodotti primari della fermentazione alcoolica. Se desidero avere una concentrazione di acido lattico dominante lavorerò e gestirò la madre (non la biga) in condizioni opportune per portare i lattici omo e eterofermentanti presenti nelle condizioni tali da "addolcirla latticamente" rispetto alla nota acetica. Come si ottiene la biga modificata per avere una maggior carica lattica? Mi scusi ma questa domanda la faccia direttamente ai pizzaioli che sostengono questa tesi. Grazie a lei per essersi rivolto a questo servizio. Buona giornata e a disposizione
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Inserimento correto ingredienti
Buongiorno sono un semplice appassionato e mi sono imbattuto in ricette e metodiche di inserimento degli ingredienti molto diversi tra loro sui panettoni. Sono molti anni che mi diletto a farli anche in stagioni non appropriate ma il problema maggiore è la formazione del glutine in tempi e temperature corrette. Posseggo una spirale 10 l con inverter che scalda parecchio..7/9 gradi.. magari perché inserisco lentamente ma male gli ingredienti. Ho riletto più volte il suo libro "I segreti di un arte" dove indicativamente al tipo di ricetta dice di incominciare l impasto dall acqua se presente in ricetta, poi zucchero,farina,uova sale aromi burro. Un altro professionista affermato consiglia farina e uova e formata la maglia glutinica poi zucchero magari mischiato a uova.. sale aromi burro.
l altro giorno una ricetta identica di un altro professionista indicava l inserimento con farina zucchero, burro,tuorli. Ora non capisco se sia errato o serva ad avere caratteristiche diverse. Non ho inserito nell'elenco la madre perché non ho capito quando inserirla. Generalmente io la inserisco dopo aver idratato tutta la farina indicativamente a metà fase. Spero di non averla annoiata, ma di bufale e professionisti della rete mi sono stancato e vorrei una conferma da lei. Grazie. Con grande stima.
Buongiorno a lei. Il problema, la maggior parte delle volte, è proprio nell'utilizzo dell' impastatrice a spirale. Magari non è questo il suo caso, ma da quello che posso capire ha un riscaldamento eccessivo che non sempre è compatibile con la riuscita ottimale di impasti che, al contrario, richiederebbero una buona ossigenazione e possibilmente un minor riscaldamento inteso come azione meccanica di danneggiamento/snervatura. Nel settore dell'arte bianca, a livello artigianale, ogni professionista opera sia con tecniche sia ricettazioni che ritiene più opportuno e personalmente non ho la pretesa di insegnare nulla a nessuno. Per esperienza personale le dico che, nel primo impasto, parto da acqua e zucchero perché la parte zuccherina proprio nel primo impasto, nella quasi totalità delle mie ricette, è circa il 25% sulla farina per cui preferisco evitare danni alla struttura glutinica. Il burro è sempre dopo i tuorli perché la sostanza grassa esplica maggiormente la sua funzione se vi è min il 23% UR. Da questo si deduce che l'ordine di introduzione degli ingredienti nel primo impasto è: acqua + zucchero, farina, malto, madre... tuorli e burro poco alla volta. Nel secondo invece: tutto il primo impasto, eventuale aggiunta di farina, miele, tuorli. Quando incordato zucchero, sale, burro e tutto il resto a piacere. Spero di esserle stata utile e nel ringraziarla per la gentilezza e la stima le invio i miei più cordiali saluti.
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la pasta di riporto può trasformarsi in biga?
Salve dottoressa Lauri, volevo chiederle se è possibile e in che modo trasformare un certo quantitativo di impasto avanzato da una precedente lavorazione in una biga da utilizzare poi in un'altra preparazione. La ringrazio per il servizio che fornisce e la saluto cordialmente.
Buongiorno a lei. La trasformazione della pasta di riporto in biga o viceversa secondo la rigorosa tecnologia scientifica della panificazione non è possibile in quanto sono due impasti differenti sia per ingredientistica sia per tempi/temperature. Ho affrontato il discorso delle bighe su questa rivista a questo link http://www.quotidiemagazine.it/archivio/2017/febbraio-2017/un-assioma-e-simona-lauri-ota-milano oppure per un discorso molto più completo e approfondito può trovare molto materiale qui http://www.slauri.it/pubblicazioni/gallery/articoli-tecnici oppure qui http://www.slauri.it/approfondimenti/altri-argomenti. Se poi qualche artigiano professionista "maestro" o qualche appassionato foodblogger a livello amatoriale pensa di inventare qualche cosa mettendo tutto insieme, stravolgendo e mettendo sempre in dubbio la scienza, cambiando il nome ai dogmi o caposaldi della tecnologia di panificazione riconosciuta e sui quali si basano anni di storia, scienza e tradizioni, beh...nessun commento. Un saluto cordiale e grazie a lei.
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Impasto si ritira in cottura (2)
Buongiorno dottoressa. mi scuso per l'incompletezza del post precedente. Farina 0,5 kg, lievito 0,4 gr, acqua a 10 gradi circa, impasto in uscita 26 gradi. semplicemente incordo l'impasto con impastatrice e faccio un paio di pieghe dopo un'ora. ho provato anche ad aggiungere 12 ore in piu' al metodo normale in frigo a 6 gradi. ma il problema si presenta ugualmente. in ogni caso grazie
Buongiorno a lei: utilizzi acqua a 10°C, temperatura impasto a fine impastamento 20°C, senza pieghe di rinforzo assolutamente, riposo in massa 2 ore, stoccaggio a +4°C per 48 -72 ore, staglio, fermentazione in teglia e cottura. Se il difetto dovesse ripresentarsi, è un problema di squilibrio della farina. A quel punto mi ricontatti. Grazie a lei e cortesemente mi faccia sapere. Buona giornata
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Impasto si ritira in cottura (1)
Buongiorno dottoressa. Circa a 5 min dal termine della cottura rispetto alla teglia il mio impasto si ritira di più di un centimetro. Potrebbe darmi un indicazione per risolvere il problema? Farina w300, fermentazione 10 ore a Ta. 70% idro, 8 gr di sale, 10 grammi olio evo. Cottura circa 15 min a 250 gradi. Forno di casa.
Buongiorno a lei. Mi scusi ma non ha riportato i Kg di farina,quantità di lievito, metodica di lavoro, temperatura acqua, temperatura impasto, ecc. In ogni caso così alla cieca senza sapere nulla, il suo problema potrebbe essere imputabile ad un eccesso di forza e tenacità. Grazie a lei e buona giornata
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Impasto con la Biga (2)
Scusi. Ma si. Uso il ldb solo nella biga. Mai ho usato il ldb nel rinfresco. Quanto ldb mi consiglia di usare e con quale tempistica? Grazie per il suo aiuto. Molto gentile
Buongiorno a lei. In riferimento al suo quesito precedente Impasto con biga (1) ritengo che con il 30% di biga sulla farina possa aggiungere lo 0.2% di ldb sempre sulla farina. Dopo impastamento, riposo in massa per circa 1 ora, staglio, stoccaggio a +4°C per 48 - 72 ore, fermentazione a +20°C per circa 1,5 ore. Grazie a lei per essersi rivolto al nostro servizio e buona giornata.
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Ancora sulla farina tipo 2
Dott. ssa le scrivo per ringraziarla per la sua risposta e per alcune precisazioni. Credo di aver compreso che il valore 6.5 di una delle due farine potrebbe in realtà essere inferiore (per fortuna non riporta nessun claim). Tuttavia non riuscivo a capire come invece l'altra farina potesse avere un valore 1,6, più basso di tutte le farine tipo zero che ho a casa. Avrei voluto scriverle nuovamente, ma poco fa ho chiamato il servizio consumatori che mi ha comunicato che la scheda tecnica riportava 4 g è non 1,6 g.
Ho così ipotizzato un banale errore di confezionamento, dovuto al fatto che tale ditta produce DUE farine con lo stesso nome e con la stessa forza, una tipo 00 e una tipo 2. In pratica potrebbero aver usato il sacchetto della 00, in quanto "Tipo2" è stato aggiunto con un timbro insieme alla data di produzione. Non so cosa pensi lei al riguardo, ma a me sembra un'ipotesi abbastanza realistica.
Buongiorno a lei. Si' la supposizione è molto realistica e l'errore ci può essere. Sinceramente, a mio modesto parere, è un "gravissimo" errore che fa incorrere l'azienda in una pesantissima (a livello di sanzione amministrativa) frode in commercio in quanto, sbagliando il confezionamento (sacchetto), in etichetta sono dichiarate informazioni che non corrispondono assolutamente al prodotto contenuto; ci sono in questo caso moltissimi articoli di Leggi nazionali e Regolamenti comunitari violati. Grazie a lei per essersi rivolto al nostro servizio. Buona giornata.
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Impasto con la Biga (1)
Ho fatto un’impasto con La Biga (30%) ed è diventato più tenace dell’impasto diretto con la stessa ricetta. Impasto: Farina 00 (W 200), idratazione 62%, sale 2% , biga 30%. Ho impastato, lasciato 2 ore a t.a dopo in frigo 24 ore, più 2 ore a t.a, staglio e lievitazione 4 ore e dopo cottura forno a legna Vorrei sapere se l’uso della biga può fare che l’impasto diventi più tenace e meno estensibile
Buongiorno a lei. E' una dimenticanza di scrittura nella email oppure non ha messo il lievito di birra fresco? Con solo il 30% di biga è consigliabile aggiungere il lievito fresco, a meno che non siano impasti per basi surgelate di pizza, ma non mi sembra che sia il suo caso, se non ho capito male la sua email. Personalmente i tempi mi sembrano un pochino lunghi. Prima puntata, frigor e poi fermentazione più corta. Si ,la biga da più forza o come si dice in gergo più "struttura", ma non diminuisce l'estensibilità a meno che, appunto, non ci sia il lievito nel rinfresco, la temperatura dell'acqua non sia di 30°C e la massa a fine impastamento non abbia circa 28 - 30°C. Spero di aver risposto al suo quesito, ringraziandola per la cortesia, le invio i miei più cordiali saluti.
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Classifica grassi
Buongiorno Dott.ssa volendo fare una classifica dei grassi, tenendo conto per la valutazione del solo aspetto nutrizionale/salutistico, usati come ingredienti nei prodotti da forno dolci e salati, quale sarebbe l'ordine tra: margarina, melange, burro, strutto, strutto emulsionato, olio di semi di girasole e olio evo? Grazie per l'immensa disponibilità e gentilezza.
Buongiorno a lei. E' abbastanza difficile fare una classificazione generica di tutte le sostanze grasse che lei mi ha citato, perché i grassi melange e lo strutto emulsionato sono a loro volta formati da più sostanze grasse miscelate tra loro in percentuali variabili oltre a contenere dolcificanti ecc. Per esempio il grasso melange nasconde molte insidie nutrizionali in quanto ogni azienda lo produce secondo la propria ricettazione. A titolo di esempio, le riporto un elenco di ingredienti contenuti in un melange per sfoglia casuale "Ingredienti: Grassi ed oli vegetali (cocco, burro di cacao, girasole, cartamo in proporzione variabile), burro concentrato, acqua, emulsionante mono e digliceridi degli acidi grassi, sale, correttore di acidità acido citrico, conservante sorbato di potassio, aromi, colorante." Lo strutto emulsionato, a sua volta, può essere dolcificato e emulsionato con cosa e in quale percentuale?
Tenendo unicamente in considerazione il profilo nutrizionale e non quello tecnologico in matrici come gli impasti, farei una generica classificazione tra: Olio EVO (se usato crudo!), burro, strutto, olio di semi di girasole, margarina. Spero di aver risposto esaurientemente al suo quesito. Nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
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Lievito di birra fresco conservato nel congelatore
Gentile Dottoressa,sono solito acquistare lievito di birra fresco in panetti da 25 grammi per la preparazione delle pizze.
Per non restarne mai senza, ormai, ho preso l'abitudine di conservarlo in congelatore. Ogni volta che devo impastare lo prelevo dal congelatore e l'utilizzo nell'impasto senza farlo scongelare prima. Molti professionisti mi hanno sconsigliato questa modalità di conservazione in quanto produce spore. Lei cosa mi consiglia? Il lievito di birra fresco come è meglio conservarlo? Grazie mille per risposta e complimenti per la sua professionalità.
Buongiorno a lei. La modalità da lei descritta è errata in tutti i sensi ma non perché il lievito a -18°C produce spore ma perché, dal congelatore casalingo all'impasto, il lievito subisce un gradiente di temperatura maggiore di 40°C passando da una situazione di -18°C a indicativamente +25°C. Le attuali cellule di lievito S. cerevisiae hanno una buona criotolleranza per la presenza di trealosio, ma la sopravvivenza della cellula a quella temperatura è comunque funzione: della modalità di congelamento (rapido o lento), del tempo di stoccaggio, dalle condizioni cellulari, ecc. E' vero che il lievito è uno sporigeno, ma non fa assolutamente le spore in quello stato di "congelamento" cellulare in cui è quasi al limite della sua stessa sopravvivenza. Premesso questo, per preservare ed avviare la normale vitalità cellulare si opera sempre un graduale passaggio dalle temperature negative alla temperatura ambiente operando un passaggio di circa 24 ore a +4°C. Se posso permettermi un piccolo consiglio e da quello che posso intuire dalle dimensione dei suoi cubetti (25 g), acquisti il lievito di birra fresco in modeste quantità e lo conservi in frigorifero cercando di non interrompere per troppo tempo la catena del freddo dal luogo dove lo acquista a casa sua, in quanto la data riportata sulla confezione le permette una conservazione anche di 15 giorni. Grazie a lei e buona giornata
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Idratazione lievito madre
Buongiorno Dott.ssa, ho notato che variando la percentuale dell'acqua sulla farina e mantenendo tutto il resto invariato, il lievito si comporta in maniera molto diversa. In particolare riducendo anche di poco la percentuale di acqua da 44% a 43%, il lievito perde progressivamente forza. Con maggiore idratazione tutti i processi sono più veloci? Oppure cosa accade realmente?
Buongiorno a lei. Mi scusi non capisco si riferisce al lievito naturale S. cerevisiae o al lievito naturale di pasta acida o madre? Suppongo che lei si riferisca alla madre, ma è solo una mia supposizione. La gestione, rinfresco, dosi di utilizzo della madre non sono né tabulate né disciplinate da nulla proprio perché non è possibile standardizzarle a livello amatoriale o artigianale, poiché la microflora è estremamente eterogenea e non selezionata come succede nella aziende a livello industriale in cui sia la cultura sia le condizioni di crescita/operative sono rigorosamente controllate. Questo per dire che ciascun operatore gestisce la madre come ritiene più opportuno e contrariamente a quello che si dica, legga o pensi, NESSUNO ha il "metodo corretto, vero, assoluto e/o ufficiale" in tasca, perché tale metodo, ribadisco, NON esiste, in virtù proprio del fatto che le condizioni operative e la microflora sono estremamente variabili da una realtà ad un'altra. In bibliografia si riportano identificazioni microbiche fatte sulle madri a livello artigianale in cui i generi possono essere differenti (50 specie di LAB appartenenti ai generi Lactobacillus, Pediococcus ecc. e più di 20 specie di lieviti appartenenti ai generi Saccharomyces,Candida ecc.) proprio perché ciascuna madre è UNICA, SPECIFICA e AUTOCTONA sia per l'ecosistema biologico simbiotico che si crea sia per la competizione nutrizionale. L'unica costanza dei valori è riferita all'ordine di grandezza tra i LAB e i lieviti (generalmente 2 ordini in più dei LAB) ma anche quello può variare e arrivare a coincidere proprio in virtù delle contaminazioni che la madre subisce. Premesso quindi questa estrema variabilità del microbiota delle madri artigianali/casalinghe tra di loro, è chiaro che il metabolismo delle specie presenti sia poi influenzato da diversi fattori tra i quali proprio: il quantitativo di acqua (DY), temperatura, aggiunta di fruttosio, miele, gestione della stessa (legata, libera in contenitori areati/chiusi, in acqua, liquida o in sacco), presenza di acetici come contaminanti, numero dei rinfreschi, rapporti di allungo, bagno ecc. Rispondendo al suo ultimo quesito; Sì, aumentando il DY cambia sia il metabolismo sia la vitalità cellulare e quindi la forza della madre. Spero di esserle stata di aiuto e la ringrazio per essersi rivolto al nostro servizio. Un saluto cordiale e a disposizione
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Percentuale fibre in farina di tipo 2
Gent. ma dott. ssa, mi scuso nel caso la mia domanda di semplice casalinga dovesse essere poco sensata, ma com'è possibile che una farina di tipo 2 "per pizza" abbia solo 1,6 g di fibre (su 100g), mentre un'altra farina tipo 2 che ho a casa, ha invece 6,5g di fibre? La prima farina ha un w pari circa a 300, mentre la seconda di circa 180. Esiste un rapporto tra forza e percentuale di fibra? Grazie per l'attenzione e un eventuale risposta.
Buongiorno a lei. I valori riportati nei siti ufficiali di consultazione riportano dati un pochino vecchi (aggiornamento 2006 - 2007 e solo per farina Tipo 0, 00, Integrale) per cui poco attendibili in virtù del fatto che il boom del marketing delle farina tipo 1 - 2, del business della macinazione a pietra ecc., è avvenuto solamente negli ultimi 4 - 5 anni. A riprova di ciò, personalmente nel 2009 chiesi una farina Tipo 1 e allora moltissime aziende molitorie mi risero platealmente in faccia perché le producevano in pochi! A ciò aggiunga che non sono consultabili neanche le banche dati europee poiché la classificazione merceologica delle 5 farine (Tipo 00, Tipo 0, tipo 1, tipo 2, Integrale) è prettamente ed unicamente italiana e disciplinata dal nostro DPR 187/01 che tra l'altro non riporta i valori delle fibre. Detto questo ho una personale casistica di dati di macronutrienti delle farine e mediamente il valore delle fibre nella farina Tipo 1 è compreso tra 1.8 - 4,0 g/100g (già troppo largo il range e molti dubbi sulla correttezza dei dati analitici me li sono posti anch'io soprattutto quando superano il 4,0), mentre per la Tipo 2 il range è un pochino più stretto e quindi suppongo più veritiero (3,6 - 3,8g/100g). In virtù di queste mie personali osservazioni ed in assenza di dati certi attendibili dei siti ufficiali e non figli del marketing/business aziendale ritengo che il valore di fibre 6,5g/100g per una Tipo 2 sia un pochino "falsato". Per carità magari è più che lecito, ma se poi per caso, sempre per caso, compare anche il claim "ad alto contenuto di fibre" beh, cosa dire... Per quanto riguarda invece il suo quesito relativo alla relazione forza/percentuale di fibra, le rispondo che non esiste nessuna relazione diretta. La correlazione che ne consegue è solo dovuta a un errore strumentale che fa apparire più forte una farina contente più parti cruscali rispetto alla realtà. L'errore è spiegabile dal fatto che la quantità di acqua che quel tipo di analisi strumentali richiede è fissa per tutte le tipologie di farine. Questo fa compiere alla strumento un errore di valutazione perché l'assorbimento di acqua dei campioni contenenti parti cruscali è maggiore e quindi l' impasto risulta più "asciutto". Lo strumento lo traduce in una alterazione dei parametri reologici dando analisi per cosi dire un pochino false e maggiorate per quanto riguarda il W e P/L . Grazie a lei per essersi rivolta al nostro servizio. Buona giornata
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Effetto shortening
Buongiorno Dottoressa,ho letto spesso nei suoi interventi il temine "effetto shortening" riguardo i grassi e in particolare dell'olio di oliva. Sarebbe cosi gentile da spiegarmi in cosa consiste? L'olio di oliva potrebbe influenzare la formazione della maglia glutinica e/o favorire una sua "rottura" durante la fermentazione? Grazie per il servizio che offre. Cordiali saluti
Buongiorno a lei, in generale le sostanze grasse, senza distinzione tra grassi solidi o liquidi svolgono le seguenti funzioni sulla struttura, sul prodotto e sulla conservazione: miglior aerazione, miglior estensibilità, aumento del volume, azione lubrificante sia sulla struttura sia sulle lame di taglio durante l’affettatura, rallentano il raffermimento e determinano uno sviluppo di maggiori aromi. A ciò aggiunga anche: colorano ed ammorbidiscono la crosta, svolgono azione plasticizzante, migliorano il trasferimento di calore e possono inibire l'azione dei microrganismi.Tenga presente poi che in impasti particolarmente grassi e dolci , la lubrificazione e il rivestimento degli altri ingredienti con il grasso diminuisce l'effetto "abrasivo" di zucchero e farina durante la miscelazione e la lavorazione, limita l'azione enzimatica e microbica e diminuisce l'assorbimento d'acqua da parte di tutti i componenti igroscopici. L'olio Evo, per il suo particolare profilo acidico e la presenza di fosfolipidi, non migliora le caratteristiche reologiche se introdotto nella massa rispetto ad altri oli con profili acidici un pochino più "leggeri" anche se si crea una emulsione. Inoltre inibisce lo sviluppo del network glutinico interrompendo la continuità della matrice; gli impasti diventano corti/brevi (non estensibili); da qui il termine "shortening" (accorciamento) . Se da una parte questo effetto "shortening" rende gli impasti meno soggetti ai danni da azione meccanica della fase di impastamento, dall'altro non permette l'allungamento (estensibilità) delle fibre glutiniche che si traduce in un aumento di tenacità e riducendo lo sviluppo del volume. Questo è il motivo dell'utilizzo di una % ridotta di olio EVO rispetto ad altri olii o sostanze grasse. Grazie per essersi rivolto al nostro servizio. Cordialità
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Temperature nella fase di produzione del panettone.
Buongiorno, innanzitutto grazie per la cortesia e la competenza che mette a disposizione. Vorrei alcuni consigli sulle temperature in tutte le fasi della produzione del panettone, da quella del primo impasto, la temperatura di riposo di 12h circa, la temperatura del secondo impasto, della puntatura e infine la temperatura di lievitazione prima della cottura. Alcuni li mettono 15 minuti in frigo prima di metterli nel forno, è utile? Grazie.
Buongiorno a lei. Mi scuso immensamente, ma rispondere a questo quesito è impossibile per email. Ogni artigiano conosce molto bene la madre in termini di forza per cui gestisce ogni fase della produzione dei panettoni in base alle caratteristiche sensoriali, forza del lievito iniziale, condizioni operative, quantità, ingredienti, ecc. Non c'è assolutamente una verità assoluta, generalizzata, codificata per ogni steps del layout di produzione a livello artigianale/casalingo, ma solo a livello industriale su larga scala. Sono mortificata ma non mi è possibile riportare tempi/temperature proprio perché estremamente variabili a partire proprio dalle battute della impastatrice. Rischierei di riportare valori che non sono realizzabili nella sua realtà produttiva soprattutto se lei è appassionato/a non professionista. Sì, lo so che qualche artigiano usa mettere in frigor i panettoni prima di procedere con la cottura ma anche quello è troppo soggettivo e non sempre è logisticamente realizzabile senza attrezzature/macchinari adeguati. Ringraziandola per la preferenza accordata, le invio i miei più cordiali saluti.
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Lievito fresco o secco?
Gentilissima dottoressa Lauri,avrei una curiosità da sottoporle. Al di là del quantitativo diverso di utilizzo,che differenze sostanziali esistono tra il lievito fresco e il lievito secco? Ed eventualmente dove consiglia o sconsiglia di usare l' uno o l'altro? Grazie per la sua infinita disponibilità e per essere uno dei pochi punti di riferimento seri e professionali dell' Arte Bianca. Buon lavoro
Buongiorno a lei . Grazie a lei per la profonda stima e la considerazione. Le due preparazione si differenziano principalmente per il contenuto di acqua, la vitalità e attività cellulare, la modalità di conservazione (temperatura e tempi), metodo di aggiunta e fattore di conversione. Il lievito fresco o conosciuto universalmente come di lievito di birra, lievito industriale o compresso o da pane o più correttamente con la nomenclatura scientifica di S. cerevisiae è un cultura pura attiva e vitale al 96- 97% in cui il restante 3 - 4% è rappresentato di muffe, batteri lattici, altri lieviti ecc.; è un organismo unicellulare eucariota, blastomicete - ascomicete con una % di acqua mediamente del 70 - 73 (non maggiore del 75% per DPR 502/98) e le cellule sono attive e vitali cioè con un adeguato potere fermentativo. La conservazione deve avvenire a +4°C per un massimo di 4 settimane. Il lievito secco attivo invece si basa sulla preparazione di cellule nella forma "dormiente" in quanto, durante il processo di essicamento, è stata eliminata acqua a tal punto da arrivare al 6 - 8% contro il 70 - 73% della cellula fresca vitale e attiva. In tale forma attiva - dormiente ma non vitale può essere conservato a t.a per circa 3 - 12 mesi. Richiede una reidratazione in acqua a circa 30 - 35°C per 15 - 20 minuti prima dell'utilizzo. La terza modalità di preparazione è rappresentata dal lievito istantaneo che può non essere espressamente costituito da cellule di S. cerevisiae ma da altri lieviti appartenenti però alla stesso genere. Ha una attività maggiore e non richiede reidratazione. Generalmente è conservato in atmosfera modificata e ha una shelf life di circa 6 - 12 mesi. L'utilizzo di una preparazione piuttosto che un'altra è molto soggettivo; generalmente per impasti che devono subire un lento processo e/o surgelazione si preferisce usare il secco/istantaneo oppure quando le condizioni ambientali superano i 40 - 50°C (non climi europei) sia per la facilità di stoccaggio, miglior shelf life e trasporto sia per un rallentamento naturale dell'attività fermentativa. Diciamo, in termini molto generici, che si usa il secco/istantaneo tutte le volte che si ha la necessità principale di operare un rallentamento dell'attività e vitalità cellulare. Grazie a lei e buona giornata
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Il bagnetto è sempre necessario?
Buongiorno Dott.ssa Lauri, la ringrazio perchè seguendo i suoi consigli sono riuscito a mantenere il lievito madre conservato in sacco. Il bagnetto è sempre necessario prima dei tre rinfreschi consecutivi che portano alla produzione del panettone? Preciso che con i suoi consigli ho un lievito sempre perfetto senza eccessi di acidità e con un potere fermentante ideale. La domanda sorge dal fatto che molti maestri lo consigliano comunque.Grazie.
Buongiorno a lei. Assolutamente NO! Il bagno è richiesto solo in casi estremi. Se il lievito è perfetto, rinfrescato quotidianamente, con alveolatura spugnosa, in assenza di colorazioni anomale, all'analisi sensoriale mostra una nota di testa acido dolce e solo successivamente la nota acetica, NON è assolutamente necessario perché lo indebolisce moltissimo soprattutto se il bagno è condotto in acqua a +40°C. Anche i rapporti di allungo nella serie dei tre rinfreschi sono molto soggettivi; personalmente ho sempre fatto, in ogni rinfresco, 1:1 per la forza del lievito. In questa rubrica, tra le risposte alle domande che mi hanno posto i lettori, può trovare la differenza chimica e chimico - fisica tra un bagno operato con acqua a +40°C rispetto a un bagno operato con acqua max 20°C. In ogni caso, ogni professionista ha la sua tecnica, i suoi rapporti, ecc., più o meno condivisibili e la caratteristica dell'artigiano è proprio questa. Nulla è tabulato, disciplinato, fisso, ma ognuno in base alla sue abilità, conoscenze, esperienza, prodotto finale, condizioni operative, ecc., gestisce la madre come ritiene più opportuno; NON esiste comunque in assoluto, a prescindere, un metodo GIUSTO o SBAGLIATO! Contrariamente alla moda ...il "verbo" non esiste! Grazie a lei per la stima e buona giornata.
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percentuale di lievito secco o fresco nel rinfresco
Dott. ssa Simona buona sera, Gradirei avere una informazione riguardo l'impasto per pizza con poolish 35% 1,5 di lievito secco per 7/8 ore di maturazione a temperatura ambiente jn estate 25°C. Come calcolo la percentuale di lievito nel rinfresco? Grazie a lei e saluti cordiali
Buongiorno a lei. Prima di tutto ritengo che lei abbia delle esigenze tecnico produttive particolari per realizzare un poolish con il lievito secco (per carità fattibilissimo!) perché un poolish con 7/8 ore di riposo a 25°C può essere fatto con 0.4% di lievito fresco (4,0 g/Kg di farina) sulla farina usata. Non mi è ben chiaro dalla sua email a cosa si riferisca il 35%; in ogni caso, nel rinfresco, cioè nell'impasto finale, aggiunga sempre il doppio di farina usata per preparare il poolish. Solo sulla farina aggiunta nell'impasto finale e non su quella del poolish calcoli lo 0.1% di lievito fresco per un impasto per pizza. Per il pane si utilizzano percentuali di lievito fresco differenti. Spero di essere riuscita a comprendere il suo quesito. Nel caso avessi frainteso,mi scuso immensamente e non esiti a contattarmi nuovamente. Grazie a lei e buona giornata
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Impasto con tante o poche bolle?
Buongiorno Dottoressa,
vedo in giro molti impasti che alla fine della lievitazione presentano molte bolle in superficie. Parliamo di impasti ad alta idratazione. Secondo lei un impasto a fine lievitazione maturazione deve presentarsi con molte bolle o con poche bolle. Grazie mille.
Buongiorno a lei. Il fenomeno da lei osservato è la conseguenza di un processo di termodinamica molto complesso, a sua volta funzione della: temperatura, pressione interna, viscosità, solubilizzazione dei gas, presenza di acqua ecc. L'impasto è quindi una struttura areata spugnosa in realtà è una "schiuma" da un punto di vista prettamente chimico fisico termodinamico, in quanto ospita le cellule d'aria introdotte nel processo di impastamento. Le schiume sono, per definizione, sistemi dispersi. Tuttavia la "schiuma"- impasto è un sistema molto più complesso di una semplice dispersione di bolle in un mezzo acquoso. Può essere infatti definito come un insieme di fasi gassose disperse, liquide e solide, che possono essere modificate radicalmente da cambiamenti di temperatura e umidità, nonché da stress meccanici. Un impasto è in effetti formato da diverse fasi acquose unitamente a glutine, granuli di amido, proteine globulari, carboidrati non amidacei, ecc. L'immiscibilità risultante riflette la cosiddetta incompatibilità termodinamica tra i diversi polimeri, come proteine e polisaccaridi. Le fasi acquose separate formano emulsioni molto fini di acqua-in-acqua (goccioline di 1-5 μm) in cui gli scambi idrici sono di natura osmotica. In un impasto, queste goccioline possono subire una coalescenza parziale dando luogo a domini che si comportano come corpi idrofobi, separati da uno strato interfase acquoso che ospita la maggior parte dei composti anfifilici, come grassi e proteine globulari. Questi composti (lipidi, piroinduline,proteine solubili, ecc.) svolgono un ruolo cruciale nella stabilizzazione delle dimensioni e nella distribuzione delle cellule d'aria che influenzano direttamente il volume e la consistenza del prodotto finale cotto. L'aria, intrappolata all'interno della pasta nel corso della miscelazione, consente la crescita delle cellule gassose: senza queste prime dispersioni d'aria nell'impasto, l'anidride carbonica prodotta dal lievito uscirebbe dalla struttura e il volume finale sarebbe piuttosto scarso. In teoria si passa da un volume gassoso iniziale di circa 10 - 15% sul volume della pagnotta a circa quasi l'80% del volume finale della stessa a fine fermentazione. I fattori importanti nel determinare la struttura delle celle includono: (1) la formazione della struttura iniziale della schiuma durante la miscelazione e (2) la stabilizzazione della struttura della schiuma, inclusi quei fattori che governano la sproporzione e la coalescenza delle bolle.
Il ruolo delle bolle nella panificazione è semplice in linea di principio: il lievito produce anidride carbonica, facendo sì che le sacche di gas, creatasi dall'aria incorporata durante l'impastamento, crescano come piccoli palloncini fino a quando non si rompono, connettendosi con gli altri, per produrre una schiuma a cellule aperte, come una spugna.Il lievito stesso non può produrre bolle a causa di un fenomeno noto come pressione di Laplace e l'anidride carbonica prodotta dal metabolismo verrebbe rapidamente persa determinando uno scarso volume finale. La formazione di bolle nell'impasto si basa quindi sulla nucleazione - su migliaia di piccole bolle d'aria (80% azoto, 19% ossigeno 0.8 - 1,0% anidride carbonica) già formate, appunto, nel processo di miscelazione. L'ossigeno è consumato e l'anidride carbonica prodotta dal lievito entra in esse, che si espandono per le leggi della termodinamica. Senza queste prime dispersioni di aria nell'impasto, l'anidride carbonica prodotta dal lievito verrebbe rapidamente persa e il volume finale sarebbe piuttosto scarso.
Le celle gassose sono rivestite da uno strato acquoso che ospita tensioattivi gas / liquido e liquido / liquido, come proteine globulari (albumine e globuline di farina) e lipidi polari.
In considerazione quindi della complessità del sistema termodinamico, dal mio personale punto di vista, è praticamente impossibile dire quale delle ipotesi da lei proposte sia la migliore, perché sono troppe la variabili. Personalmente ritengo che sarebbe più corretto parlare, non tanto di "numero o di quantità" di bolle, quanto di volume gassoso rispetto al volume finale. Grazie a lei e buona giornata.
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Alveoli troppo grandi nel pane
Buongiorno dottoressa, vorrei sapere il suo parere su un problema che ho riscontrato con un impasto di pane. Le fornisco alcuni elementi. L'impasto in questione era fatto con una farina di grano tenero di varietà Sieve, una varietà che di norma dovrebbe essere debole (W<180). Di questo grano mi sono fatta macinare una parte a pietra e una parte da un mulino a cilindri. Io lavoro con pasta madre e con impastatrice a braccia tuffanti. Impasto per poco tempo, appena vedo che l'impasto è liscio e inizia a formarsi la maglia glutinica smetto per non provocare strappi in questi impasti che sono di norma molto deboli. Uso una percentuale di acqua intorno al 70%. Arrivo al dunque. Quando utilizzo la farina di questo grano macinata a cilindri, lavorando nello stesso modo che uso per la farina macinata a pietra con risultati per me soddisfacenti, quando uso la farina macinata a cilindri - dicevo - mi ritrovo nel pane degli alveoli molto grandi (dalla forma irregolare) come mai mi succede e per me sgraditi. Volevo sapere se poteva darmi qualche idea sulla causa di questo fenomeno. Potrebbe essere dovuto al fatto che la farina è macinata troppo fina? Ah dimenticavo di dirle che faccio una puntata di circa 2,5/3 ore, formo il pane a mano e una lievitazione in cestino di circa 1,5/2 ore. Grazie e complimenti per il suo lavoro.
Buongiorno a lei. Dalla sua email ho capito che lo stesso frumento tenero (quindi stessa varietà, stesse condizioni culturali, stessa concimazione, stesse condizioni di stoccaggio, ecc.) ha subito una parte una macinazione a cilindri e una parte una macinazione a pietra. Entrambe le farine sono state sottoposte allo stessa tecnologia produttiva in termini di tempo,temperatura, riposi, percentuale di lievito, tipologia di lievito, ingredienti, sale, ecc. Macinare lo stesso frumento (nel suo caso frumento tenero var. Sieve) a pietra o a cilindri permette di ottenere due sfarinati differenti in grado però entrambi di soddisfare esigenze differenti del consumatore finale sia amatore casalingo sia OSA in base agli standard soggettivi che si pone. Chiaramente parliamo di una granella arrivata alla molitura nelle stesse rigorose e identiche condizioni igienico sanitarie; pulita in impianti opportuni, esente da fusariosi, micotossine, corpi estranei, polvere, terra, sottoposta a controllo ottico, ecc.Contrariamente alla moda/business del momento, NON si ottengono ASSOLUTAMENTE farine migliori o peggiori, ma farine differenti con caratteristiche differenti. Nel caso di una macinazione a pietra: unico passaggio di molitura, danneggiamento maggiore granuli di amido, granulometria maggiore, riscaldamento maggiore, presenza di germe e produzione di macinati interi se alla fine del processo non sono presenti plansichter o buratti che permettono la separazione in Tipo 1 e Tipo 2. Nella macinazione a cilindri si ottengono farine di tipologia differente perché la riduzione granulometria è graduale, precisa, più passaggi, minor danneggiamento dei granuli di amido, meno aggressiva, minor riscaldamento, ecc., permettendo la separazione "precisa" delle farine in base alla classificazione merceologica legale. Ribadisco che le caratteristiche merceologiche legali (farina TIPO 00,0,1,2,integrale) sono riportate nel DPR 187/01 e pertanto non ha assolutamente nessuna importanza come sia stata prodotta, in termini di macinazione (cilindri o a pietra), quella particolare farina perché deve obbligatoriamente rispettare i parametri fissati nell'art. 1,2,3,4,5 del suddetto DPR se denominata Farina Tipo 1, Tipo 2, Farina integrale, semola, farina di grano duro, ecc. Come detto sopra le due farine sono differenti, ottime entrambi, ma sempre differenti. Questa loro "differenza" si ripercuote inevitabilmente sulla tecnologia del processo produttivo successivo e sulle caratteristiche sensoriali e reologiche del prodotto - pane, compresa la struttura degli alveoli, debolezza di struttura per la presenza del germe, ecc. La scelta quindi deve essere obbligatoriamente soggettiva e non di moda/business/ ricordi passati evocativi, falsi, tendenziosi, ecc. (la classificazione delle farine esisteva già ai tempi dei Romani ed era identificativa della classe sociale) proprio perché il concetto di qualità e i suoi attributi sono soggettivi. Spero di aver risposto esaurientemente al suo quesito e nel ringraziarla per essersi rivolta/o al nostro servizio le auguro una buona giornata.
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100% integrale
Salve dottoressa, sono un suo super fan anche sui vari social.. come sempre la ringrazio anticipatamente. Volevo chiederle per un impasto per pizza tonda classica volendo usa un integrale in purezza che tecnica consiglierebbe? Che idratazione minimo con relative ore e gestione? Da come ho capito, al contrario di come tutti pensano, l autolisi non aiuta molto.. quindi meglio un indiretto o andrebbe bene anche un diretto cn puntanta lunga in massa? So che sicuramente avró saltato qualcosa, e mi scuso sperando di ottenere ugualmente una risposta. Le scrivo di notte dopo una giornata busy .. grazie ancora per tutto. Non smetteró mai di ringraziarla
Buongiorno a lei. Grazie a lei per la stima e per essere un mio follower. Il problema che può incontrare lavorando con le Farine Integrali di grano tenero (normate dal DPR 187/01) è il quantitativo di crusca presente che è leggermente variabile in base al fatto che il molino parta da una Tipo 1,2,o Tipo 0 per fare la farina integrale e rispettare il limite imposto dalla legge. Tutte le farine denominate "Farine Integrali di grano tenero" (ribadisco sto parlando di farine integrali non mix, semilavorati vari con un lungo elenco di ingredienti ecc.) presenti in commercio devono rispettare l'art.1 del suddetto DPR indipendentemente dal tipo di macinazione, ma all'aspetto visivo possono risultare leggermente differenti. Premesso questo, concordo con lei sul fatto che l'autolisi non abbia molto senso e che non ci sia nessun problema a lavorarle in purezza. In ogni caso, le consiglio una lavorazione indiretta lunga o diretto di 48 ore. Per quanto riguarda la quantità di acqua da aggiungere, calcolata sulla farina, nella pizza classica è abbastanza variabile proprio per le motivazioni che le ho citato. Indicativamente è compresa tra il 65/70%. Un saluto cordiale e grazie ancora per la stima. Buona giornata
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Perché i lievitati ci fanno gonfiare ?
Gentile Dott.ssa Simona Lauri a Casamicciola sull'isola di Ischia, una pizzeria espone fiera un cartello con su scritto:
"Non tutti sanno che il lievito di birra continua a fermentare anche dopo averlo ingerito ! I nostri prodotti realizzati tutti con lievito madre 'o criscito' , sono leggeri e altamente digeribili, perché il fermento si ferma a fine cottura".
Quando muoiono gli enzimi di ldb, lievito madre, criscito, biga, poolish o acque fermentate ?
Perché molti medici nutrizionisti consigliano di tostare il pane affinché non continui a fermentare nello stomaco, facendolo gonfiare ?
In Pani e Pizze cos'è che ci fà veramene gonfiare ?
Grazie
Buongiorno a lei. Il messaggio pubblicitario da lei riportato "Non tutti sanno che il lievito di birra continua a fermentare anche dopo averlo ingerito ! I nostri prodotti realizzati tutti con lievito madre 'o criscito' , sono leggeri e altamente digeribili, perché il fermento si ferma a fine cottura" è FALSO, DISINFORMANTE e ERRATO in tutto. Infatti è una vera e propria BUFALA scientifica plateale! Il lievito di birra o ldb o conosciuto più propriamente con il suo nome scientifico Saccharomyces cerevisiae non sopravvive assolutamente alla temperatura di cottura di un pane, pizza, prodotto da forno ecc. perché MUORE ad una temperatura prossima a 45°C e a cuore sia nel pane sia nella pizza sia in un prodotto lievitato qualsiasi sottoposto a COTTURA, questo valore si raggiunge benissimo; non parliamo poi della temperatura sulla superficie che asintoticamente raggiunge la temperatura del forno superando di gran lunga i 150°C. Non solo, ma le cellule di S. cerevisiae come tali, nella forma vegetativa, non potrebbero nemmeno sopravvive al pH gastrico (1.2 - 1.5) Questo argomento l'ho trattato più volte su questa testata e trova tutto a questi link http://www.quotidiemagazine.it/archivio/2018/numero-8-agosto-2018/la-madre-contiene-s-cerevisiae-simona-lauri-ota-milano ; http://www.quotidiemagazine.it/archivio/2018/numero-2-febbraio-2018/sta-semplicemente-cuocendo-simona-lauri-ota-milano ; http://www.quotidiemagazine.it/archivio/2015/numero-2/il-lievito-sono-io-di-simona-lauri-ota-milano. In questa sezione SOS online a questo link http://www.quotidiemagazine.it/sos/la-maturazione-aiuta-la-digestione può leggere, nella mia risposta, il problema annesso al "gonfiore" intestinale che ribadisco e sottolineo NON dipendono dal ldb. La prova della NON implicazione del S. cerevisiae nella sindrome da intestino irritabile la trova in questo studio del 2015 https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1590865814007920. Qui https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1111/nmo.13392 può trovare poi uno studio nel quale si dimostra che non risulta implicato neanche il glutine contrariamente a quello che si pensi, ma con molta probabilità una delle possibili cause potrebbero essere i FODMAP https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25255126
Per quanto riguarda la temperatura di morte dei microrganismi in generale (S. cerevisiae è di circa 45°C) posso dire che a livello industriale quando si opera una sterilizzazione di un prodotto alimentare in autoclave si esegue un trattamento a 140°C per circa 3 - 4 secondi. Questo non vuol dire assolutamente che il prodotto pane e/o pizza sia sterile anzi esattamente il contrario perché se sulla superficie ho un margine elevato di sicurezza, la stessa cosa non la posso dire a cuore (punto termicamente più sfavorevole) dove a fatica si raggiungono i 90°C nel pane. Nella pizza poi, per le elevate temperature di cottura e i pochissimi minuti, a cuore non si raggiunge assolutamente neanche quel valore, per tanto non c'è nessuna sicurezza microbiologica soprattutto verso le forme sporigene, micotossine, ecc. Per quanto riguarda poi il consiglio di alcuni medici nutrizionisti di "tostare il pane affinché non continui a fermentare...", mi scusi ma è talmente una BUFALA - FALSITA' che non merita neanche di essere commentata. Spero di aver risposto esaurientemente al suo quesito e le auguro una buona giornata. Grazie di essersi rivolto al nostro servizio.
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Farina 240W come si lavora?
Salve dottoressa mi potrebbe guidare nel come impastare una farina con W240 p/l 0,5-0,7 e come procedere per la maturazione..con eventuali dosi anche con un esempio...se si trovasse con questo tipo di farina...la ringrazio in anticipo
Buongiorno a lei. La lavorazione di una farina con le caratteristiche reologiche da lei descritte non è assolutamente complicata né impossibile né estrema, né né né... Se paragonata a una farina 320<W<350 ,S>9 minuti, 0.40<P/L<0.60 richiede tempi minori di impastamento, non sopporta elevati stress meccanici, ha, sulla carta, un valore di stabilità minore e pertanto non è in grado di sopportare tempi lunghi di fermentazione, stress meccanici (se paragonati ai tempi di fermentazione che potrebbe sopportare una farina con W maggiore!) ecc. Questo in teoria; in pratica si possono benissimo ottenere bighe di 15 - 18 ore e più in condizioni standard, ecc. Le consiglio di prediligere la retromarcia (se possibile!) nel caso delle bighe, di operare un impastamento con più minuti in prima velocità rispetto alla seconda, ecc. E' una farina OTTIMA per fare tutto, compreso un diretto lungo di 24 - 36 ore con/senza stoccaggio a +4°C per l'impasto della pizza. La valutazione della "qualità" di una farina non deve essere fatta unicamente sulla base delle proprietà reologiche in assoluto, ma a quali lavorazioni e come è impiegata; quantità di lievito, scelta di lavorare con il lievito fresco o con il secco,temperature, metodiche di lavoro, tempi, ecc. Spero di esserle stata di aiuto e grazie per essersi rivolto al nostro servizio. Buona giornata a lei.
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Tecnica dell'Autolisi ed effetti annessi
Buongiorno, approfitto nuovamente della sua disponibilità e della sua preparazione.
Quando parlo di autolisi mi riferisco alla tecnica riportata sui libri di panificazione di Giorilli, mi interesserebbe capire a livello molecolare cosa avviene quando adottiamo tale tecnica. Più che per quanto riguarda le azioni enzimatiche sugli amidi, sono maggiormente incuriosito su ciò che avviene in merito alle proteine (soprattutto quelle del glutine). Con l'ausilio di questa tecnica siamo in grado di ottenere una maggiore estensibilità ed è proprio questo aspetto che mi piacerebbe approfondire. Il mio ragionamento mi porta a pensare che attraverso l'idrolisi si verifichi questo fenomeno, tuttavia se così fosse anche gli impasti senza l'utilizzo di tale tecnica e mantenuti per le stesse ore dovrebbero avere le stesse caratteristiche. È possibile che ci siano dei processi che avvengono con tale tecnica e che non possono avere luogo in impasti con ldb o lab? Mi scuso per aver scritto così tanto, spero che la domanda sia abbastanza chiara. In attesa di una sua risposta colgo l'occasione per ringraziarla e complimentarmi per l'ottimo lavoro nel divulgare così tanti contenuti di rilievo. A presto e grazie ancora
Buongiorno a lei. Non so a quale metodica di lavoro si riferisca se la tecnica a caldo o a freddo per cui mi scuserà se ipotizzo che lei si riferisca alla tecnica a freddo. Il metodo di lavoro definito autolisi a freddo prevede una miscelazione di solo farina e 50% di acqua senza ldb o lm e lasciata riposare per un minimo di 20 minuti ad un massimo di 12 ore. Chiaramente per prolungare l'azione enzimatica fino a 12 ore deve aggiungere il sale non solo, ma se il processo enzimatico è stato troppo aggressivo e spinto, la massa non può essere usata tutta ma solo una parte. Il motivo per cui si adotta tale tecnica, in presenza di sfarinati che non siano integrali, è quello di rendere lavorabili sfarinati che per loro natura presentano serie problematiche legate a un P/L>1.5 per cui eccessivamente tenaci. Lo scopo dell'utilizzo di tale tecnica è basato sul fatto che sfrutta l'azione biochimica enzimatica a livello dei legami peptidici delle proteine insolubili . L'azione sui legami inter e intramolecolari è presente, ma passa leggermente in secondo piano rispetto alla degradazione dei legami peptidici. L'azione sui granuli di amido rotti è presente, ma questo fatto potrebbe solo incrementare l'azione microbica naturale per cui, per rallentare lo sviluppo, si aggiunge dopo 4/5 ore il sale. Nel caso in cui si utilizzi una farina di tipo integrale o un macinato intero, l'azione, oltre a quella descritta, è unicamente quella di far assorbire acqua a tutti i componenti delle parti cruscali (pentosani ecc.) e rendere più lavorabile lo sfarinato. Tale tecnica NON è assolutamente una tecnica routinaria, ma da adottarsi solo in casi estremi. In ogni caso, qualsiasi altro quesito scientifico biochimico lei abbia su tale tecnica, le sarei grata se lo rivolgesse direttamente all'autore del testo. Nella speranza di esserle stata comunque di aiuto e nel ringraziarla per la sua cortesia, le invio i miei più cordiali saluti.
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Riguardo al prefermento, mi riferivo al poolish o alla biga (3)
Indistintamente dal tipo di prefermento, biga o poolish che sia, è possibile (e se si, come), gestire un preimpasto per 12-16 ore a 25-27 gradi? Da poi usare per pane e pizza? Grazie.
Buongiorno a lei. Qualsiasi fermento (NON prefermento!) e/o preimpasto che lei voglia realizzare in quelle RIGOROSE e NON modificabili condizioni e in ASSENZA di un frigorifero, le consiglio di usare il lievito secco in quantità pari a 1/3 rispetto alla quantità specifica di lievito di birra fresco utilizzato per la realizzazione del preimpasto Grazie a lei e buona giornata
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Indiretto - Prefermento (2)
Salve Dottoressa.Ripeto la domanda in modo più chiaro: Come e se è possibile preparare un preimpasto (metodo indiretto) di 12-16 ore a 25-27 gradi da poi utilizzare nell'impasto finale? Grazie
Buongiorno a lei. Mi scusi ma forse non sono riuscita a spiegarmi bene nell'email precedente; se lei non mi dice cosa intende per preimpasto o prefermento (il termine corretto è comunque fermento!) cioè se non so di cosa stiamo parlando (biga, poolish, madre, pdr) purtroppo non la posso aiutare! In ogni caso a questi link può trovare qualche info http://www.quotidiemagazine.it/archivio/2017/numero-3-marzo-2017/poolish-o-lievito-liquido-o-madre-liquida-simona-lauri-ota-milano oppure http://www.quotidiemagazine.it/archivio/2017/febbraio-2017/un-assioma-e-simona-lauri-ota-milano. Grazie e a disposizione. Buona giornata
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Prefermento (1)
Buongiorno dottoressa.
Avendo due variabili fisse:
.12-16 ORE (non di meno)
.25-27 GRADI (non di meno e senza frigo)
come e se è possibile condurre un prefermento per pane e pizza?
Grazie
Buongiorno a lei. Mi scusi ma che cosa intende per prefermento? Grazie e buona giornata
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Impasto per pizza con biga
Buongiorno Dottoressa. Vorrei cortesemente sapere la sua opinione sul mio metodo per preparare l’impasto per pizza napoletana con la biga 30%. In Argentina non abbiamo farine forti. La farina che uso ha un W =200. Con questa farina preparo la biga (18 ore a t.a 18°C). la farina mancante la lascio in autolisi per 20 min e dopo finisco l’impasto aggiungendo la biga, acqua mancante e il sale. Finito l’impasto lo lascio a t.a per 1 ora e dopo lo metto in frigo (4°C) per 24 ore. Faccio lo staglio a freddo e lascio lievitare per 4/5 a t.a dopo informo. Grazie per la sua cortese risposta e per il tempo dedicatomi.
Buongiorno a lei. Mi scusi ma prima di tutto mi permetto di correggerla in quanto l'impasto per pizza napoletana è realizzato unicamente con un diretto lungo e, rigorosamente da disciplinare STG, senza biga.Il solo valore W della farina non è sufficiente per permettermi di darle dei consigli mirati. A grandi linee e a scanso di equivoci, in quanto mi ha fornito pochissime informazioni in proposito (lievito, temperatura impasto a fine impastamento, tempi impastamento biga, temperatura finale della biga, valore della t.a., ecc.) mi permetto di consigliarle di eliminare l'autolisi con una 200W, inoltre porterei a 14 - 16 ore lo stoccaggio della biga a +18°C oppure mantenga le 18 ore ma a +15 - 16°C. Non mi è chiaro poi se utilizza il 30% della farina per fare la biga e il 70% nel rinfresco o se la biga è il 30% sulla farina che utilizza ( esempio 1000 g farina , 300 g di biga). Mi scusi ma senza il valore della t.a. mi è un pochino difficile aiutarla ulteriormente. Resto in attesa di ulteriori info. La ringrazio per essersi rivolto al nostro servizio e le invio i miei più cordiali saluti. Sempre a disposizione
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"Biga" col lievito li.co.li
Dottoressa Lauri. Vorrei sapere se si può fare la biga col li.co.li invece d’ usare il LdB compresso. Se è possibile quanto ne userai per sostituire il 1% di LdB. Cordiali saluti
Buongiorno a lei. Può fare qualsiasi impasto, qualsiasi metodica, usare qualsiasi starter ma con il termine "biga" si intende un solo impasto e non è fatto con il licoli ma solo ed esclusivamente con il ldb. Qui trova maggiori info http://www.quotidiemagazine.it/archivio/2017/febbraio-2017/un-assioma-e-simona-lauri-ota-milano. Grazie a lei e buona giornata
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Variazione ceneri pasta alimentare
Salve,
Mi scuso se la domanda può esulare da quelle che sono le tematiche strette (lievitati e affini) e se può anche risultare stupida, ma spero mi possa comunque aiutare. Vorrei sapere se nel processo di tostatura di una pasta il livello di ceneri (percentuale su ss) può aumentare rispetto ad una pasta non tostata.Faccio riferimento alla fregola sarda, un tipo di pasta tipica ottenuta dall'agglomerazione di granelli di semola di grano duro con acqua, successivamente essiccata e, talvolta, tostata in forno. Pensando, mi verrebbe da dire che la percentuale di ceneri, su cento parti di sostanza secca, rimanga invariata, quello che cambia potrebbe essere la percentuale su cento parti umide (non utile ai fini normativi).Spero che possa aiutarmi in questo ragionamento, magari suggerendomi della letteratura a riguardo.Grazie Cordialmente
Buongiorno a lei. Nessuna domanda è stupida al massimo esula dalle mie competenze; se sono in grado di rispondere, l'aiuto con estremo piacere oppure le dico senza vergogna "non lo so". In questo caso la risposta diretta non la conosco, ma da deduzione posso dirle che a pari prodotto e dimensione,fregola secca e fregola tostata, quella tostata potrebbe avere un valore di ceneri sul ss leggermente superiore perché la tostatura è minima, ma è solo una deduzione. Se ha piacere può postare il quesito sul sito dei tecnologi alimentari magari c'è qualcuno che si occupa di pasta. Questo è il link https://www.taff.biz/ . Grazie a lei per essersi rivolto al nostro servizio e sempre a disposizione. Buona giornata
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Preimpasti o prefermenti?
Dottoressa salve, ultimamente vedo definire, da parte di alcuni operatori dell'arte bianca , metodiche indirette (biga , poolish. ....ecc) prefermenti. Avendo sempre letto preimpasti, volevo semplicemente sapere se i due termini sono uguali da un punto di vista tecnico e scientifico. Grazie mille per la Sua disponibilità. Un saluto cordiale.
Buongiorno a lei. Prima ancora di essere un sostantivo (termine) tecnico, rappresenta un corretto utilizzo etimologico di una parola della lingua italiana. Il prefisso pre è usato in contrapposizione a post e sinonimo di ante ed esprime il significato di anteriorità temporale o nello spazio. Esprime quindi un rapporto di anteriorità in verbi o sostantivi indicanti azioni eseguite e che finiscono prima del termine/sostantivo al quale fa da prefisso, oppure avvenimenti che precedono altri nel tempo. Dal significato corretto italiano grammaticale si deduce quindi che la parola prefermento si riferisca a miscele/metodiche che avvengono prima/pre del fermento mentre, per analogia, la parola pre- impasto comprenda azioni/miscele/metodiche che avvengono prima dell'impasto. Sempre per corretta terminologia logico - grammaticale italiana, con la parola impasto si intende la miscelazione di più sostanze atte ad ottenerne una sola mediante un insieme di azioni/operazioni tipiche dell'impastare. Nella scienza corretta delle operazioni unitarie tipiche del processo produttivo nello specifico settore dell'arte bianca, l'impastamento, che genera l'impasto, è definito la seconda fase unitaria dopo la miscelazione degli ingredienti. Con la parola fermento, invece, si intende una sostanza/starter biologico capace di provocare il processo enzimatico microbiologico tipico della fermentazione. Fatte queste doverose precisazioni scientifiche, può bene comprendere quale sia il corretto termine nel caso ci si riferisca alla biga, poolish, ecc. tenendo presento che in queste lavorazioni si aggiunge (volontariamente o come contaminante ambientale) uno starter biologico che opera una istantanea, immediata fermentazione. Dal concetto scientifico corretto, la preparazione della biga, poolish, madre rappresenta la prima fase (inizia e si conclude) senza la quale non è possibile effettuare la prima operazione unitaria della seconda fase per cui, in ordine temporale, iniziano e si concludono prima/pre/ante l'impasto finale. Pertanto, possono essere correttamente definite sia nel linguaggio tecnico specifico sia e soprattutto nella terminologia della lingua italiana pre-impasti. NON è pertanto corretto definirli pre-fermenti in quanto sono loro stessi fermenti atti alla fermentazione; la fermentazione e/o attività metabolica avviene nell'immediatezza temporale e NON dopo. Nella seconda fase della metodica continua il processo metabolico iniziato nella prima; è una azione che si avvia nella prima fase e si protrae nel tempo; non inizia e si conclude prima di un'altra. Le università dei social hanno moltissimi iscritti peccato però che siano tutti dottori, professori, esperti, ricercatori, docenti, master, maestri, istruttori che abbiano imparato nella stessa università. Grazie per essersi rivolto al nostro servizio e sempre a disposizione.
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idratazione e temperatura 2
Buonasera dottoressa e grazie per la risposta alla mia domanda precedente. In effetti non le ho fornito un quadro completo delle condizioni in cui lavoro. Meramente per completezza lo faccio ora: sono un pizzaiolo e le scrivo dal Brasile, quindi uso quasi sempre l'acqua a 1-2 gradi, la farina é di produzione sudamericana, con W intorno a 330 e rapporto P/L quasi costantemente >1. Uso una idratazione minimo del 60%. La mia domanda é sorta dal fatto che con temperature basse di acqua-uso del ghiaccio- temperatura bassa della farina, riesco ad arrivare ad idratazioni del 65%. La tecnica di versamento dell'acqua é la cosiddetta "a filo" che ho imparato in un suo libro. Grazie a lei
Buongiorno a lei. In effetti conferma pienamente la mia risposta alla sua precedente email. L'acqua la può avere allo stato liquido fino a 0/-1°C o usando un refrigeratore, o un congelatore, estraendola prima che solidifichi, oppure un frigorifero impostato a +1°C oppure miscelando, preventivamente dall'utilizzo, acqua e ghiaccio. L'unico modo possibile per sfibrare le farine con P/L elevato 1.5 è appunto usare acqua prossima a quei valori o adottando la tecnica dell'autolisi. In questo caso però non possono esserle tanto di aiuto per email perché non conosco la t.a. del locale e la "reazione" che può avere la farina se/quando sottoposta a metodica autolitica (da 20 minuti a 12 ore). Spero comunque di esserle stata di aiuto e nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio di assistenza, le invio i miei più cordiali saluti.
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Farine di forza semintegrali
Gentile Dott.ssa Lauri,
in commercio si trovano farine di forza semintegrali con valori di "W" generalmente superiori a 300 che tuttavia si comportano diversamente da quanto atteso almeno in termini di "assorbimento" e "lavorabilità" rispetto a farine tipo 00 con stessa forza.
Come di determina dunque il valore di W di una semintegrale se le parti cruscali stesse sono di ostacolo alla formazione del glutine?
Buongiorno a lei. Il DPR 187/01 classifica le farine in 5 tipologie commerciali, ma la "Farina semintegrale" non è compresa nella corretta e legale denominazione di vendita. In ogni modo, non potendola classificare correttamente, poiché la legislazione attuale non la comprende ne tanto meno definisce, faccio riferimento alla Farina integrale di grano tenero: Ritengo che lei abbia pienamente ragione, in quanto le metodiche di analisi Brabender (Farinografo, Estensografo) e l'Alveografo Chopin obbligano ad usare lo stesso quantitativo di acqua nell'analisi e non tengono conto dei parametri legati agli sfarinati (cultivar, varietà, abburattamento ecc.). Chiaramente una farina integrale ha un assorbimento maggiore di una Tipo 00, 0 e tutti i valori riscontrati dalla lettura dei rispettivi grafici sono completamente "falsati" dalla limitazione dell'analisi strumentale. I valori che riportano sono fini a se stessi e "non hanno alcun valore" nè tanto meno possono essere presi come riferimento. Nel ringraziarla per essersi rivolto al nostro servizio, le invio i miei più cordiali saluti.
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Idratazione e temperatura
Salve dottoressa, da tempo ho notato che la bassa temperatura dell'acqua aumenta la capacitá di assorbimento della stessa da parte della farina. Vorrei chiederle gentilmente di spiegarmi qual'è la regola fisica che determina in che modo le differenti temperature influenzano la capacità di idratazione della farina. La ringrazio e la saluto cordialmente.
Buongiorno a lei. Prima di tutto vorrei sapere il valore esatto della temperatura dell'acqua al quale lei fa riferimento e la tipologia di impasto oltre alla % di acqua usata. Soprattutto per impasti con >65% di acqua sulla farina, l'assorbimento della stessa è influenzato dalla temperatura, dalla velocità di impastamento e dalla metodica di introduzione. Non a caso, variando la temperatura finale a fine impastamento per il pane (>65% di acqua sulla farina, t. finale a fine impastamento 27 - 28°C) varia la temperatura di utilizzo dell'acqua applicando la semplice formuletta (t.f X3) - t.farina - t.riscaldamento macchina - t.ambiente =t. acqua da utilizzare. Da questo si deduce che per impasti >65% di acqua sulla farina si può prevedere, per impasti diretti, l'utilizzo di acqua non a 2 - 3°C, ma nei mesi invernali anche 24 - 25 - 26°C. Questo è solo un calcolo empirico perché nella realtà, la temperatura dell'acqua, cosi come quella della farina, sono il punto di partenza per la valutazione del Punto Isoelettrico delle proteine il quale, a sua volta, dipende da pK1 - pK2 - pK3 intendendo con la K1 - K2 - K3 la costante di dissociazione del gruppo carbossile, dell'amminogruppo e del gruppo portato dalla catena laterale ( a loro volta funzione della temperatura, ecc.), la tipologia di aminoacido presente inteso come minor o maggior idrofobicità della catena laterale,la % di danneggiamento dei granuli di amido, la tipologia di farina usata,le cultivar, la presenza di molecole anfotere, anfipatiche , cruscami, germe ecc. dai quali dipende l'assorbimento, debolezza, estensibilità. In linea di massima quando si lavora con farina P/L>1.5 o con un W elevato rispetto alla metodica di lavorazione adottata, si cerca di lavorare sempre con acqua prossima a 2 - 3°C per impartire "debolezza", alla quale si abbina, quando possibile, uno sfibramento maggiore in fase di impastamento, oltre a ricorrere alla metodica autolitica. E' chiaro che tutto dipende dal tipo di prodotto finale; per il pane vale un discorso, per la pizza ne vale un altro che tiene conto delle ore di maturazione,mentre per un croissant sfogliato vale il discorso opposto; ho bisogno "il freddo" sempre e comunque! E' evidente che non parliamo solo di farina per cui dalla temperatura finale dipende tutto il processo produttivo. Nella speranza di essere stata abbastanza chiara, le invio i miei più cordiali saluti.
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Temperatura finale degli impasti sbagliata
Salve Dott.ssa Lauri, oggi vorrei porle una domanda riguardo la temperatura finale degli impasti, specialmente quando la temperatura non rientra nei range consigliati per ogni tipologia di prodotto. Se,per esempio,impastando un impasto molle al 75% di d'idratazione la temperatura finale è superiore ai 29°C come si può agire? Ci sono delle misure correttive o l'impasto sarebbe ormai compromesso dando un prodotto finale non soddisfacente? Consiglierebbe di buttare l'impasto e ricominciare dall'inizio modificando la temperatura dell'acqua? E anche in caso contrario, cioè temperatura finale troppo bassa, c'è qualche maniera di salvare l'impasto o ormai il danno è fatto? Grazie in anticipo per una eventuale risposta, apprezzo tantissimo il suo lavoro, non può nemmeno immaginare quanto i suoi post mi abbiano aiutato in quest'ultimo anno di lavoro! Cordiali saluti
Buongiorno a lei. Grazie per il suo apprezzamento al servizio e mi allieta il fatto di esserle stata di aiuto. La risposta al suo quesito in teoria è semplice, ma nella pratica occorre valutare esattamente di quanto la temperatura abbia superato il limite massimo del range e le condizioni di temperatura in cui lavora. In linea di massima occorre prendere in considerazione in teoria che la variazione in più o in meno di 1°C della temperatura dell'impasto a fine impastamento corrisponde ad una variazione in più o in meno di 3°C sulla temperatura dell'acqua da utilizzare. Quindi in teoria +1°C sulla temperatura dell'impasto a fine impastamento corrisponde a un errore di +3°C sulla temperatura dell'acqua usata. Premesso questo in teoria, in pratica si può correggere "in corsa" questo errore iniziale. A parità di tutte le condizioni operative e solo per la tipologia di impasto da lei descritta (percentuale di lievito, sale, temperatura di lavoro, idratazione ecc.) se la temperatura dell'impasto supera di 1 o 2°C l'optimum , nessun problema, al massimo si accorcia il riposo in massa e si inforna prima. Se invece la temperatura è superiore di diversi gradi (>6 - 7°C) le consiglio uno stoccaggio di circa 30 minuti a +4°C in un contenitore largo e basso o al massimo un passaggio di circa 10 - 15 minuti a -18°C fino al raggiungimento a cuore della temperatura ottimale. C'è un solo caso in cui è quasi impossibile intervenire ed è quando l'impasto si presenta cosi caldo, a metà impastamento, da diventare appiccicoso in conseguenza allo sfibramento/rottura meccanica estrema della maglia glutinica. Le persone con molta esperienza riescono a prevedere/controllare il danno eccessivo da sfibramento totale, dalla iniziale formazione delle rotture superficiali e da un odore molto caratteristico che emana la pasta prima di sfibrarsi. Per quanto riguarda il caso contrario (temperatura minore rispetto al limite inferiore del range ottimale), sempre riferita unicamente alla tipologia di impasto da lei descritta, pieghi l'impasto e metta in cella +30°C per circa 20 - 30 minuti. Pieghi nuovamente e rimetta a 30°C per altri 20 - 30 minuti fino a quando non ha preso "forza" con il caldo. A questo punto, proceda con lo staglio e con la doppia formatura con un riposo di 10 minuti tra la prima e la seconda. Chiaramente il discorso cambia notevolmente se parliamo di impasti asciutti (<45% di acqua sulla farina) in cui la variazione in più di 1 - 2°C della temperatura dell'impasto a fine impastamento può compromettere i successivi passaggi alla chiferatrice, filonatrice, coppiatrice ecc. Se la temperatura è invece inferiore... nessun problema, se non un eventuale ritardo nella fermentazione finale. Nella speranza di esserla stata di aiuto, le invio i miei più cordiali saluti.
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La maturazione della pasta aiuta la digeribilità
Buonasera Dottoressa volevo chiederle, dato che alcuni tecnologi negli ultimi tempi asseriscono che la maturazione dell'impasto per pizza in termini di digeribilità è una legenda metropolitana in quanto gli amidi influiscono solo al 10% e il glutine al massimo il 15% nei rispettivi processi enzimatici proteolitici e amilolitici e che la digestione è solo un fatto di farcitura, cosa ne pensa lei in merito. Grazie per la sua cortese risposta.
Buongiorno a lei. Le rispondo da tecnologo non da nutrizionista (già è difficile fare bene il tecnologo alimentare OTA figuriamoci se mi metto ad invadere un campo che non è il mio.) Dal mio personale punto di vista le problematiche devono essere viste sotto tre aspetti imprescindibili gli uni dagli altri:
1. La preparazione dell'impasto e di conseguenza tutte le tecniche/metodiche per migliorare la "maturazione" della massa, la scelta dello sfarinato in termini di W e P/l in funzione del tempo a disposizione, le reazioni di degradazioni delle macromolecole, antinutrienti, lectine, produzione di aminoacidi, ecc.
2. Metodica di cottura e temperature che si raggiungono sia in superficie sia all'interno.
3. Farcitura.
3. Parto pertanto dall'ultimo punto perché è il più intuibile da un punto di vista nutrizionale. E' chiaro e lapalissiano che una: salsiccia, scamorza affumica, doppia mozzarella, speck, ventresca, cipolle magari con una abbondante fonduta di gorgonzola o Stilton, abbinata a cavoletti di Bruxelles fritti ecc. (è solo un esempio per spiegare un concetto!), presenti delle problematiche di digeribilità maggiore di una quattro stagioni. E' intuibile che gli errori più comuni tra tutti i pizzaioli siano proprio quelli di eccedere non solo con gli ingredienti della farcitura, ma con un loro errato abbinamento.
2 La metodica di cottura è basilare. Uno degli errori più comuni è quello di cuocere a temperature 350°C (450°C per la STG) per pochissimi minuti creando una differenza importante tra la temperatura sulla superficie e quella a cuore. Una pizza mal cotta "cruda in mezzo" crea i ben noti problemi di pesantezza, ecc., di cui ricordo e ribadisco il lievito NON centra nulla, ma la cui causa va ricercata tra le lectine, fruttani, i FODMAP ecc.! Se a cuore non si raggiunge la temperatura di transizione vetrosa a fatica si forma la salda d'amido, ma il problema è molto più grave in quando, in questo caso, il nostro complesso enzimatico riceve un carico di carboidrati imponente che non hanno subìto alcun pre attacco da parte delle amilasi naturalmente presenti negli sfarinati, che ricordo continuano a lavorare fino a quando non si disattivano per effetto termico (80 - 90°C a cuore) . E' chiaro che mi riferisco alla percentuale del circa 89 - 90% di granuli di amidi che restano interi in quanto sono questi che entrano in gioco nella fase finale della cottura (la macinazione danneggia/rompe circa 9 - 11% della totalità dell'amido) perchè gli zuccheri fermentescibili che derivano dagli amidi rotti sono metabolizzati dai microrganismi presenti nella massa. Un apporto cosi imponente di polisaccaridi amido "indigeriti", uniti magari a cruscami con fibre, lectine e pentosani non opportunamente lavorati, creano disbiosi intestinale, infiammazione, mal assorbimento, pesantezza, sete, ecc. La diagnosi a questo punto è però prettamente medica così come la terapia e i tecnologi, biologi, agrari, chimici ecc. non possono e non devono intervenire con diagnosi che non spetta loro fare proprio perché non ne hanno la qualifica professionale.
1. Prima di tutto occorre ricordare la percentuale di macronutrienti presenti nella farina, cosi come la diversità tra una cultivar e l'altra, tra frumento duro, tenero, segale , riso ecc.,gli ingredienti utilizzati per la preparazione e la loro percentuale, la metodica di lavoro, ecc. Faccio un semplicissimo esempio con una tecnica che va tanto di moda; l'autolisi a caldo. Ora, il principio sul quale si fonda tale metodica di lavoro è quello di arrivare alla gelatinizzazione dell'amido senza disattivare le amilasi per accellerare il processo della fermentazione successiva, ecc. E' intuibile, a questo punto, cosa succede e quindi quale possa essere l'apporto di zuccheri riducenti di cui solo una parte sono metabolizzati, implicati nelle reazioni di Maillard ecc. che finiscono nel prodotto finito. Tornando alle metodiche di lavoro, la bibliografia scientifica, per quanto riguarda l'utilizzo della madre, è infinita cosi come l'azione dei lieviti che non è solamente rivolta agli zuccheri fermentescibili (che derivano da quella minima parte dei granuli di amido rotti), ma al metabolismo di aminoacidi come fonti di azoto, attività delle amilasi, maltasi, capacità riproduttiva, iterazioni simbiotiche con i LAB ecc. Il processo enzimatico che permette la rottura del legame peptidico in una sequenza di aminoacidi non interessa unicamente il glutine, ma tutte le proteine presenti e a sua volta è influenzato dalla temperatura, tempo, pH, TTA, idratazione ecc.. Se con il termine "maturazione" si intendono tutte le reazioni di idrolisi che si attivano per l'azione delle proteasi sul legame petidico, sulle amilasi sull'amido, lipasi lipidi, pentosanasi, xilanasi sui pentosani ecc., che si avviano per raggiungimento dei valori di optimum di pH, per azione diretta dei lieviti, LAB ecc. sugli aminoacidi in particolare sull'asparagina, cosi come la simbiosi/associazione stretta tra L. sanfranciscensis S. exiguus o tra L. plantarum e S. cerevisiae a livello di produzione di sostanze metaboliche da parte delle due specie, oppure la produzione di acido lattico o di acetico che rallenta/prolunga il tempo di svuotamento gastrico, la produzione di aminoacidi come precursori di aromi, la produzione di acidi tali da retrogradare l'amido ecc. ecc., SI, la maggior parte della letteratura scientifica afferma che aumentando il tempo di azione dei microrganismi, complessi enzimatici endogeni conosciuto in gergo tecnico come "maturazione", si ha un miglioramento delle proprietà nutrizionali, digeribilità compresa. Ci sono anche studi come questo https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26202208 che però concludono con : The baking process reduces the digestibility of wheat gluten proteins, including those containing sequences active in celiac disease. Starch digestion affects the extent of protein digestion, probably because of gluten-starch complex formation during baking. Digestion studies using purified protein fractions alone are therefore not predictive of digestion in complex food matrices. Nella pizza si fa sempre obbligatoriamente riferimento all'importanza di questa fase "maturazione" (ribadisco termine improprio ma ormai nel linguaggio tecnico comune e che indica il riposo dell'impasto in massa o già stagliato a t.a. o a t.c. per 24 - 48 - 72 ore e più, prima della stesura e successiva cottura) cosi come esiste nel pane quando si fa riferimento alla fermentazione controllata nelle celle di fermalievitazione o quando si utilizza la biga stoccata per 24 - 48 - 72 ore. Chiaramente un pane realizzato con un diretto corto al 5 - 6% di lievito fresco, stoccato 30 minuti a +40°C cotto 10 minuti a 250°C presenta problematiche di digeribilità diverse rispetto allo stesso prodotto realizzato tutta biga o con madre a pari condizioni operative compresi i valori W e p/l della farina. Lo stesso discorso vale per l'impasto pizza. Ricordo inoltre che nel pane, la sintomatologia nel consumatore è molto meno evidente perché, per rispettare il dogma del settore, la Legge 580/67, e non incorrere in verbali, i panificatori sono costretti a regolare molto bene temperatura/tempo di cottura in base alla pezzatura, permettendo di raggiungere a cuore temperature che molto spesso non si raggiungono nella pizza seppur sia uno strato sottile (disco) di pasta; i due prodotti quindi non si possono assolutamente paragonare. Così facendo non si incorre nei problemi sopra descritti proprio perché a cuore del pane si raggiunge la temperatura di transizione vetrosa. Grazie a lei e buona giornata.
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Macinazione a pietra, maturazione delle farine: operazione di marketing?
Buongiorno Dott.ssa Lauri. A fine giugno 2018 vicino al duomo di Milano aprirà un nuovo ristorante pizzeria con un mulino a pietra posto al centro del locale. L'idea sarebbe quella di sfornare pizze con "farina espressa" ottenuta da grani antichi italiani al cento per cento e macinata sul posto.Una bella operazione commerciale ma... sarà anche buona e salutare? Partecipando ai corsi di Coquis mi è parso di carpire che le farine prima di poter essere utilizzate hanno bisogno di un certo tempo per maturare... Se non ho capito male io, dopo alcune settimane di maturazione alcune qualità tecniche iniziano a migliorare: aumenta l’assorbimento e la capacità di trattenere l’anidride carbonica sviluppata durante la fermentazione. Se il processo di maturazione dovesse tuttavia proseguire eccessivamente, oltre le 8 settimane, la farina diventerebbe sempre più forte e più chiara per ossidazione dei carotenoidi fino a peggiorare le sue caratteristiche iniziali, diventando “gessata” con una ripercussione in fase di lavorazione quando si noterà che l’impasto sarà diventato poco elastico. Grazie per i Suoi preziosi e sapienti insegnamenti
Buongiorno a lei. Si è già risposto da solo! E' solo una grandissima operazione commerciale di puro marketing aziendale che sfrutta l'onda mediatica della macinazione a pietra e dei grani antichi; sfrutta quello che il consumatore vuole sentirsi dire, ma che non corrisponde assolutamente a verità scientifica. E' lo specchietto per vendere la farina, il pane ecc. a prezzo triplicato. Non solo le farine devono maturare, ma vanno lavorate secondo una metodica specifica, proprio perché sono varietà particolari. Contrariamente al business/marketing del momento che vede il binomio macinazione a pietra = naturale, il processo molitorio a pietra non è più sicuro igienicamente della macinazione a cilindri a meno che non si verifichino e si attuino procedure idonee, si abbiano macchinari particolari che solo le aziende che macinano a pietra da anni e anni possiedono e pertanto possono garantire sicurezza ineccepibile. Ho pubblicato due anni fa (noti il periodo!) a questo link http://www.quotidiemagazine.it/archivio/2016/numero-12-dicembre-2016/a-pietra-o-a-cilindri-gabriele-raimondi-ramirez-biologo-responsabile-qualita-industrie-molitorie l'intervento del Dott. Raimondi in proposito. D'altra parte devono rientrare dei costi dell'affitto /acquisto dei locali, ecc. Fino a quando il consumatore crede in queste favole; cosi come crede che il pane integrale sia più sano e salutare...Grazie e buona giornata.
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Laminazione e raffinazione impasti: errate teorie
Gentilissima Dottoressa, le scrivo per dissipare una mia perplessità in merito alla laminazione/cilindratura degli impasti di cui ho sempre sentito parlare, soprattutto nel settore professionale. Premetto che io panifico a livello amatoriale e al massimo cilindro con il mattarello tuttavia la passione per la panificazione mi porta ad incuriosirmi anche per quanto riguarda le lavorazioni professionali. Forse potrei essere io ad aver acquisito un concetto informativo errato tuttavia, fino ad oggi, ho sempre saputo e pensato che le laminazioni a livello professionale venissero fatte e risultassero appropriate solo con appositi macchinari per pani a pasta dura come le biove, le crocette ferraresi e similari, nonché croissant, creckers, piadine, focacce rustiche non lievitate (Recco) ecc. Qualcuno, nel settore degli appassionati, sta diffondendo il concetto delle laminazioni e cilindrature come una pratica da effettuare anche per pani comuni tipo pagnotte e filoni (che richiedono struttura e volume). Le persone che ignorano cosa sia la laminazione/cilindratura e che chiedono ad alcuni "docenti, ricevono risposte di questo tenore - Cilindratura o laminazione servono a raffinare l'impasto per distribuire meglio i gas e permettere una fermentazione più attiva, per avere uno uno sviluppo maggiore - e continuano - La laminazione va fatta prima dei famosi set di pieghe ogni 30 min...considerala una fase preparatoria. Per il resto, fai come hai sempre fatto. In genere lo fanno con il mattarello per il pane a pasta dura, noi lo facciamo a mano per impasti semi molli - Dopo ver visualizzato il video, mi sono resa conto che a mano significherebbe stendere l'impasto allargandolo proprio come si fa per la focaccia di Recco per poi essere ripiegato a portafoglio nei due versi e pirlato. A questo punto mi è sorto il dubbio...Ma il senso di tutto questo? Le scrivo quindi chiedendole esplicitamente: sono io ad essere sulla strada sbagliata nel considerare cilindratura e laminazione come pratiche più adatte per impasti a pasta dura (menzionati poc'anzi ecc) o le informazioni che si stanno diffondendo sono nuovamente oggetto di confusione come tanto altro?
Ringraziandola anticipatamente per la sua grande disponibilità nel voler, eventualmente, rispondere alla mia domanda, la saluto cordialmente rinnovando i miei complimenti a lei e ai suoi collaboratori per il grande lavoro e impegno costante.
Buongiorno a lei. La laminazione con passaggio al cilindro a livello professionale si fa o per impartire "forza" (molto raramente!) o per "snervare", dipende dal numero dei passaggi e dal tempo. In linea di massima quasi sempre per snervare (vedi impasto per pane soffiato oppure impasti definiti "asciutti/duri") per permettere il successivo passaggio alla chifferatrice, formatrice ecc. senza problemi di forza. Al cilindro l'impasto è passato subito dopo l'impastamento per esigenze tecnico produttive non solo, ma dal numero dei passaggi al cilindro dipende lo sfibramento e quindi la successiva regolazione dei tappetti nella formatrice, chifferatrice, coppiatrice ecc. per permettere un ottimale sviluppo in volume. Ha una sua precisa motivazione tecnica oltre che tempistica (subito dopo l'impastamento e per impasti che non richiedono la prima puntata) che risiede nel rendere lavorabili particolari masse. In ogni caso è estremamente scorretto - disinformante - sbagliato - errato - ecc. definire questa fase come "fase di raffinazione" perché come ho ribadito più volte, il petrolio si raffina, le farine si setacciano/abburattano, l'impasto si cilindra o si lamina. Un conto è cilindrare gli impasti per snervare, un conto è laminare impasti per croissant, ecc. La laminazione per i croissant con pasta sfoglia ha quindi gli obbiettivi di: distribuire uniformemente la materia grassa, allargare l'impasto per operare le pieghe che successivamente stratificheranno la struttura, impartire forza all'impasto stoccato al freddo, ecc. La laminazione per gli impasti freddi delle focacce ha solo lo scopo di rendere più lavorabili e fare raggiungere il prima possibile e senza fatica (immagini di stendere 50 o più pastoni!) le dimensioni 60X40 cm oppure 60X80 cm (non una sola teglia 30X50) per poi procedere con la fermentazione in teglia. Personalmente, da tecnico panificatore professionista artigiano, con estremo rispetto di tutti, ritengo che l'affermazione: "raffinazione per distribuire meglio i gas e permettere una fermentazione più attiva" sia "inventata" di sana pianta e molto scorretta. A livello professionale, la laminazione con la sfogliatrice o manuale, il passaggio al cilindro non si fanno sempre e a prescindere per tutti gli impasti di pane anzi ...proprio non si fanno mai per impasti >60% di acqua sulla farina e comunque mai dopo la puntata in massa per non determinare la fuoriuscita di aria, danneggiare la struttura alveolare e compromettere il volume finale sia per le pezzature piccole sia per quelle grandi. Mi sembra il contrario di quello che leggo nella sua email! Un conto è cilindrare/laminare, un conto è "dare le pieghe" manualmente e assolutamente senza l'uso del mattarello: dare le pieghe vuol dire "impartire forza" ad una massa per cui darò le pieghe solo se avrò la necessità di impartire forza alla struttura; forza che posso dare per esempio anche con la doppia formatura. La tecnologia e la scienza sono le stesse sia che si operi a livello professionale sia amatoriale, ma cambiano completamente tutte le condizioni operative e occorre adattarsi con la specifiche competenze e conoscenze all'istantanea variabilità; ribadisco che panificare a livello professionale non è assolutamente la stessa cosa che panificare a livello casalingo. Chi pensa che sia invece il contrario... beh lo invito a gestire anche solo un piccolissimo quintale (100 Kg) di farina con le teorie con le quali gestisce 1 kg (laminare per distribuire l'aria, raffinare gli impasti, fermentazione più attiva, laminare l'impasto ogni 30 minuti, laminare impasti molli, ecc.) Grazie a lei e sempre a disposizione.
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Gestione impasto diretto
Buon giorno Dottoressa Lauri,e tanti complimenti per la rivista. Le scrivo perché ogni tanto mi trovo in difficoltà con la gestione dell’impasto e sono sicuro che solo lei saprà darmi le risposte esatte. Solitamente lavoro con impasto diretto e indiretto. Quando invece mi capita di fare un “diretto” seguito subito da staglio mi succede che i panetti di pasta durante la gestione 24/48 si appiattiscono anziché mantenere la forma. Da cosa dipende? Grazie a lei
Buongiorno a lei. L'appiattimento dei panetti nella lavorazione diretta è molto spesso sinonimo di debolezza; il problema per email è riuscire a capire quale potrebbe essere la causa della debolezza del suo impasto. In linea di massima tra gli appassionati non professionisti questo risale principalmente nell'utilizzo sempre dell'acqua fredda (4<T<15°C) senza prestare molta attenzione al fatto che ogni impasto ha una sua temperatura di riferimento in base all'idratazione totale, alla tipologia di prodotto cosi come una specifica temperatura di cottura, presenza/assenza di vapore ecc. I panificatori professionisti artigiani sanno che per aumentare la forza di una struttura e non farla collassare occorre prestare molta attenzione alla temperatura specifica, aumentare i tempi di riposo e dare all'occorrenza le cosiddette pieghe, che gli appassionati casalinghi amano chiamare fold ...ma sempre pieghe sono! Chiaramente uno stoccaggio di 24 ore a +4°C, per sua natura, indebolisce notevolmente la struttura glutinica, modifica il PI delle proteine, rompe i legami, ecc. facendo trasudare parte dell'acqua e compromettendo lo sviluppo in altezza dei panetti prima e del pane poi. Utilizzi acqua a temperatura opportuna, faccia puntare e solo dopo puntata metta a +4°C riservandosi di formare il giorno dopo in modo tale che la formatura (magari doppia!) contribuisca ad incrementare i legami intermolecolari e a dare "forza" alla struttura. Grazie a lei per essersi rivolto al nostro servizio e per essere un appassionato lettore.
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Temperatura uscita impasto
Buongiorno dottoressa, nell'ambiente dove attualmente mi trovo ho una temperatura che si aggira intorno ai 30-35 gradi. Volevo chiederle se nel impasto posso procedere con un quantitativo di ghiaccio e portare l'acqua sotto i 0°C oppure eventualmente usare acqua tra i 0-4°C e diminuire i tempi d'impasto. Cosa mi consiglierebbe tra le due ipotesi? Se le serve sapere altre informazioni, tipo di farina utilizzata o altro ..mi faccia sapere e le dirò. La ringrazio in anticipo per la cortesia e per il servizio. Buona giornata.
Buongiorno a lei L'utilizzo del ghiaccio non è mai consigliato in un impasto anche quando le temperature ambientali superano i 35°C. Se non ha la possibilità di un refrigeratore per l'acqua oppure di un frigorifero a +1 / +2°C, oppure di un congelatore dove introdurre per circa 30 minuti le bottiglie, di un abbattitore per uno stoccaggio di pochi minuti delle bottiglie, può raffreddare la farina mettendola nelle celle fredde di stoccaggio della materie prime cosi come può fare per l'acqua; può stoccare in cella refrigerata sia la farina sia l'acqua. Per quanto riguardo le tempistiche di impastamento, mi scusi ma non posso esserle di aiuto perché non riesco a valutare per email né il tipo né la velocità della sua impastatrice né i gradi di riscaldamento. In ogni caso 30 - 35°C sono le temperature abbastanza standard nei periodi estivi in Italia, se il locale non è climatizzato, per cui con la cella frigorifera o con il frigorifero risolve sempre. Grazie a lei e buona giornata.
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"Metodo moderno o tradizionale?"
Salve Dottoressa Lauri, la seguo da sempre e vorrei sapere la sua opinione riguardo il "metodo moderno" o "tradizionale" riguardante la produzione di panettoni. Da parecchi mesi mi diletto con questi fantastici prodotti, ottenendo sempre risultati molto soddisfacenti. Ho notato che alcuni maestri iniziano l'impasto serale abbastanza carico di materia grassa, zucchero e tuorli con una notevole quantità di lievito madre. L''impasto del mattino viene terminato aggiungendo il resto degli ingredienti in maniera più "leggera". questo è quello che considero impasto "tradizionale"
Nella tipologia d'impasto "moderno" invece la quantità di lievito madre è minore, quasi la metà rispetto al "tradizionale", e l'impasto serale ha un basso contenuto di grassi, tuorli e zuccheri. L'impasto del mattino viene terminato con una notevole quantità di tuorli, burro e zuccheri.
Secondo alcuni maestri un impasto "tradizionale" rimane più morbido e soffice a lungo con una buona shelf life.
Secondo altri invece un impasto con metodo "moderno" avrà una migliore shelf life grazie ad un uso minore di lievito madre che rallenterà maggiormente la retrogradazione del prodotto rispetto ad un uso massiccio di lievito madre, che avviene nell'impasto "tradizionale". Sinceramente li trovo entrambi due metodi molto validi ed non ho notato molta differenza. Vorrei chiedere quindi la sua opinione.
Vorrei inoltre chiederle se è vero oppure no che un uso maggiore di lievito madre nell'impasto serale può portare ad una più veloce retrogradazione del prodotto finito, sempre nel contesto dei panettoni. Grazie mille e saluti
Buongiorno a lei. E' difficile se non impossibile dire quale dei due metodi di produzione dei panettoni sia migliore perché questa è la caratteristica dell'artigianalità del nostro mestiere. Ho provato ricette assurde con ingredienti che al posto di migliorare appesantivano la struttura interna tale da farle perdere la morbidezza e la sua naturale umidità, cosi come ho provato metodiche che hanno migliorato la mia. Una cosa è certa; tuorli e burro appesantiscono molto il primo impasto per cui sono dell'idea (opinione strettamente personale) che la metodica del bianco o dei pochi tuorli nel primo impasto sia migliore. Non solo, ma elevate concentrazioni zuccherine nel primo impasto creano una condizione di maggior pressione osmotica e quindi, contrariamente a quello che si pensi, si può notare un rallentamento dell'attività metabolica da parte dei microrganismi soprattutto nelle prime ore iniziali di adattamento o lag fase metabolica. E' chiaro che le condizioni amatoriali non hanno nulla a che vedere con quelle professionali soprattutto per quanto riguarda le quantità; le masse di impasto in fermentazione nella fase di stoccaggio tra il primo e il secondo impasto sono di gran lunga superiori di conseguenza varia notevolmente la temperatura a cuore, a pari condizioni di tempo/temperatura di stoccaggio.
La shelf life di un panettone è influenzata da innumerevoli fattori tra i quali: formulazione della ricetta, tipologia di sostanza grasse utilizzata (olio al posto del burro, sostituzione fatta solamente a livello amatoriale, ma che NON si può assolutamente fare a livello artigianale professionale per la Legge 2005 e succ modifiche e integr. conosciuta più comunemente come Decreto Panettoni) temperatura a cuore nel momento dello sfornamento, eventuale copertura con ghiaccia, copertura cioccolato, presenza di additivi complessanti le molecole di acqua libere, presenza di farciture interne siringate a cottura ultimata, presenza di ingredienti messi a macerare in precedenza, inoculo di S. cerevisiae, quantità di madre utilizzata, presenza di aromi contenenti alcool, ecc. L'azione della madre sulla shelf life è esattamente l'opposto di quella descritta nella sua email; è chiaro che c'è un limite di utilizzo al massimo di 25 - 30% (calcolata sulla farina totale usata) di madre solida in condizione ottimale dopo 2/3 rinfreschi. Ringraziandola per essersi rivolto al nostro servizio le invio i miei più cordiali saluti.
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Acido Butirrico nella pasta madre
Gentile Dott.ssa Lauri, spesso leggo che la comparsa di acido butirrico all'interno della pasta madre è segno che quella pasta madre ha gravi problemi e che deve essere buttata a favore di una nuova pasta madre.
Mi chiedo, è possibile "recuperare" una pasta madre con questa problematica? Inoltre come ci possiamo accorgere della presenza di questo acido e non confonderlo con la "normale" fermentazione? Cordiali Saluti
Buongiorno a lei. Quando grido al mondo che il rischio microbiologico è elevatissimo soprattutto nelle situazioni di anaerobiosi non lo faccio a caso o per mettermi in mostra o perché voglio creare allarmismo: è una certezza scientifica microbiologica che le condizioni di anerobiosi, soprattutto se derivano dalla superficialità estrema delle fermentazioni non controllate e spontanee, sono un Critical Point con un livello altissimo di rischio per la salute pubblica se non si prevede un rigoroso autocontrollo previsto dal legislatore nel piano HACCP . Quando c'è anaerobiosi in un prodotto alimentare, vuol dire rischio/pericolo microbiologico estremo per le potenti esotossine che possono essere prodotte proprio da microrganismi appartenenti al genere Clostridium sviluppatisi in qualsiasi matrice soprattutto in quelle di origine vegetale. Una delle fermentazioni più pericolose, che non ci deve essere assolutamente nelle madri, è proprio quella butirrica in cui, in assenza di ossigeno, il Cl. butyricum principalmente trasforma il glucosio e molte altre matrici in acido butirrico, anidride carbonica e idrogeno gassoso con un bilancio molare di 1glucosio = 1acido butirrico+2 anidride carbonica+2 idrogeno gassoso+3ATP oltre a sottoprodotti come acido acetico, alcol butilico, acetone, alcol isopropionico. Queste specie microbiche sono piuttosto resistenti in ambiente acido e posso causare bombaggi ed esplosioni proprio per l'elevata produzione di gas. Se si sviluppa nelle madri queste non si possono recuperare, ma devono essere buttate immediatamente. E' una delle fermentazioni più temute e pericolose anche nel settore caseario in cui le spore di Clostridium presenti nel latte danno un difetto noto come gonfiore tardivo delle forme per l'elevata produzione principalmente di anidride carbonica, idrogeno oltre che di metano e acido solfidrico (odore di uova marce). Tra i responsabili di detta fermentazione oltre al già citato Cl. butyricum vi sono Clostridium kluyveri ,Clostridium pasteurianum ,Fusobacterium nucleatum, Butyrivibrio fibrisolvens, Eubacterium limosum ecc. Non è possibile verificare la presenza di acido 3 - idrossibutiricco nè a livello artigianale nè a livello casalingo in quanto è una determinazione analitica strumentale che non può avvenire senza strumenti adeguati. L'unico modo per evitare tutto questo è la gestione corretta delle madri all'interno di un corretto piano igienico sanitario di autocontrollo aziendale obbligatorio per tutti gli OSA. Uno dei pericoli dell'utilizzo della tecnica Wild Water Yeast è proprio questo; spontaneità/casualità della contaminazione primaria, mancanza di controllo/verifica microbiologico, mancanza di HACCP aziendale, incapacità di valutazione/gestione del CP, ecc. La spontaneità/casualità microbica è pericolosissima soprattutto se non si è in grado di gestirla e il solo abbassamento di pH non garantisce la sicurezza soprattutto se si crea la situazione di "assenza di ossigeno". In arte bianca è proprio questo il pericolo nelle madri se le colture sono usate senza la naturale stabilizzazione; la stabilizzazione avviene naturalmente dopo minimo 15 - 20 giorni di rinfreschi, pulizia, aerazione ecc., in cui il microbiota si seleziona creando in alcuni casi anche simbiosi stretta tra LAB e lieviti garantendone la sicurezza. A livello amatoriale e/o artigianale non si hanno né la preparazione adeguata né le strumentazioni tali da tener sotto controllo un processo microbiologico; ci si deve obbligatoriamente affidare alla valutazione visiva sensoriale che può decisamente aiutare, ma non risolve la problematica. Come prima cosa le madri, qualsiasi gestione si scelga, devono essere rinfrescate con regolarità e non abbandonate, chiuse in un barattolo, in frigorifero per anni, mesi , settimane, non devono presentare colorazioni anomale (sfumature marroni, giallo, nere) ma mantenere una colorazione bianco latte, ma soprattutto non si devono percepire odori sgradevoli come di uova marcio, formaggio stagionato, generiche "puzze" ecc. Al sapore si devono percepire le note di testa dolci intense e persistenti e solo successivamente le note acide (acido acetico). Qualsiasi altra nota come amaro persistente (soprattutto se di testa), metallo, muffa, ecc. sono sinonimo di problematiche microbiologiche e le madri devono essere buttate e successivamente avviare il protocollo della sanificazione. Grazie a lei per il quesito e a disposizione.
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Pasta di riporto
Buongiorno avrei dei quesiti sulla pasta di riporto: vorrei cortesemente sapere in quale fase devo prelevare il pezzetto di pasta dall' impasto precedente? Dopo che questo ha avuto la sua prima lievitazione o subito a fine impasto? Una volta prelevato metto poi in frigo almeno 24 ore prima di utilizzarlo? Quanto deve acclimatarsi prima dell utilizzo? Spero mi possa rispondere in merito perché ovunque abbia letto o chiesto non ho mai ricevuto una risposta precisa a questa domanda. Grazie per la sua gentilezza, per il servizio e per il tempo che mi ha dedicato.
Buongiorno a lei. Non c'è una risposta precisa alla sua domanda. Il termine "pasta di riporto", come si può comprendere dal nome, è un pezzo di pasta che non è usata ma tenuta come riporto per l'impasto del giorno dopo. La maggior parte delle volte, nei panifici non è appositamente staccata, ma la si ritrova comunque. E' un impasto completo di tutti gli ingredienti compreso il sale e generalmente è l'avanzo/scarto, che può raggiungere a fine giornata anche di diversi chili, di una o più lavorazioni della giornata. Generalmente finisce come riporto: un pezzo che non ha lo stesso peso dei precedenti, uno scarto della lavorazione, una pagnotta avvolta male e strappata, uno avanzo dei tagli ecc.) e non c'è un momento ideale per staccarlo dalla massa. A livello casalingo alcuni appassionati lo staccano all'inizio, a fine impastamento, altri alla fine, altri dopo la puntata in massa, ecc. I pezzi avanzati sono riuniti in un mastello, coperti e lasciati a temperatura ambiente fino all'indomani. In estate si stoccano a +4°C oppure in cella fermabiga a +16°C, mai usati freddi e sempre a temperatura di lavoro. Spero di esserle stata di aiuto. Un saluto cordiale. Grazie
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Idrolisi o Autolisi
Dottoressa salve, da un punto di vista tecnico e scientifico è più corretto parlare di idrolisi o di Autolisi? Qual'è sostanzialmente la differenza tra i due termini? Ho sentito parlare di idrolisi dell'amido? Di cosa si tratta? Nell'attesa di una sua risposta, porgo i miei più cordiali saluti . Grazie mille per la sua disponibilità e gentilezza.
Buongiorno a lei. Questi due termini sono usati molto spesso come sinonimi, ma non hanno a che vedere l'uno con l'altro da un punto di vista scientifico. Per una miglior approfondimento le riporto il link http://www.quotidiemagazine.it/archivio/2015/numero-7/la-parole-di-tendenza-e-idrolisi-simona-lauri-ota-milano di un articolo che scrissi proprio a questo proposito. Spero che tale lettura le sia di aiuto a dissipare i dubbi e le perplessità; in caso contrario non esiti a contattarmi nuovamente. La ringrazio per essersi rivolto al nostro servizio e le invio i miei più cordiali saluti.
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Fermentazioni con Acqua di Grano 2
Buongiorno Dott.ssa, rispondo alla sua domanda circa la temperatura dell'acqua nella quale si lasciano fermentare i semi. Alla Convention hanno parlato sempre di acqua a temperatura ambiente, che a mio modesto avviso vuol dire poco. Per semplicità diciamo un acqua lasciata ad una temperatura media di 24°. Dalla Sua prima risposta, ho capito che siamo sempre nel "mondo" delle Fermentazioni Spontanee. Grazie infinite per la Sua disponibilità.
Buongiorno a lei. Certamente comunque si era già dato la risposta da solo! Grazie per la stima e per essersi rivolto al nostro servizio. Buona giornata e a disposizione sempre.
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Fermentazioni con Acqua di Grano
Buongiorno Dott.ssa Lauri,ad una convention del settore dell'arte bianca, s'è parlato di utilizzo di acqua di grano come starter per la lievitazione.Il processo per ottenere l'acqua come starter è il seguente: in 1Lt di acqua di mettono 400gr di semi di grano tenero (o semi vari) decorticati.
Si attendono 24h e poi si prende 1/2 lt dell'acqua precedente la si "rinfresca" con altro 1/2lt di acqua fresca e si mettono 400gr di semi di grano tenero nuovi. Dopo altre 24h si può utilizzare quest'acqua ottenuta per fare Pane/Pizza. Ho visto i prodotti sfornati e se quanto detto corrisponde a verità, la lievitazione è avvenuta come se si fosse utilizzato un lievito naturale. La mia domanda è : ci troviamo difronte ad una variante di fermentazione spontanea che già ne ha ampiamente parlato, o c'è dell'altro? Grazie infinite per il Suo prezioso contributo nella divulgazione scientifica.
Buongiorno a lei. Nella sua email mancano le temperature alle quali lasciano fermentare i semi nell'acqua. Si, è l'argomento che ho ampiamente dibattuto e non confondiamolo con la madre o lievito di pasta acido naturale. Grazie e buona giornata a lei.
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